Video: Mons. Fernando Ocáriz: Allargare il cuore | Evento "Be To Care"

Il 29 settembre 2022, nel contesto dell'evento "Be To Care", al quale hanno partecipato tanti imprenditori sociali provenienti da 30 paesi, mons. Fernando Ocáriz, prelato dell'Opus Dei, ha condiviso delle considerazioni sull'azione sociale cristiana alla luce del messaggio di san Josemaría.

In occasione del decimo anniversario di Harambee, mons. Javier Echevarría tenne la conferenza “Il cuore cristiano, motore dello sviluppo sociale[1]. Nel 20° anniversario dell’associazione, vorrei proseguire le riflessioni del mio predecessore nell'ambito di queste giornate sull'innovazione sociale. Alla luce della dottrina sociale della Chiesa e del messaggio di san Josemaría, mi soffermerò sulla dimensione sociale della vocazione cristiana.

Dieci anni fa, don Javier ci ricordava che il dialogo tra Gesù e un dottore della legge fa vedere che l'amore di Dio è inseparabile dall'amore del prossimo: «Quando un dottore della legge gli chiese qual era il primo comandamento, il Signore non si limitò ad affermare che l'amore di Dio è il più grande e il primo comandamento, ma aggiunse la necessità di amare il prossimo come comandamento incluso nel primo (Mt 22, 35-39)»[2].

È importante tenere presente la dimensione relazionale della persona. Benedetto XVI, nell'enciclica Caritas in veritate, afferma che «la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali. Più le vive in modo autentico, più matura anche la propria identità personale». Questa realtà «obbliga ad un approfondimento critico e valoriale della categoria della relazione (...)» e aiuta a «cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell'uomo»[3].

Voi, con modalità e prospettive molto diverse, vi dedicate professionalmente a prendervi cura delle persone, soprattutto le più bisognose, e a promuoverne la dignità. Sapete per esperienza che, sebbene le istituzioni e le strutture siano necessarie, per raggiungere un vero sviluppo globale occorre anche che le persone si incontrino, bisogna creare i contesti e le condizioni affinché questo processo si realizzi, cosicché la persona possa perfezionarsi in tutte le sue dimensioni. Come, cristiani, discepoli di Cristo, siamo chiamati, a nuovo titolo, a prenderci cura delle persone, a prenderci cura del mondo.

Che cosa vediamo nel mondo? Insieme a nuove possibilità di promozione umana offerte dai progressi della medicina, delle tecnologie, della comunicazione e da tanti esempi ispiratori, vengono alla ribalta le ingiustizie e le ferite sanguinanti dell'umanità. «Nel mondo di oggi, la povertà mostra molti volti diversi: malati e anziani che sono trattati con indifferenza, la solitudine che sentono molte persone abbandonate, il dramma dei profughi, la miseria nella quale vive buona parte dell’umanità, spesso conseguenza di ingiustizie che gridano al Cielo»[4].

Come vi dicevo ancora nella lettera che sto citando, «niente di questo ci deve apparire indifferente», siamo tutti chiamati a mettere «in movimento la “fantasia della carità” per portare il balsamo della tenerezza di Dio a tutti i nostri fratelli che si trovano nel bisogno»[5].

Quando gli esseri umani ignorano o trascurano la loro condizione di figli di Dio, tutte le loro relazioni – con se stessi, con gli altri e con il creato – ne risentono. Come ha detto papa Francesco, quando l'interdipendenza si trasforma in dipendenze, «perdiamo questa armonia dell’interdipendenza nella solidarietà»[6].

Siamo corresponsabili della cura del mondo, stabilendo relazioni fondate sulla carità, sulla giustizia e sul rispetto, superando soprattutto la malattia dell'indifferenza. San Giovanni Paolo II scriveva: «Sì, ogni uomo è “guardiano di suo fratello”, perché Dio affida l'uomo all'uomo»[7].

Buona parte delle iniziative che rappresentate sono nate per ispirazione di san Josemaría. E molti di voi, a partire dalla stessa ispirazione, lavorano in organizzazioni di segno e orientamento diverso, perché si sono sentiti spinti a "fare qualcosa", a non rimanere con le braccia incrociate.

Trasformare le realtà ordinarie in luogo di incontro con Dio e di servizio del prossimo fa parte del nucleo dello spirito dell'Opus Dei; è l'aspirazione di persone mature, sensibili verso gli altri e professionalmente competenti, che cercano di fare del mondo un luogo più giusto e fraterno. “Amare il mondo appassionatamente” comporta conoscerlo, prendersene cura e servirlo.

San Josemaría riassumeva l'atteggiamento cristiano verso i bisogni sociali in una lettera pubblicata negli anni ‘50: «Un cristiano non può essere individualista, non può disinteressarsi degli altri, vivere da egoista, voltare le spalle al mondo: è essenzialmente sociale, membro responsabile del Corpo Mistico di Cristo»[8].

Richiamandomi al fondatore dell'Opus Dei, mi soffermerò su quattro dimensioni: spirituale, professionale, personale e collettiva.

La dimensione spirituale

Potrebbe sembrare utopico pensare di essere in grado di fare qualcosa per alleviare la sofferenza dell'umanità. Sappiamo però che chi porta il peso del dolore umano è Gesù. Le piaghe del fianco, delle mani e dei piedi ricordano le piaghe del mondo e Gesù ci ha detto: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»[9].

Il cammino dell’identificazione con Cristo trasforma gradualmente il cuore umano e lo apre alla carità. L'unione con il Signore nei sacramenti e nella preghiera porta a scoprire il prossimo e i suoi bisogni e a prestare meno attenzione a sé stessi. La carità modifica il nostro sguardo. «La carità di Cristo non è soltanto un buon sentimento verso il prossimo, non si limita al piacere della filantropia. La carità infusa da Dio nell'anima trasforma dal di dentro l'intelligenza e la volontà, fonda soprannaturalmente l'amicizia e la gioia di compiere il bene»[10].

Tempo fa, in una lettera, vi ho invitato a chiedere al Signore di allargarci il cuore, di darci un cuore come il suo, «perché vi entrino tutte le necessità, i dolori, le sofferenze degli uomini e delle donne del nostro tempo, specialmente di quelli più deboli»[11]. Un cuore orante, in mezzo al mondo, che sappia sostenere e accompagnare gli altri nei loro bisogni.

L'identificazione con Gesù ci porta a interessarci alle necessità degli altri. Allo stesso tempo, il contatto con i bisognosi ci conduce a Gesù. San Josemaría scriveva: «I poveri – diceva quel nostro amico – sono il mio miglior libro spirituale e il motivo principale delle mie preghiere. Soffro per loro, e soffro per Cristo in loro. E, siccome mi addolora, capisco che Lo amo e che li amo»[12].

Gesù prediligeva i poveri e i sofferenti, ma volle essere egli stesso bisognoso e vittima. Nella persona che soffre scorgiamo Gesù che ci parla, come ci ha ricordato papa Francesco? Sappiamo imparare dai poveri, trovare in loro il volto di Cristo e lasciarci evangelizzare da loro[13]? Fin dai primordi della Chiesa si è compreso che il messaggio evangelico passa attraverso la sollecitudine per i poveri, che è il contrassegno dell'identità cristiana ed elemento di credibilità[14].

La dimensione professionale

Desideriamo mettere Cristo nel cuore di tutte le attività umane, santificando il lavoro professionale e i doveri ordinari del cristiano. Questa missione si svolge in mezzo alla strada, nella società, soprattutto con il lavoro. Come ci ricorda san Josemaría, «il lavoro ordinario – umanamente umile o brillante, non importa – ha un grande valore e può essere un mezzo efficacissimo per amare e servire Dio e gli uomini. Insegna ad amare tutti, a rispettare la libertà di tutti, a impegnarsi con piena autonomia, nel modo che riterranno migliore per cancellare incomprensioni e intolleranza e far sì che la società sia più giusta »[15].

Per chi vuole seguire Cristo, qualsiasi lavoro è un'opportunità per servire gli altri e soprattutto i più bisognosi. Ci sono professioni nelle quali questa ripercussione sociale si manifesta in modo più immediato o evidente, come per voi che operate in organizzazioni che si dedicano a migliorare le condizioni di vita di persone o di gruppi svantaggiati. Tuttavia, la dimensione del servizio non è solo per alcuni, deve essere presente in ogni lavoro onesto.

Sin da quando san Josemaría cominciò a diffondere il suo messaggio, diceva che per santificare il mondo non era necessario cambiare posto, professione o ambiente. Si deve cambiare sé stessi lì dove ci si trova.

Nell'ideale cristiano del lavoro confluiscono la carità e la giustizia. Lungi dalle logiche del "successo", il servizio che si presta agli altri è il miglior parametro della prestazione lavorativa di un cristiano. Soddisfare le esigenze della giustizia nel lavoro è un obiettivo alto e ambizioso; adempiere i propri doveri non è sempre facile e la carità va sempre oltre, chiedendo a ciascuno di uscire generosamente da sé stesso per andare incontro agli altri.

Nella parabola del buon samaritano, l'albergatore resta quasi in secondo piano: si dice solo che ha fatto il suo lavoro. Il suo comportamento ci ricorda che l'esercizio di qualsiasi impegno professionale ci dà l'opportunità di servire chi è nel bisogno.

Talvolta potrebbe affacciarsi la tentazione di “rifugiarsi nel lavoro”, nel senso di perderne di vista la dimensione sociale trasformante, accontentandosi di un falso spiritualismo. Il lavoro santificato è sempre una leva per trasformare il mondo e il canale ordinario per dare origine ai cambiamenti che conferiscono dignità alla vita delle persone, cosicché la carità e la giustizia permeino davvero tutte le relazioni. Svolto così, il lavoro può contribuire a sanare le strutture di peccato[16], trasformandole in strutture nelle quali possa veramente realizzarsi lo sviluppo umano integrale.

La fede ci aiuta a conservare la fiducia nel futuro. Come assicurava san Josemaría, «il nostro apostolato contribuirà alla pace, alla mutua cooperazione degli uomini, alla giustizia, a evitare le guerre, l’isolamento, l’egoismo nazionale e gli egoismi personali, perché tutti si renderanno conto di far parte della grande famiglia degli uomini, che per volere di Dio ha come meta la perfezione. Contribuiremo così a eliminare l’angoscia, il timore di un futuro di rancori fratricidi e a consolidare nelle persone e nella società la pace e la concordia: la tolleranza, la comprensione, la relazione, l’amore»[17].

La dimensione personale

Il messaggio dell'Opus Dei ci incoraggia a impegnarci per la trasformazione del mondo attraverso il lavoro. Ciò include anche “l'avere compassione”, come il samaritano[18], quale esigenza dell’amore, che fa giungere la legge (“l'obbligo”), alla sua pienezza[19]. L'amore rende la nostra libertà sempre più disposta e pronta a compiere il bene.

San Josemaría scriveva in una lettera del 1942: «L’universalizzazione dei rimedi sociali contro le piaghe delle malattie e dell’indigenza permette oggigiorno di raggiungere successi umanitari inimmaginabili in altri tempi, ma non potrà mai soppiantare, poiché si pone su un altro piano, gli effetti della tenerezza umana e soprannaturale che si esprime nel contatto immediato, personale, con il prossimo: la persona povera che vive nel quartiere accanto, il malato che soffre in un immenso ospedale (...)»[20].

Nella famiglia e nella società ci troviamo davanti a un vastissimo panorama e un cuore allargato cercherà di prendersi cura premurosamente dei suoi genitori anziani, fare l'elemosina, interessarsi dei problemi dei vicini, pregare per un amico che soffre, visitare un parente malato in ospedale o a casa, fermarsi a parlare con una persona senza fissa dimora che incontriamo spesso per strada, ascoltare pazientemente e così via.

Non ci viene chiesto di fare sempre più cose ma piuttosto di cercare di manifestare in noi stessi l'amore di Cristo per gli altri. La domanda sulla carità non è solo che cosa devo fare ma, innanzitutto, chi sono io per l'altro e chi è l'altro per me.

Se coltiviamo ogni giorno la solidarietà, ci troveremo in compagnia chi vuole fare altrettanto e le necessità del prossimo diventeranno un punto di incontro tra persone di buona volontà, cristiane o meno, per affrontare insieme le situazioni di povertà e di ingiustizia.

Il dialogo con il bisogno e la vulnerabilità ci possono arricchire di una delicata sensibilità e di una vita di preghiera ancorata alla realtà. Saremo disposti a vivere con più sobrietà, evitando il consumismo, il richiamo della novità, il lusso... e sapremo rinunciare a beni superflui che magari potremmo permetterci per la nostra condizione professionale. Saremo aperti al cambiamento, in grado di ascoltare ciò che lo Spirito Santo ci vuol dire attraverso la povertà.

Quello di Cristo con i bisognosi è un rapporto di uno a uno. Le opere collettive sono certamente necessarie, ma la carità è personale, perché tale è il nostro rapporto con Dio. In una cristiana o un cristiano maturo, il compimento personale delle opere di misericordia[21] è un processo organico, come lo sviluppo di un albero che, crescendo, dà più frutti e più riparo dal sole. A partire da questa prospettiva ci si può rendere conto della complementarietà tra le diverse manifestazioni dell'apostolato personale e la generosità con i bisognosi.

San Josemaría descriveva le conseguenze della carità vissuta in mezzo al mondo, proponendo l’esempio dei primi fedeli della Chiesa: «I primi cristiani fecero così. Non avevano programmi sociali o progetti umani da realizzare in ragione della loro vocazione soprannaturale, ma erano impregnati di uno spirito e di una concezione della vita e del mondo che non potevano non avere conseguenze nella società cui appartenevano»[22].

La dimensione collettiva

Non voglio dimenticare di ringraziarvi per il bene che fate attraverso le opere ispirate da san Josemaría, e di ringraziare quanti di voi lavorano, anch’essi ispirandosi a lui, in altre organizzazioni che prestano servizio diretto ai più bisognosi. Penso a quel giovane sacerdote che si prendeva cura dei poveri e dei malati nella Madrid degli anni '30 del secolo scorso. La «pietra caduta nel lago»[23] è arrivata lontano. Pur consapevoli dei nostri limiti, ringraziamo Dio e chiediamo aiuto per migliorare e andare avanti.

Le opere collettive tengono viva la sensibilità sociale cristiana e sono un’espressione civile e pubblica della misericordia. Come dice il Compendio di dottrina sociale della Chiesa, «per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta “in società”, così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora a un bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l'impegno finalizzato a organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume, oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale»[24].

San Josemaría ricordava che «l'Opus Dei [deve essere presente] dove ci sono povertà, disoccupazione, tristezza, dolore, affinché il dolore sia vissuto con gioia, la povertà scompaia, il lavoro non manchi (dando alle persone le competenze per svolgerlo) e sappiamo rendere presente Cristo nella vita di ciascuno, se lo desidera, poiché siamo grandi amici della libertà»[25]. Con i limiti di qualsiasi istituzione umana, le realtà collettive promosse dai fedeli dell'Opus Dei cercano di incarnare ed esprimere lo spirito di servizio nell’ambito sociale.

Nella vostra attività si fondono tutte le dimensioni che stiamo considerando: il fondamento spirituale, il lavoro professionale e la cura dei bisognosi considerati collettivamente (carità sociale), nei quali viene esaltata anche la dignità di ciascuno (carità personale). Così, la competenza professionale necessaria in un ambito che richiede sempre più specializzazione si coniuga con lo spirito cristiano che si esprime nelle opere di misericordia. Si potrebbe dire che, promuovendo queste iniziative o prestando ad esse la vostra collaborazione, aspirate a essere contemporaneamente samaritani e albergatori.

D'altra parte, ogni opera collettiva, non solo quelle percepite immediatamente come "sociali", può avere una dimensione sociale esplicita, una dimensione ecologica, delle finalità di servizio agli altri, uno stile di relazionarsi con i poveri, un'intenzione di riconciliare il mondo con Dio... Ogni opera collettiva di ispirazione cristiana (una scuola, un'università, una business school, un ospedale, una residenza, ecc.), sebbene la sua missione immediata non consista nel fornire aiuto a soggetti bisognosi, deve integrare nel suo ‘ethos’ questa caratteristica centrale del cristianesimo che è la carità sociale.

Pertanto, è logico che ogni opera collettiva si interroghi abitualmente sulle espressioni pratiche e tangibili del suo contributo sociale e del suo servizio alle persone più bisognose. Tale contributo è del tutto connaturale a tale attività e non un effetto accessorio.

Bisogna chiedersi: «Da quando questa iniziativa esiste, a quali bisogni sociali cerca di rispondere? Quali miglioramenti ha prodotto negli ambienti circostanti?». Il Signore ci chiede che, con l'immaginazione della carità, riflettiamo su questo aspetto in ogni iniziativa.

Nella prospettiva del centenario dell'Opus Dei (2028-2030)

I prossimi anni offrono un'occasione speciale per rivitalizzare il servizio ai bisognosi intervenendo individualmente o collettivamente, diventando più consapevoli della sua importanza nel messaggio di san Josemaría. A questo proposito, sono preziose le idee e le proposte che provengano da chi di voi vi si dedica immediatamente.

Oltre ai temi che proporrete, suggerisco due possibili linee di riflessione:

Lavorare insieme ad altri. San Josemaría ha sempre incoraggiato i fedeli dell'Opera ad aprirsi a ventaglio, a dedicarsi a progetti di servizio collaborando con tante altre persone, anche non cattoliche e non cristiane. La globalizzazione ha fatto sì che la distribuzione delle risorse, le migrazioni, la mancanza di accesso all'istruzione, il concatenarsi di crisi economiche, le pandemie e altre situazioni di crisi, riguardino sempre più persone. C’è una maggiore comprensione dell’interdipendenza della famiglia umana e si considera il mondo come la casa comune. Diventano sempre più necessarie le istituzioni di ogni genere che promuovono lo sviluppo e si sta affermando la convinzione che è necessario collaborare e coordinare le conoscenze e gli sforzi. In un momento in cui la sofferenza si è praticamente globalizzata, dovremmo sentirci più che mai figli di uno stesso Padre.

Ricerca e studio. Le vostre attività diventano osservatori privilegiati per cogliere le tendenze emergenti. Questa posizione, grazie alle vaste esperienze accumulate lavorando per lo sviluppo in diversi paesi e aree culturali, consente di progettare spazi specifici di ricerca e di studio. Potranno nascerne proposte di buone pratiche, programmi di formazione per volontari, attività di consulenza, congressi e incontri con istituzioni analoghe per ambiti di lavoro o affinità regionali, accordi con centri accademici per approfondire tematiche sociali da diverse prospettive, unendo il lavoro sul campo con la ricerca accademica. Queste possibilità richiamano l’ideale di san Josemaría, che vedeva i cristiani “in ipso ortu rerum novarum”, all'origine stessa dei cambiamenti sociali.

Vorrei concludere con altre parole forti e stimolanti di san Josemaría: «Un uomo o una società che non reagiscano davanti alle tribolazioni e alle ingiustizie, e che non cerchino di alleviarle, non sono un uomo o una società all'altezza dell'amore del Cuore di Cristo. I cristiani, pur conservando sempre la più ampia libertà di studiare e di mettere in pratica soluzioni diverse, mantenendo pertanto un logico pluralismo, devono coincidere nel comune desiderio di servire l'umanità. Altrimenti il loro cristianesimo non sarà la Parola e la Vita di Gesù; sarà un travestimento, un inganno, di fronte a Dio e di fronte agli uomini»[26].

Confidiamo che la riflessione che avviate oggi in vista del centenario dell'Opera, serva ad approfondire questa chiamata del nostro Fondatore e a concretizzarla a livello spirituale e personale, nel lavoro professionale e in tutte le iniziative sociali ed educative che si ispirano in qualche modo al suo messaggio. In questo, come in altri campi, valgono le parole di san Josemaría: tutto è stato fatto e tutto è da fare. Sicuramente ci incoraggerebbe a continuare a sognare.

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[1] Javier Echevarría, conferenza Il cuore cristiano, motore dello sviluppo sociale, ottobre 2012, Pontificia Università della Santa Croce.

[2] Ibid.

[3] Benedetto XVI, enciclica Caritas in veritate, 29-VI-2009, n. 53.

[4] Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 31.

[5] Ibid.

[6] Francesco, Udienza generale, 2-IX-2020.

[7] San Giovanni Paolo II, enciclica Evangelium vitae, 25-III-1995, n. 19.

[8] San Josemaría, Lettere I, Ares, Milano 2021, Lettera n. 3, 37d.

[9] Mt 25, 40.

[10] San Josemaría, È Gesù che passa, Ares, Milano 2022, omelia Il rispetto cristiano della persona e della sua libertà, 71d.

[11] Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 31.

[12] San Josemaría, Solco, n. 827.

[13] Cfr. Francesco, Messaggio per la V Giornata Mondiale dei Poveri, 14-XI-2021.

[14] Cfr. Benedetto XVI, enciclica Deus caritas est, 25-XII-2005, n. 20.

[15] San Josemaría, Colloqui, Ares, Milano 2002, n. 56.

[16] Cfr. San Giovanni Paolo II, enciclica Sollicitudo rei socialis, 30-XII-1987, n. 36.

[17] San Josemaría, Lettere I cit., Lettera n. 3, 38a-38b.

[18] Cfr. Lc 10, 33.

[19] Cfr. Rm 13, 8-10.

[20] San Josemaría, Lettera 24-X-1942, n. 44: AGP, serie A.3, 91-7-2.

[21] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2447.

[22] San Josemaría, Lettera 9-I-1959, n. 22.

[23] San Josemaría, Cammino, n. 831.

[24] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 208.

[25] San Josemaría, Una mirada hacia el futuro desde el corazón de Vallecas, Madrid 1998, pag. 135 (parole pronunciate l’1-X-1967).

[26] San Josemaría, È Gesù che passa cit., n. 167.

Fernando Ocáriz