La guerra, disfatta dell’Umanità

“In questi momenti di preoccupazione internazionale, tutto fa capire quanto sia indispensabile un aiuto dall’Alto che illumini i cuori degli uni e degli altri”. Articolo di Francisco Varo, preside della Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra, pubblicato sul Diario de Noticias, prima dello scoppio della guerra in Irak.

Se negli ultimi decenni nel mondo c'è stato qualcuno che ha dimostrato la massima imparzialità nel difendere la giustizia in ogni tipo di conflitti e che ha sempre difeso i diritti umani, questi è Giovanni Paolo II.

Ora, nel clima di timore, di sfiducia e di preparativi per lo scoppio della guerra in Irak, la sua posizione è chiara: bisogna mettere in atto tutti i mezzi per cercare la pace; la guerra non risolve nulla (…) Condividere oggi questa posizione non è questione né di religione né di fede, ma di buon senso da parte di chi, al disopra di interessi particolari, cerca il bene dell'umanità.

Nelle ultime settimane Giovanni Paolo II ha invitato le autorità dell'Irak a chiedersi se avevano fatto tutto quanto dovuto per garantire la pace e per ristabilire un clima di fiducia che permetta al Paese di ritrovare un proprio ruolo nella comunità internazionale. Ha anche dimostrato di essere vicino a tutto il popolo irakeno e alle sue aspirazioni a una pace giusta e durevole, dopo tanti anni di sofferenze, verso le quali il Papa e la Chiesa universale si sono dimostrati sempre solidali. Ha avuto colloqui con il segretario generale delle Nazioni Unite e con i capi dei governi diversamente posizionati rispetto alla crisi, cercando sempre una via di uscita pacifica e rispettosa del diritto internazionale.

Nello stesso tempo in cui compie queste azioni, il Santo Padre chiede a tutti di moltiplicare gli sforzi a favore della pace, come fanno innumerevoli note personalità della Chiesa, delle varie religioni, della cultura, dell'arte, dello sport, della politica, dei sindacati e di tutti gli ambiti della società, in aggiunta a milioni di privati cittadini di tutte le razze e nazioni. Sono legittime le divergenze di opinione intorno ai passi da fare, ma oggi l'umanità non può rimanere passiva né indugiare davanti agli attacchi del terrorismo, né davanti alle minacce di guerra che si profilano all'orizzonte. Non ci si deve rassegnare alla guerra o alle azioni violente, quasi fossero inevitabili.

In situazioni estreme il Catechismo della Chiesa Cattolica sostiene che è lecito ricorrere alla legittima difesa mediante la forza militare. Ma prima di prendere questa decisione i responsabili del bene comune dovrebbero sempre valutare, con grande prudenza, se il danno inferto dall'aggressore sia durevole, grave e certo, se sono stati adottati prima, senza risultati positivi, tutti i mezzi pacifici possibili per evitare il danno, se vi siano serie probabilità di successo e se l'impiego delle armi non comporti mali e disordini più gravi del male che si vuole eliminare. Il potere di distruzione delle armi odierne, obbliga infatti a un'estrema prudenza nel valutare queste condizioni.

Guerra e Catechismo

Nel testo del Catechismo si parla di legittima difesa solo come risposta a una aggressione ingiusta, ma non si affronta la questione se sia lecito o meno, e in quali condizioni, un intervento militare per fermare una pulizia etnica o il terrorismo, o per frenare una contesa tra fazioni avverse.

A tali questioni, sorte in modo particolarmente acuto negli ultimi anni, si aggiunge ora la non meno delicata questione morale intorno ai modi di impedire l'accesso dei gruppi terroristici alle armi di distruzione di massa prodotte da persone perverse. Occorre, dunque, una particolare prudenza nell'adattare i criteri stabiliti per la difesa da un'aggressione, a queste altre situazioni, per vedere se siano equiparabili. Come minimo, dovrebbe sussistere una chiara evidenza che si stanno producendo quei fatti, e non dei semplici sospetti o impressioni parziali.

In questioni così delicate e dalle conseguenze tanto gravi in ambito internazionale, converrebbe che la necessità dell'intervento militare sia decisa da un parere positivo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, votato a largo consenso dalle Nazioni, con una maggioranza dei voti ottenuta non a seguito di forti pressioni esercitate da chi ha promosso la risoluzione, ma come conseguenza di una riflessione condivisa per il bene dell'umanità. È vero che le Nazioni Unite sono uno strumento imperfetto, ma non esiste un'altra organizzazione cui venga riconosciuta una analoga legalità. Naturalmente, anche nel caso estremo in cui ci fossero motivi giusti e di peso per un intervento, sarebbe necessario studiare il modo di compierlo senza che coinvolgere la popolazione civile innocente.

Da molti anni i numerosi e normali cittadini dell'Irak, soprattutto i bambini, soffrono atrocemente a causa dell'embargo internazionale. Non è giusto tormentare ancora la popolazione civile. La preoccupazione di Giovanni Paolo II per le probabili calamità che si abbatterebbero sulla popolazione irakena, stremata da dodici anni di embargo, non è dovuta a un pacifismo sentimentale, ma è una esigenza di giustizia e di rispetto per la dignità dell'uomo. Nel cercare i mezzi adeguati per risolvere un conflitto si deve tenere conto che, quando si impiegano mezzi violenti, non sono le strutture organizzative né le macchine ad essere colpite e distrutte, ma le persone. Le vittime, a qualunque fazione appartengano, non sono numeri, grandi o piccoli, ma esseri umani. Per questo è una responsabilità morale di tutte le parti in causa evitare la guerra. La guerra non è una semplice fatalità – una cosa inevitabile -, ma è sempre una disfatta dell'umanità.

In questo caso non si tratta di un conflitto di civiltà o di religioni. Musulmani e cristiani desiderano servire Dio, il Misericordioso, il Pacifico, col coraggio di costruire la pace di domani anche in mezzo alle violenze di oggi. Tuttavia una guerra come quella che sembra imminente potrebbe ferire i sentimenti di molti musulmani e produrre un effetto contrario nella lotta al terrorismo: potrebbe causare un aumento del fanatismo, con il risultato di creare una nuova e seria minaccia.

L'attuale situazione obbliga a una seria riflessione sulle possibili cause che hanno scatenato il crescente clima di contrapposizione o che hanno potenziato il terrorismo internazionale. Ogni giorno che passa diventa sempre più urgente e doveroso affrontare il problema di una effettiva cooperazione tra i popoli e le nazioni, basata sulla giustizia e il diritto internazionale, con l'obiettivo di assicurare a tutte le popolazioni il bene della pace, che è tanto necessario.

Nel momento presente noi cristiani siamo particolarmente desiderosi di pregare per la pace, in piena sintonia con i continui inviti del Santo Padre e la sua continua richiesta di un rinnovato impegno per la pace mondiale, in comunione di preghiere con i nostri fratelli dell'Irak, degli Stati Uniti, dell'Europa e di tutto il mondo. In questi momenti di preoccupazione internazionale, tutto fa capire quanto sia indispensabile un aiuto dall'Alto che illumini i cuori degli uni e degli altri e generi una reciproca fiducia. Perciò, fra le tante iniziative per la pace, il Papa propone la recita del Rosario: “Non si può recitare il Rosario senza sentirsi coinvolti nell'impegno concreto di servire la pace".

Francisco Varo, Preside della Facoltà di Teologia dell'Università di Navarra

Francisco Varo // Diario de Noticias (Spagna)