La mia specialissima Olimpiade

Clementina Collevati, numeraria dell'Opus Dei, bolognese di nascita ed educazione, da piccola campionessa di sci, racconta il cammino della sua vocazione. Fra l'altro, la lunga e affascinante esperienza umana e culturale che ha accumulato nel contatto con centinaia di persone vicine o no agli apostolati dell’Opus Dei.

A 14 anni facevo sci agonistico e vincevo gare. Qualcuno, per lusingarmi, diceva che qualche anno dopo sarei andata alle Olimpiadi. In una prova di discesa libera un mio grande amico, di 15 anni, Andrea, perse la vita per un tragico incidente; al funerale parteciparono gli amici di un vasto giro sociale, medio-alto, e la superficialità (almeno apparente perché non potevo certo conoscere i loro sentimenti) che alcuni dimostrarono in quella circostanza così dura da accettare, mi spinse a cercare altrove una risposta vera. Affrontai la questione pregando e parlando soprattutto con un sacerdote e con mia sorella maggiore. Da qualche mese seguivo con assiduità, insieme alle mie sorelle e ad alcune amiche, incontri di preghiera e lezioni di dottrina cristiana tenuti da fedeli dell’Opus Dei; era stato il papà a parlarci di questa possibilità, che lui stesso aveva apprezzato.

Passava il tempo: imparai a pregare e mi resi conto degli immensi doni che Dio mi aveva fatto; sentii la chiamata con una chiarezza che non ho mai perso. Suggestione? … mi piacevano i ragazzi (avevo con loro un certo successo); sognavo di andare alle Olimpiadi di sci (molto improbabili!), non mi mancava nulla per condurre una vita agiata e soddisfacente. Eppure… Escludo che si trattasse di suggestione. Vedevo con chiarezza e serenità. Ciò che conoscevo dell’Opus Dei mi attraeva e chiesi di farne parte, desideravo essere numeraria, e invece… no!: ero troppo piccola e sconsiderata. Dovevo crescere e rafforzarmi nel cammino che mi si apriva davanti.

Dopo un certo tempo conobbi san Josemaría e gli chiesi, più o meno: sono una ragazza che ha ricevuto molto da Dio, come posso essere generosa con Lui?

La sua risposta, di cui ricordo il senso, fu: nel Vangelo è scritto che Gesù invitò gli apostoli a lasciare tutto, a prendere la loro croce e a seguirlo; più di questo a noi, uomini e donne, non è possibile fare. A te basta? Cercai di riflettere e pregai a lungo: gradatamente capii che donarmi significava amore e croce, tenermi per mano a Cristo, che amavo, senza lasciarmi distanziare se il suo passo si faceva più veloce o sofferto.

Cominciai il mio “allenamento”. Mi confrontai con la mia famiglia, con le loro aspettative, i loro dubbi, le loro critiche e i loro consigli, che, poi, lungo tutta la vita, mi hanno accompagnato.Nel frattempo terminavo il liceo classico in una scuola statale in cui l’ambiente era piuttosto aggressivo, ateo e promiscuo. Per i miei compagni di scuola era difficile comprendere una strada come quella che io stavo imboccando; mi fecero molte osservazioni e domande; mi furono preziose, per poter verificarmi sulle mie più profonde intenzioni. A 19 anni partivo per Roma, consapevole e disponibile, grata all’Opus Dei che mi stava aiutando, nonostante il mio modo di essere piuttosto anticonformista, imprevedibile, da spirito libero, a mantenere acceso l’amore per Dio che scaturiva dal sentirmi io stessa immensamente amata da Lui.

Roma: vita in un centro dell’Opus Dei, mansioni da madre di famiglia (cura della casa, fare la spesa, fare da mangiare, tenere i conti…): mi piaceva imparare a far stare bene chi abitava con me… sono una donna! Università La Sapienza (Lettere classiche), fino a un 110 che non pensavo di raggiungere: esami di letteratura, di arte, di filosofia, di cultura che si raccordava con la formazione cristiana ricevuta in casa mia e nell’Opera, dandomi gli strumenti critici per ragionare apertamente. Responsabilità educativa con adolescenti e con universitarie, dapprima in un “Club” e poi in un collegio universitario; confronti con i genitori delle ragazze: insieme cercavamo di definire e … ridefinire (come cambiano i punti di vista da una città all’altra, da un ambiente all’altro…) l’obiettivo-libertà, araba fenice di ogni lavoro educativo.

Problemi “duri” da affrontare: droga, aborto, rapporti prematrimoniali, assistenza a sofferenti in condizioni estreme. Con le collaboratrici più preparate ci siamo lanciate in micro-progetti a sfondo sociale, dal nord Italia alluvionato, al Kenya, confrontandoci con mentalità ben diverse dalle nostre, e felici quando riuscivamo a raggiungere anche solo un piccolo risultato di dialogo, di miglioramento umano.

Tre anni ancora a Roma per seguire studi di Scienze dell’Educazione (un master e un dottorato) e di Teologia: ciò che avevo conosciuto sperimentalmente aveva bisogno di fondamento scientifico solido… Non persi l’occasione e studiai in tre anni molto di più di quanto avessi fatto prima. In seguito avrei insegnato (latino, filosofia, logica filosofica…).

Poi Milano, Torino, Genova e di nuovo Milano; ancora con giovani, ma anche con numerosi adulti. Parlai con san Josemaría e, in seguito, con don Álvaro suo immediato successore, e anche con Giovanni Paolo II; ho incontrato Madre Teresa di Calcutta; ho pranzato al tavolo di un ministro della Pubblica Istruzione, ho chiacchierato con un membro del Consiglio superiore della Magistratura, con rettori di università, gente del mondo della cultura, dei media, ecc. Conobbi centinaia di donne e uomini, dell’Opus Dei e no, in tutti ho scoperto una ricchezza inesauribile e molte personalità stupende: un altro dono di Dio.

Confidenza con tante persone, domande e consigli sulle scelte importanti della vita: gli studi, il lavoro, il fidanzamento, il matrimonio, lo “stile” della famiglia… e la possibilità di discernere -dentro e al di là dei propri sogni-, la Via che solo Dio può indicare. Chi riceve davvero una chiamata da Dio? E per quale cammino? E qualcuno potrebbe desiderarla come un “appiglio”? E quando si è maturi? E come proteggere la libertà intima, personale, che garantisce risposte d’amore di fronte a proposte di impegno? Quante ragazze e donne ho conosciuto (dagli 8 agli 80 anni!): la maggior parte adesso sono mamme, altre vedove, tre sono suore, alcune condividono il mio stesso cammino, qualcuna è gravemente ammalata, qualcun’altra ha sofferto e non ha ancora trovato serenità.

Nei dubbi e nell’incertezza ho sempre cercato e avuto il consiglio di altri fedeli dell’Opera, insieme al loro affetto. E anche - sempre!- l'Eucaristia, la preghiera, la penitenza, il confronto; e poi apertura, studio, disinteresse,… ricevere aiuto e dare aiuto nella famiglia dell’Opus Dei. A ben guardare, è stata anche questa un'Olimpiade: quella degli affetti, delle speranze, delle vittorie e delle sconfitte. Sì, anche le sconfitte, perché c’è stata pure l’esperienza, penso comune a tutti, dei miei errori, del dubbio sulla mia adeguatezza, della stanchezza e del bisogno di riposo. Insomma, gli anni passano e la vita è intensa: ora curo di più lo sport, il sonno e i ritmi regolari. Questo significa che ho sbagliato qualcosa? In ginocchio davanti al Signore-Eucaristia imparo a trarre dai limiti lo slancio per abbandonarmi ancor più alla sua tenerezza, perché al di là dell’impegno attivo, non siamo noi, ma è Dio che fa la sua Opera. Attraverso di essa, attraverso il miglioramento di noi stessi a cui questa strada conduce, Egli ci stringe fortemente a sé.

Dopo quella discesa libera mi ero chiesta con timore come Dio potesse chiedere la vita a un mio amico di 15 anni e quale destino riservava a me: ora so che la Sua amorevole Provvidenza ha sempre insospettabili valenze d'Amore.