Intervista al prelato: “La santità non è per superdonne o superuomini, ma per persone in carne e ossa”

Monsignor Fernando Ocáriz ha dialogato con la rivista Semana durante il suo viaggio in Colombia. Ha parlato, tra l’altro, di Chiesa aperta e di crisi delle vocazioni. Ha sottolineato l'importanza di recuperare la speranza.

Nel 50° anniversario della catechesi di san Josemaría in America, lei torna a visitare la regione. Crede che la realtà dell'Opus Dei in questi paesi si avvicini al sogno di Escrivá?

Quando san Josemaría venne in America, invitò a sognare grandi avventure di servizio cristiano. Senza ignorare le difficoltà e gli errori umani, ringrazio Dio per lo sviluppo dell'Opus Dei in Colombia e nel resto del continente. Allo stesso tempo, la logica di Dio permette di considerare nell’ottica migliore i risultati umani, i numeri e i successi o fallimenti esterni, poiché l'essenziale è aiutare molte persone a incontrare Gesù nel proprio cuore, e questo lo può vedere solo Dio.

Che cosa si aspetta dall'Opus Dei nei prossimi 50 anni?

Mi piacerebbe che l'Opus Dei sapesse propagare l’amicizia, la fede manifestata con opere, la libertà di spirito e la creatività necessarie per portare a termine la missione evangelizzatrice della Chiesa e collaborare alla costruzione di una società giusta.

In che cosa consiste il servizio che un membro dell'Opera può prestare alla Chiesa?

La vocazione specifica dei membri dell'Opus Dei, che nella stragrande maggioranza sono laici e solo per il 2% sacerdoti, chiama a un incontro personale con Cristo nella famiglia, nel lavoro, nelle relazioni sociali, nella consapevolezza che la ricerca della santità non è per superdonne o superuomini, ma per persone in carne e ossa, con successi e insuccessi. La "santità nel bel mezzo della strada" che predicava san Josemaría invita a cercare le soluzioni adeguate per i problemi di ogni luogo e di ogni tempo.

Qual è o dovrebbe essere il ruolo dei laici nella Chiesa?

Come ha sottolineato il Concilio Vaticano II, la vocazione specifica dei laici consiste nella vivificazione cristiana delle realtà temporali: il lavoro, la famiglia, il commercio, la cultura, eccetera. Hanno il compito di contribuire alla santificazione del mondo, manifestando per quanto possono l'amore di Cristo in ogni luogo e circostanza; per riuscirci c'è ancora molta strada da percorrere. Penso, per esempio, alla formazione dei laici nei campi della bioetica o della giustizia sociale, alla loro consapevolezza di essere protagonisti dell'evangelizzazione. La missione del laico non si esaurisce nell'"occupare posizioni" nelle strutture ecclesiali.

Nel 1946, quando san Josemaría chiese l'approvazione giuridica dell'Opus Dei, gli dissero che era arrivato con un secolo di anticipo. Tenendo conto dell’avvicinarsi del primo centenario, crede che la riforma degli statuti, richiesta dalla Santa Sede, abbia qualche relazione con quella risposta data al fondatore?

Nel 1946 l'Opus Dei era presente in quattro paesi e oggi in 70. In quel momento risultava sorprendente il messaggio, rivolto specificamente ai laici, della ricerca della santità in mezzo al mondo e sembrava in anticipo sui tempi, nonostante le sue profonde radici evangeliche. Posso assicurarle che l'attuale modifica degli statuti, richiesta dal Santo Padre, si sta realizzando proprio con il criterio fondamentale di adeguarsi al carisma, che oggi è più compreso e condiviso. Il diritto, tanto necessario, tiene dietro alla vita, al messaggio incarnato, per dare sostegno e continuità alla vita.

La maggior parte dei membri dell'Opus Dei sono donne, che per lo più sono coniugate. Come dare più risalto a chi dedica la propria vita a Dio da sposato?

Il matrimonio è un cammino di santità: nell'Opus Dei, sposati o meno, tutti condividono la medesima vocazione, missione e responsabilità. Gli sposi vivono con la consapevolezza che il loro amore per Dio passa attraverso la famiglia, le amicizie e il lavoro che svolgono nel mondo. Ciò ha un enorme potenziale trasformativo di servizio. Per quanto riguarda le donne che, come lei osserva, sono maggioranza, san Josemaría riteneva l’Opera incompleta senza di esse. Non si capirebbe l'Opus Dei senza il loro apporto insostituibile, come non hanno senso la famiglia, il mondo del lavoro o la vita sociale senza le donne.

Papa Francesco ha definito la crisi delle vocazioni una “emorragia per la Chiesa”. Lei ha dedicato la sua vita a Dio fin da giovane e poi è diventato sacerdote. Perché oggi è più difficile che le persone prendano in considerazione la vocazione al celibato apostolico?

Il mondo attuale affronta la sfida di tornare a credere nell’impegno duraturo, in un amore per tutta la vita che riempie di gioia e di libertà. A tanti l'impegno sembra un limite, quando invece Dio spalanca sempre orizzonti luminosi. Direi che è fondamentale recuperare la virtù della speranza.

“Nella Chiesa c'è spazio per tutti”, ha detto papa Francesco alla Giornata Mondiale della Gioventù 2023 di Lisbona. Che cosa significa esattamente questa apertura e come può l'Opus Dei trasmettere questo messaggio?

È san Paolo ad affermare che Dio vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. Il Papa ha messo questo universalismo alla base e al centro del suo magistero. San Josemaría raccomandava ai suoi figli spirituali di tenere le braccia aperte a tutti. In un’epoca di polarizzazione, divisioni e muri, chi segue Cristo ha un cammino chiarissimo da percorrere.

Nell'Opus Dei ci sono persone di tutte le età. Che cosa può fare, come padre e prelato, per promuovere la cooperazione intergenerazionale nell'Opera?

A casa mia, a Roma, abitano una persona di centodue anni e un'altra che è ancora trentenne. Tra tante altre cose, i più anziani apportano esperienza e i giovani entusiasmo e vitalità. Dovremmo affrontare l’esperienza intergenerazionale con affetto, sapendo che talvolta richiede sacrifici a entrambe le parti.

Di alcune persone dell'Opus Dei sono riconosciuti i contributi alla società, come scuole, università e opere sociali. Tuttavia, sono anche oggetto di narrazioni ostili. Quale crede che ne sia l’origine e come contrastarle?

A volte penso che le narrazioni di cui parla ci aiutino a purificare la tentazione di pensare che non dobbiamo correggere alcunché o, peggio, di sentirci soddisfatti. Abbiamo bisogno, come tutti, di riflettere sul bene che vogliamo fare e su quello che riusciamo a fare davvero. Il nostro fondatore, in effetti, ci faceva presente che l'Opera deve vivere “senza gloria umana”.

D'altra parte, è naturale che ci siano visioni diverse, perché ci sono molti modi di fare e di concepire le cose. Le opinioni contrarie possono essere un aiuto quando sono sincere; ci permettono di chiedere perdono e correggerci. Mi piacerebbe che chiunque si avvicini a quelle iniziative potesse vedere che servono a seminare pace e gioia.

Personalmente, mi rallegra constatare che quasi ogni giorno riceviamo una richiesta di ammissione all'Opus Dei da parte di persone che un tempo ne avevano fatto parte e che, per un qualsiasi motivo, se ne erano allontanate. Notizie come queste sono carezze del Signore che, in un certo senso, superano certe narrazioni troppo polarizzate.

Il prossimo anno si terrà il Giubileo dei Giovani a Roma. Qual è, secondo lei, la sfida maggiore che i giovani affrontano oggi per avvicinarsi a Dio come a un ideale attraente?

Solo Cristo è la risposta a tutti gli interrogativi odierni che si agitano nel cuore dei giovani, le cui ferite e fragilità soltanto l’amore del Padre è in grado di risanare, quando essi si aprono a Lui. Forse, siamo piuttosto noi adulti a doverci chiedere se siamo capaci di comprendere i giovani. Ovviamente, per mostrare l'attrattiva della vita in Cristo, è essenziale anche la testimonianza di una condotta coerente.