Meditazioni: 22ª domenica del Tempo Ordinario (ciclo C)

Riflessioni per meditare nella ventiduesima domenica del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Umiltà: conoscere la miseria e la grandezza; Una lotta serena; Il dolore dell’umiliazione.

  • Umiltà: conoscere la miseria e la grandezza
  • Una lotta serena
  • Il dolore dell’umiliazione

  • Le letture di questa domenica mettono in evidenza il valore dell’umiltà. Gesù, nel Vangelo, invita a scegliere l’ultimo posto nei banchetti, «perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). La superbia ci spinge a volerci innalzare, a rifiutare la nostra condizione di creature. Questo fu il peccato di Adamo ed Eva: non accettare i propri limiti, desiderare di essere come Dio. « Il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre veder riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori»[1].

    Al contrario, l’umiltà ci permette di guardarci con sano realismo. San Josemaría la definiva come la virtù che «ci aiuta a comprendere, ad un tempo, la nostra miseria e la nostra grandezza»[2]. Allo stesso tempo in cui riconosciamo i nostri limiti e difetti, siamo consapevoli delle nostre qualità e dei doni che abbiamo ricevuto da Dio. Vederci per quello che siamo, vedere chiaramente la nostra realtà, può farci provare vertigine. Pensiamo che, se gli altri conoscessero le nostre debolezze, smetterebbero di volerci bene. Ma solo a partire da quella verità – da quel terreno solido – si può costruire una vita autentica, libera dal peso delle apparenze, dal fingere di essere ciò che non siamo. Abbiamo bisogno di guardarci con gli occhi di Dio e ripeterci con fiducia: «Perché sono quello che sono, e nonostante tutto Dio mi ha voluto per qualcosa».

    «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, – leggiamo nella prima lettura –e troverai grazia davanti al Signore; Molti sono gli uomini orgogliosi e superbi, ma ai miti Dio rivela i suoi segreti» (Sir 3,18). La Sacra Scrittura ci mostra che ciò che il mondo applaude – il potere, la ricchezza, l’influenza – per il Signore è insignificante. Al contrario, ciò che passa inosservato, che è discreto, ha in realtà un valore incalcolabile. «L’occhio umano ricerca sempre la grandezza e si lascia abbagliare da ciò che è appariscente. Dio, invece, non guarda l’apparenza, Dio guarda il cuore (cfr 1 Sam 16,7) ed è incantato dall’umiltà»[3].

    SAN JOSEMARÍA, in una lettera rivolta ai suoi figli, li incoraggia a non perdere la pace di fronte all’esperienza della propria fragilità. «Non scoraggiatevi, a causa delle vostre miserie personali o delle mie, per le nostre sconfitte. Aprite il cuore, siate semplici: continuiamo a camminare, con più affetto, con la forza che ci dona Dio, perché Lui è la nostra forza»[4]. Spesso, la mancanza di speranza nella lotta interiore nasce dalla superbia, che di fronte alle nostre cadute ci fa credere che la santità sia irraggiungibile e ci chiude alla fiducia nell’aiuto di Dio e nel sostegno degli altri.

    L’umiltà, al contrario, ci permette di combattere con serenità, specialmente quando ci sentiamo più fragili. Quando il desiderio più profondo è amare Dio sopra ogni cosa, ricominciare dopo una caduta non si vive come un’umiliazione amara. «Se il Signore vede che ci consideriamo sinceramente servi poveri e inutili, che abbiamo il cuore contrito e umiliato, non ci disprezzerà, ma ci unirà a sé, alla ricchezza e alla grande potenza del suo Cuore amabilissimo. E avremo la divinizzazione buona: la divinizzazione di chi sa di non avere nulla di buono che non venga da Dio; che lui, da sé stesso, non è nulla, non può nulla, non ha nulla»[5].

    San Josemaría diceva spesso che si sentiva «capace di tutti gli errori e di tutti gli orrori»[6]. Questa consapevolezza realistica della propria debolezza porta a cercare la forza nel Signore, non nelle nostre qualità o nei nostri meriti. La superbia ci fa ignorare la nostra capacità di sbagliare, ci fa credere di essere immuni dal peccato; ma quando ci scontriamo con la realtà, quando ci accorgiamo di aver compiuto il male che non volevamo (cfr. Rm 7,19), ci sentiamo pieni di tristezza e frustrazione: «Com’è possibile che abbia fatto una cosa del genere?». Proprio in quel momento abbiamo ancora più bisogno dell’umiltà, per ricordare la grandezza del cuore misericordioso di Dio e renderci conto che Egli ha già operato la salvezza. La lotta non serve a conquistare il Suo amore, ma a riscoprire che il Signore ci aspetta sempre, per rialzarci e darci nuova forza. «Tutti abbiamo dei difetti, anche dopo anni e anni di lotta per vincerli. Quando dalla lotta ascetica traiamo scoraggiamento, è segno che siamo superbi. Dobbiamo essere umili, con il desiderio di essere fedeli. È vero che servi inutiles sumus. Ma con questi servi inutili, il Signore compirà cose molto grandi nel mondo, se ci mettiamo qualcosa di nostro: lo sforzo di alzare la mano per afferrarci a quella che Dio – con la sua grazia – ci tende dal cielo»[7].

    In molte occasioni vivremo momenti che, sebbene umilianti, possono trasformarsi in autentiche opportunità di crescita. Una correzione da parte di qualcuno a noi vicino. Chiedere perdono a chi si è sentito ferito – con o senza motivo – dalle nostre parole o azioni. Lasciare che qualcuno ci veda piangere, perché ci mancano le forze o non sappiamo come affrontare una difficoltà. Ammettere che, a causa di una malattia o dell’età, non siamo più in grado di fare le stesse cose o addirittura di provvedere a noi stessi. Riconoscere di aver sbagliato nel giudicare una situazione o nell’esprimere un’opinione.

    È naturale che queste esperienze ci facciano soffrire, perché mettono a nudo la nostra fragilità. Ma, se le accogliamo con umiltà, possono anche renderci più grandi. Perché invece di aggrapparci alla nostra immagine, al nostro modo di intendere la vita o alle nostre forze, ci apriamo alla grazia di Dio e all’aiuto che ci offrono gli altri. «Che importa inciampare, se nel dolore della caduta ritroviamo l'energia che ci raddrizza di nuovo e ci spinge a proseguire con slancio rinnovato? Non dimenticate che santo non è chi non cade, ma chi si rialza sempre, con umiltà, con santa ostinazione»[8].

    Dio ha guardato alla Vergine Maria proprio per la sua umiltà. «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore – canta nel Magnificat – perché ha guardato l'umiltà della sua serva» (Lc 1,47-48). Per questo san Josemaría incoraggiava a rivolgerci a lei quando ci sentiamo umiliati dai nostri errori. «Se davvero vuoi progredire nella vita interiore, sii umile. Ricorri con costanza, con fiducia, all'aiuto del Signore e della sua Madre benedetta, che è anche tua Madre. Con serenità, tranquillamente, per quanto possa farti male la ferita ancora non rimarginata del tuo ultimo scivolone, abbraccia di nuovo la croce e ripeti: “Signore, con il tuo aiuto, lotterò per non fermarmi, risponderò fedelmente ai tuoi inviti, senza paura dei ripidi pendii, né dell'apparente monotonia del lavoro abituale, né dei cardi e dei rovi del sentiero. Sono certo che la tua misericordia mi assiste, e che al termine del cammino troverò la felicità eterna, la gioia e l'amore per l'infinità dei secoli”.

    [1] Francesco, Udienza, 6-III-2024.

    [2] San Josemaría, Amici di Dio, n. 94.

    [3] Francesco, Angelus, 15-VIII-2021.

    [4] San Josemaría, Lettera 2, n. 25. (Traduzione nostra)

    [5] San Josemaría, Lettera 2, n. 29. (Traduzione nostra)

    [6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 162.

    [7] San Josemaría, Lettera 2, n. 24. (Traduzione nostra)

    [8] San Josemaría, Amici di Dio, n. 131.