In questi giorni viene naturale riflettere sull’identità del messaggio affidato da Dio a san Josemaría: la chiamata universale alla santità. È un messaggio talvolta difficile da capire, soprattutto se ci capita di non sapere cosa rispondere esattamente alla domanda “Chi è il santo?”.
Fuori dalla Chiesa, si tende a considerare e ad apprezzare dei santi gli aspetti più facilmente comprensibili e “visibili”, come la solidarietà di santa Teresa di Calcutta o la sensibilità per la natura di san Francesco. Chi possiede il dono della fede ha la possibilità di conoscere ancora meglio le vite di queste persone.
Ancora oggi è possibile scoprire una visione parziale o riduttiva della santità, anche tra persone di fede. Santo sarebbe chi abbandona tutto per seguire Cristo, in un monastero per esempio, o chi è favorito da speciali doni divini come le stimmate , il dono dei miracoli, la profezia, ecc.
Tutti questi possono essere indizi di santità, ma non sono ancora il nucleo della santità.
La santità che (non) si vede
Nel Paradiso, Dante Alighieri - che aveva una certa competenza sui santi - racconta numerosi incontri con santi del cielo: gente famosa e rinomata, ma anche personaggi semi-sconosciuti della quotidianità fiorentina dei suoi tempi. Tra questi, è emblematico il suo primo incontro con un’anima beata. Nel Cielo della Luna, per la prima volta il Poeta si trova di fronte a una schiera di anime sante. Una tra queste attira l’attenzione di Dante, perché sfavilla più luminosa, come fosse felice di vederlo. Egli ancora non la riconosce, ma si rivolge a lei chiedendole il nome. Questa si accende di gioia nel rispondere, e svela al poeta di essere una sua cara amica di infanzia: Piccarda Donati, sorella del più noto Forese. Allora Dante, come per giustificarsi di non averla riconosciuta al primo istante, risponde:
«(...) Ne' mirabili aspetti
vostri risplende non so che divino
che vi trasmuta da' primi concetti»
Qualcosa di divino e misterioso risplende nel volto dei santi, rendendoli quasi irriconoscibili a chi li conobbe in terra. Per Dante il beato in Cielo, il santo, è lo stesso uomo che ha vissuto in terra, ma trasfigurato e reso quasi irriconoscibile dalla pienezza di luce e di amore che emana.
È un episodio che ricorda lo smarrimento di Maria di Magdala e dei discepoli di Emmaus, così misteriosamente incapaci di riconoscere Gesù risorto (cfr Gv 20,11-18; Lc 24,13-35). Ma è qualcosa che richiama anche come l’amore, anche quello umano possa "trasfigurare" l’innamorato o l’innamorata. Non a caso possiamo dire di una persona: si vede che è innamorata!
La santità in Dio
La santità, di per sé, è un attributo divino, un qualificativo della vita di Dio. Egli è il Santo – che letteralmente può significare il Separato, il Diverso, l’Altro rispetto a noi. Per intuire la santità di Dio, possiamo guardare la santità del Figlio Suo, Gesù Cristo, piena immagine dello splendore paterno (cfr Eb 1,3). Egli è il “Santo di Dio” (Lc 4,34), il “Giusto” (Lc 23,47), confessano finanche i demoni e i peccatori.
Gesù ha reso visibile, ha rivelato, la santità di Dio nel mondo.
Ma Gesù Cristo non è venuto nel mondo a rivelarci la santità di Dio per poi abbandonarci alla nostra sorte. Il Verbo si è incarnato per risollevarci dalla nostra condizione, ed elevare la nostra vita all’altezza della Sua (Gv 1,12-13):
«A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati».
La Trinità desidera che gli uomini partecipino, entrino nella Sua stessa vita, e questa partecipazione è appunto la santità.
Quando si diventa santi?
In senso forte, dunque, la santità è una condizione che avremo in pienezza solo in Paradiso, dove solo i santi accedono. Ma il processo di santificazione inizia già qui sulla terra. Tale compito non è appannaggio esclusivo di certi stati di vita o di certe scelte vocazionali specifiche, ma chiamata per ogni uomo, secondo quella Parola di Gesù rivolta alla moltitudine: “Voi dunque siate perfetti, com'è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
Fedele alle ispirazioni divine, san Josemaría ha dedicato la sua vita a ricordare questo messaggio di Gesù Cristo. In una lettera del 1930, egli scriveva: «Siamo venuti a dire, con l’umiltà di chi sa di essere peccatore e poco altro – homo peccator sum, diciamo con Pietro –, ma con la fede di chi si lascia guidare dalla mano di Dio, che la santità non è per gente privilegiata: il Signore ci chiama tutti, da tutti si aspetta amore, tutti dovunque si trovino, qualunque sia il loro stato, la professione o il mestiere che svolgono. Infatti, la vita di tutti i giorni, ordinaria, non appariscente, può portare alla santità: per cercare Dio (...), poiché tutti i cammini della terra possono essere l’occasione di un incontro con Cristo.».
La santità, un tesoro della Chiesa
L’aspirazione e il cammino verso la santità nell’ordinario è ormai realtà nella vita di tante persone, che per grazia di Dio hanno scoperto cosa significa che Dio vuole vederci vivere da figli.
Recentemente, con la canonizzazione dei santi Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati la Chiesa ha ribadito chiaramente che è possibile una santità nell'ordinario. I due nuovi santi erano ragazzi giovani, non privi di difetti.
Per fare un esempio, Piergiorgio Frassati era un grande sportivo e un uomo di grande facilità relazionale, appassionato di politica; ma a scuola faceva moltissima difficoltà con il Latino, e fu rimandato due volte in questa materia. Carlo Acutis, pur appassionato di informatica, riscontrava problemi simili con la matematica, e un anno finì il liceo con un’insufficienza. Com'è facile ritrovarsi in queste piccole difficoltà scolastiche!
La santità non consiste tanto nell'essere perfetti, quanto nel vivere ed esprimere, pur sempre nei limiti delle proprie possibilità, quella pienezza d'Amore che è Dio.

