“Ho sempre notato un atteggiamento affabile, sereno, diretto”

Riproduciamo l’articolo di Jorge Rouillón su Papa Francesco, pubblicato sul giornale "Los Andes di Mendoza" (Argentina) nello scorso maggio. L’autore, numerario dell’Opus Dei, è giornalista, specializzato su temi religiosi e culturali.

Jorge Rouillon. Avvocato e giornalista.

Un giorno ho chiesto al cardinale Jorge Bergoglio se poteva pregare per me, perché in quei giorni attendevo il risultato di un esame medico della prostata e c’era il dubbio che potesse esserci qualcosa di maligno. Il risultato poi era stato positivo per me e avevo completamente dimenticato la questione. Due o tre mesi dopo rividi l’arcivescovo di Buenos Aires. Appena mi vide mi domandò “Devo continuare a pregare?”. Dovetti pensarci su prima di capire a che cosa si stesse riferendo. Aveva continuato a tenere presente nella sua orazione personale ciò che per me era ormai passato in secondo piano.

Sono moltissime le persone che possono riferire sull’interesse, la capacità di ascolto, l’attenzione personale, la vicinanza, che ha offerto loro questo cardinale, semplice, abituato ad andare in metro o in autobus, ad alzarsi all’alba e a coricarsi presto, a visitare i malati e i poveri senza farsi notare, a ritrovarsi con gli abitanti dei quartieri più emarginati, senza gesti che inducano i giornali a scriverne. Un cardinale che ora è stato chiamato “dai confini della terra” a essere il vescovo di Roma e quindi il capo visibile della Chiesa cattolica in tutto il mondo.

Io sono un giornalista e per anni ho tenuto una rubrica settimanale di attualità religiosa su La Nación, un giornale nazionale. Con lui non ho mai avuto una lunga intervista personale, perché non ne ha mai concesse (ricordo soltanto un foglio con una serie di domande e risposte concesso ai giovani giornalisti di una rivista cattolica per la gioventù e, nel 2001, una conferenza stampa con circa quindici corrispondenti stranieri, alla quale io non partecipai).

Mi pare di essere stato nel suo studio e nel suo appartamento soltanto il giorno in cui fu nominato cardinale, perché lì aveva ricevuto la notizia in tutta semplicità, in solitudine, dopo essersi preparato il pranzo. Però sono numerose le volte che l’ho incontrato all’inizio o alla fine di cerimonie, di visite a ospedali, a case o chiese, a ricevimenti o incontri. In verità, non ha alcun interesse per le riunioni sociali e, se è obbligato a partecipare e gli è possibile, se ne va presto; però è sempre attento, cordiale, disposto ad ascoltare. L’ho visto servire pastarelle, caffè o una bibita al suo interlocutore (qualche volta, io stesso). E ho sempre notato un atteggiamento affabile, sereno, diretto.

Ricordo un giorno in cui si festeggiava la Giornata del Giornalista in un salone dell’arcivescovado di Buenos Aires. Forse c’erano più di un centinaio di colleghi. Il direttore di un giornale, che era piuttosto lontano dal suo modo di pensare e che aveva messo in discussione non poche delle sue affermazioni, fece avvisare che sarebbe arrivato in ritardo. Contrariamente alla sua abitudine di ritirarsi presto da qualsiasi riunione, Bergoglio rimase seduto per molto tempo, aspettandolo. Forse assai più di un’ora, tanto che quasi tutti erano già andati via. Quando arrivò, lo accolse con la massima deferenza, gli offrì qualche dolce, intrattenendolo in una conversazione cordiale, facendo domande sulla sua famiglia e interessandosi dei suoi figli. Parlarono entrambi amabilmente. Poi il cardinale ringraziò anche noi, io e tre o quattro giornalisti rimasti fino all’arrivo di questo collega, condividendo l’attesa e l’accoglienza.

Mons. Bergoglio.

Sicuramente l’ho visto molte volte, come altri giornalisti, in brevi conferenze stampa dopo la conclusione delle assemblee dei vescovi del Paese o nelle cerimonie ufficiali, nelle università, nei congressi accademici. Gli ho visto lavare i piedi a madri incinte in una maternità pubblica, ai malati in una casa per anziani, ai ragazzi in un ospedale dei bambini.

Mi ritorna alla memoria un episodio del 1999, appena un anno dopo che era stato nominato arcivescovo di Buenos Aires.

La porta mal ridotta del carcere di Villa Devoto si aprì e un sacerdote in clergyman nero uscì solo, con una ventiquattrore, in una strada buia. Era ormai sera, un giovedì santo, e andava a prendere un autobus, il 109, per ritornare a casa sua, nel centro di Buenos Aires. Usciva dal carcere dove aveva celebrato la messa per i reclusi e lavato i piedi a dodici di essi. Era rimasto lì due ore e mezzo conversando con i detenuti prima e dopo l’ufficio religioso.

Sul marciapiede di quella strada desolata, accanto all’enorme muraglia del carcere, ho potuto dialogare brevemente con lui. “Volevo che sentissero che i fedeli di Buenos Aires e Gesù erano vicini a loro”, disse il sacerdote. Era l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, allora monsignore e due anni dopo cardinale.

Quando stava per salutarmi, lo invitai a ritornare in centro nell’auto del giornale che avevo a disposizione con tanto di autista. Mi ringraziò, dicendo però che sarebbe ritornato sull’autobus che fermava girato l’angolo. Dovetti insistere ripetutamente, dicendo che andavamo nella stessa zona, e alla fine accettò di salire.

Prima, sul marciapiede, disse con calma, quasi sottovoce: “Gesù nel Vangelo ci dice che nel giorno del Giudizio dovremo rendere conto del nostro comportamento: ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero malato e mi avete visitato; sono stato carcerato e siete venuti a trovarmi”. Poi ha sottolineato che “il mandato di Gesù è un obbligo per tutti noi, e in maniera speciale per il vescovo, che è il padre di tutti”.

“Alcuni potranno dire: sono colpevoli – aggiunse Bergoglio -; ma io rispondo con la frase di Gesù: chi non è colpevole scagli la prima pietra. Ognuno di noi guardi nel proprio cuore e scopra le proprie colpe. Allora il nostro cuore diventerà più umano”.

Non parlammo troppo, nel viaggio di ritorno, con questo arcivescovo poco dedito alle interviste. Cose normali, del momento. Passando accanto a un grande magazzino, lo definì “uno dei nuovi templi del consumismo”.

Non volle che deviassimo di pochi isolati per lasciarlo davanti la porta di casa. Scese nella via pedonale Florida, perdendosi tra la folla. Preferiva camminare per alcuni isolati fino alla Curia, approfittandone per meditare la terza parte dei quindici misteri del Rosario che recita tutti i giorni. Poi avrebbe visitato da solo, quella sera, sette chiese, per adorare Gesù Sacramentato, una consuetudine che molti cattolici osservano la sera del giovedì santo. Come qualunque altro fedele, l’arcivescovo avrebbe visitato le chiese senza che nessuno lo aspettasse in modo particolare.

Il Papa con i giornalisti.

Mentre scendeva dall’auto mi disse: “Lei ha ottenuto quello che nessun giornalista ha mai ottenuto: tenermi prigioniero per 40 minuti. In genere riesco a svignarmela”. Sicuramente non immaginava allora che alcuni anni dopo avrebbe avuto, a Roma, una riunione, sincera e amabile, con circa 6.000 giornalisti, ai quali avrebbe parlato con scioltezza poco prima di un’altra Settimana Santa.

Quella sera, nel salutarci, ci augurò, al cronista e al conducente: “Buona Pasqua!”.

    Por Jorge Rouillon // Los Andes