Conobbi San Josemaría il 2 novembre 1948

Monsignor Javier Echevarría -attuale Prelato dell'Opus Dei-, ricorda quando, a sedici anni, ebbe il suo primo incontro con San Josemaría Escrivá a Madrid. Anni dopo, quando si trasferì a Roma, visse a fianco del fondatore dell'Opus Dei per 25 anni.

"Javi!" aggiunse San Josemaría, con voce ormai molto debole, mentre don Javier entrava nella stanza: "non mi sento bene". Furono le ultime parole di San Josemaría sulla terra. Era mezzogiorno del 26 giugno 1975 a Roma. Fu don Javier Echevarría -attuale prelato dell'Opus Dei- il destinatario di questa frase finale, dopo 25 anni di convivenza quotidiana. In queste righe egli ricorda il suo primo incontro col fondatore dell'Opus Dei a Madrid, quando aveva 16 anni.

Josemaría Escrivá e Javier Echevarría nel 1953

Avvenne a Madrid , il 2 novembre 1948, nel centro dell'Opus Dei di via Diego de León. Ero con altri membri dell'Opera, ed egli ci parlò di fedeltà alla vocazione e di trasformare la nostra vita in un continuo apostolato. Subito dopo, mons. Escrivá doveva recarsi a Molino-viejo, una casa per ritiri spirituali in corso di ristrutturazione, vicino a Madrid, e chiese a tre dei presenti, fra cui io, se avevamo del tempo e se volevamo accompagnarlo. Per tutto il viaggio continuò a cantare, facendoci notare che bisognava essere molto contenti di essere figli di Dio e di avere ricevuto la chiamata all'Opus Dei, al servizio della Chiesa e delle anime. Ribadiva con forza che dovevamo dedicare a Dio tutte le cose che facevamo; e portava come esempio le canzoni che aveva appena fatto ascoltare a noi, completamente sorpresi per la sua naturalezza, la sua gioia e il suo entusiasmo: aggiunse che i testi delle canzoni gli servivano per conversare con Dio e con la Vergine.

Durante il viaggio fui vittima di un attacco di nausea e ci si dovette fermare per ripulire l'interno della vettura e i miei abiti. Il vestito era tutto sporco, ma egli mi aiutò senza mostrare ribrezzo. Vedendo che mi vergognavo, non se ne curò affatto e mi trattò con uno straordinario affetto tanto che, montati di nuovo in auto, fece aprire il finestrino, preoccupandosi di farmi prendere aria, anche se il freddo avrebbe potuto dargli fastidio.

Io fui ammirato dalla naturalezza paterna e materna con cui mi aveva trattato; mi trattava come se ci conoscessimo da moltissimo tempo

Prima del mio malessere, aveva scherzato, facendo finta che la casa di ritiri fosse una delle costruzioni piccole e malandate che si vedevano in lontananza; si divertiva nel vedere la delusione sui nostri volti e diceva: "ma no, non è quella, dobbiamo ancora arrivare!". Poi, invece, badò solo al mio stato di salute, e mi chiedeva: "Stai bene? Non ti preoccupare, stiamo arrivando; non è successo nulla. Al nostro arrivo, ti puliranno il vestito, prenderai qualcosa che ti rimetterà a posto lo stomaco e starai meglio di prima". Io fui ammirato dalla naturalezza paterna e materna con cui mi aveva trattato; mi trattava come se ci conoscessimo da moltissimo tempo.

—E anni dopo, quando cominciò a lavorare accanto a mons. Escrivá…

—Quando mi nominò suo segretario, pur essendo io molto giovane, mi diede questa indicazione: "Puoi aprire e chiudere liberamente tutti gli armadi e i tavoli che uso, e guardare tutto ciò che vi tengo". Per me costituì la prova di una immeritata fiducia, se si pensa alla figura e allo spessore soprannaturale del fondatore dell'Opus Dei. Quando nel 1956 mi designò come Custos delle cose di tipo materiale, constatai ciò che talvolta gli avevo sentito dire: che viveva in una casa trasparente come il cristallo, perché chi gli stava vicino sapeva a che ora si alzava e si coricava, se si trovava in oratorio o al lavoro, se era a pranzo, a che ora usciva di casa e con chi si trovava; questo comportamento si doveva anche al fatto che era molto ordinato e voleva essere immediatamente reperibile, nel caso ci fosse stato bisogno di lui.

Cominciando a lavorare al suo fianco, negli anni cinquanta, mi sembrava di stare di fronte a una persona umanamente ricca di qualità; era affabile, cordiale, affettuoso, attraente, servizievole e attento agli altri, capace di percepire le necessità e le preoccupazioni altrui; a un buon maestro, che sapeva incoraggiare e correggere; a un superiore che infondeva fiducia ai collaboratori; e soprattutto di fronte a un sacerdote e a un Padre che giorno per giorno, istante per istante, mediante il suo lavoro, si dedicava completamente al servizio di Dio e delle anime, immerso in un'intensissima preghiera.

Echevarría Rodríguez, Javier y Bernal Fernández, Salvador, Memoria del Beato Josemaría Escrivá, Leonardo International, 2001.