Giovanni Paolo II è per il teologo e sacerdote francese Laurent Touze, un maestro di preghiera e contemplazione.
Durante il simposio più volte Giovanni Paolo II è stato indicato come un maestro di preghiera e di contemplazione. Secondo lei, quali sono i tratti principali del suo insegnamento sulla preghiera?
Tra i diversi tratti, ne citerei soltanto due, sia per la loro centralità che per la loro bellezza; una bellezza che incoraggia a pregare. Il primo: Cristo è cammino verso il Padre, pertanto la nostra preghiera deve passare inevitabilmente attraverso Cristo, che incontriamo nella sua Parola e nell’Eucaristia. Il secondo: la nuova evangelizzazione richiede da tutti i battezzati - sacerdoti, laici, consacrati - la propensione a diventare sempre più anime di preghiera.
Si tratta di un insegnamento dottrinale o prevalentemente sperimentale?
Io direi che si tratta di un magistero che nasce anche dalla personale esperienza di preghiera del Papa. Non è che abbia incontrato molte volte Giovanni Paolo II, ma quando ho avuto questa fortuna, ho sempre sentito ciò che hanno detto in molti: è un uomo che prega, che guarda gli altri con lo sguardo della preghiera. Veramente, si percepisce che la sua orazione lo aiuta a vedere le persone e gli avvenimenti grandi e piccoli con gli occhi di Dio.
Un Papa più “silenzioso”, come quello del “Gemelli” e ora convalescente in Vaticano, ci “dice” qualcosa sulla preghiera?
Certamente, senza dubbio! Da quando il Santo Padre è tornato dall’ospedale, mi sono spesso ricordato di ciò che mi raccontò un suo collaboratore, che perse la propria sorella in concomitanza con una precedente malattia del Papa.
Quando fu ricevuto poco dopo da Giovanni Paolo II, egli gli disse: “La Chiesa aveva bisogno del tuo dolore e della mia sofferenza”. Proprio perché ama Cristo, perché ama la Croce, il Papa legge la sua vita con lo sguardo del contemplativo, e capisce ciò che possiamo intuire dei piani divini.
Se la vita cristiana consiste essenzialmente nella contemplazione del volto di Cristo, come si può giungere ad esso in mezzo al frastuono quotidiano in cui si muove la maggior parte dei cristiani?
La stessa domanda, se la sono posta molti mistici contemporanei, proprio perché la Chiesa è divenuta più consapevole della chiamata universale alla santità.
Se tutti i battezzati - e soprattutto i laici, che sono la maggioranza - devono essere santi, apostoli di Cristo, devono diventare contemplativi, ciascuno nel proprio ambiente familiare e sociale. Penso qui ad esempio a Raïssa e a Jacques Maritain [due dei più grandi filosofi del XX sec., ndr]. In quel contesto, mi è specialmente vicina la figura di san Josemaría Escrivá che ha guidato sui cammini dell’orazione tante anime che vivono nel mondo delle professioni.