​I fratelli che guardano al padre

Papa Francesco parla spesso della necessità di dar vita a una maggiore unità tra le diverse generazioni. La parabola del figlio prodigo, del fratello maggiore e del padre, narrata da Gesù, ci può aiutare ad approfondire questo argomento.

In quegli ultimi giorni Gesù aveva passato molto tempo tra coloro che, agli occhi della società, sembravano essere più lontani da Dio. L’evangelista san Luca ci dice che «tutti i pubblicani e i peccatori» (Lc 15, 1) si avvicinavano per ascoltare i suoi insegnamenti. Questo movimento di persone ha fatto sì che coloro che erano convinti di essere i custodi della legge mosaica cominciassero a mormorare tra loro. Il maestro, allora, decide di narrare tre parabole destinate a purificare l’immagine di Dio che essi avevano distorta, spesso per una mentalità legalistica che perde di vista l’amore divino. Il terzo di questi racconti è quello famoso su un padre e i suoi due figli (cfr. Lc 15, 11-32): il minore, che richiede l’eredità per sperperarla lontano da casa, e il maggiore, che rimane in casa ma senza mai riuscire a sintonizzarsi con il cuore di suo padre.

La negligenza dei due figli

Se leggiamo la parabola possiamo farci l’idea che i due fratelli passassero la maggior parte del tempo distratti, lontani dalla gratuità con la quale il padre li amava. Il più giovane sognava luoghi dove si immaginava più felice. A un equivoco del genere era arrivato attraverso la mente, forse non troppo dotata, e attraverso l’immaginazione – certamente più vivace –, fino a convincersi di poter comprare l’amore: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta» (Lc 15, 12). Il figlio maggiore, da parte sua, aveva un cuore addormentato, perché apparentemente copriva tutte le sue responsabilità; era soddisfatto, non dava dispiaceri a suo padre. Tuttavia, attraverso qualche fenditura, il gelo era penetrato nella sua anima. Forse un po’ per volta si era invischiato in una serie di progetti che, pur sembrando molto adeguati, escludevano chi tanto lo amava. Alla fine, nessuno dei due concepiva, sia pure inconsciamente, che fosse possibile raggiungere un’autentica felicità stando in famiglia. Mentre il più giovane la cercava lontano, il maggiore la identificava in una festa con i suoi amici. Nessuno dei due immaginava di poter raggiungere una vita di completa felicità accanto al padre.

San Giovanni Paolo II sottolinea che tutti abbiamo dentro di noi, contemporaneamente, qualcosa di entrambi i fratelli[1], forse non è un caso che Gesù abbia voluto rendere esplicito l’ordine fra i due. Può darsi che il Signore scegliesse il maggiore per indicare atteggiamenti più frequenti tra persone che da molto tempo cercano e trovano il Signore. Questo fratello, sicuramente, era riuscito a compiere con perfezione il proprio lavoro. Suo padre non poteva rimproverargli quasi nulla, sicché era tranquillo, non doveva niente a nessuno. Eppure, non era del tutto felice. Il più giovane, da parte sua, idealista e appassionato, può rappresentare atteggiamenti più comuni nelle tappe iniziali della vita. Forse era più vulnerabile all’attrattiva di una libertà indirizzata verso beni che alla fine non saziano. Fuggire, scappare e divertirsi può essere appetibile, ma non si può respingere indefinitamente la propria identità: presto o tardi vengono a galla carenze che soltanto Dio è capace di colmare. E neppure lui era felice.

I due fratelli vivevano in mezzo alla loro realtà in maniera scomoda. In un clima in cui era difficile che crescesse l’amore, che mettesse radici la tenerezza, che entrambi riuscissero a notare quanto fosse orgoglioso il padre della vita che conducevano entrambi e fino a che punto contasse su di loro. I loro sogni erano sfocati. Magari non erano accecati dall’egoismo, ma è probabile che avessero ceduto a una tentazione subdola: preoccuparsi soltanto di ciò che avevano tra le mani, dimenticando di farsi amare da chi aveva dato loro tutto. Forse, senza rendersene conto, avevano posto una barriera a questo amore. Mentre il più giovane immaginava quello che avrebbe potuto fare lontano dalla sua casa, il maggiore contabilizzava quello che già aveva messo da parte. Entrambi pensavano di possedere un bottino, ma in realtà lo stavano conservando in sacchi sfondati. Il fratello maggiore puntava all’attesa del premio, che secondo lui meritava, mentre il più piccolo non volle aspettare e reclamò l’eredità. In fondo entrambi chiedevano la stessa cosa: una ricompensa.

La gioia paterna di averli vicino

I due fratelli, aggrappati alle loro certezze, non erano neppure capaci di accorgersi di ciò che accadeva a poca distanza da loro, nel cuore del padre. Forse i due, ciascuno a suo modo, consideravano il rapporto quotidiano con lui una delle tante cose da fare. Forse anche a noi può succedere qualcosa di simile. Ogni giorno svolgiamo tante attività, la maggior parte buone, e in questo possiamo esaurire ogni nostra energia. Anche i momenti nei quali vogliamo dialogare con Dio, possono diventare semplicemente una delle tante attività. Al più giovane probabilmente questo tran tran quotidiano costava molto, perché aveva bisogno di qualcosa di più intenso e stimolante. Il figlio maggiore, invece, aveva inserito regolarmente tutto questo nella sua vita, ma non ne godeva, sicché la crisi era alle porte e si è scatenata con il ritorno a casa del fratello. Questo è il momento in cui ognuno mostra le proprie carte.

Allora, mentre il più piccolo non osa chiedere null’altro che rientrare nell’azienda paterna come operaio a giornata, fosse anche l’ultimo, ci accorgiamo che il maggiore non si sentiva ben pagato. Ma a questo punto il padre ha una giocata maestra: mentre premia il piccolo con una festa mai vista prima, al maggiore ricorda che in realtà è a lui che appartiene tutto. Il padre cerca di riconciliare i suoi figli. Non si affligge per il peccato dell’uno o dell’altro in quanto tale, ma perché loro due soffrono: «Non piangete su di me, ma piangete [...] sui vostri figli» (Lc 23, 28). Il padre li pone l’uno di fronte all’altro perché imparino ad amarsi con l’amore con il quale egli li ama.

Superare il nostro isolamento e osservare come si commuove il Signore vuol dire ritornare alla casa paterna, riconoscere che, più che un compito, il rapporto con Dio, nostro Padre, è un dono. Nessuno dei due era stato capace di apprezzare la sua profusione di tenerezze finché entrambi non fanno esperienza del freddo che gela e della solitudine che opprime. È bastato un piccolo gesto perché comprendessero fino a che punto sono amati: «Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15, 20); «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15, 31). Suo padre si sente orgoglioso di loro pur se loro non gliene hanno dato motivo. Dalle parole di ognuno di loro che la parabola ci riferisce, constatiamo soltanto ciò che essi fanno, sentono o pensano. Nelle parole del padre, al contrario, appare evidente la gioia di averli vicino.

San Josemaría conosceva molto bene questo tipo di situazioni, tanto comuni anche se a volte nascoste; possiamo desiderare la vertigine del figlio minore oppure essere un po’ addormentati come il figlio maggiore. E invece il fondatore dell’Opus Dei vedeva in questo rapporto quotidiano con il padre il più tenero affetto: «Piano di vita: monotonia? Le carezze della madre, monotone? Non si dicono sempre le stesse cose quelli che si amano? Colui che ama si centra sui particolari»[2]. Attraverso questi incontri ci concentriamo sulla gioia di Dio per averci accanto a sé.

Un’alleanza desiderata

«Non sarà allontanandoci dalla casa del Padre che diventiamo liberi, ma piuttosto abbracciando la nostra condizione di figli»[3] e, dunque, di fratelli. Può darsi che il più giovane sia andato a cercare il fratello maggiore. Forse il maggiore ha ceduto, è entrato e ha finito per abbracciare il fratello giovane, che sicuramente non aveva smesso di amare. La felicità non sarebbe completa se la riconciliazione con il padre non comportasse anche il perdono delle offese, reali o immaginarie, tra i fratelli. Papa Francesco ci ha confidato uno dei suoi grandi aneliti: «Ultimamente porto nel cuore un pensiero. Sento che questo è ciò che il Signore vuole che io dica: si faccia un’alleanza tra giovani e anziani»[4]. Il più giovane aveva difficoltà a capire il valore della perseveranza del fratello: anni e anni a compiere il proprio dovere. Al più anziano appariva incomprensibile la insensatezza del giovane. Gli accadeva esattamente il contrario che a suo padre, il quale non comprendeva la vita senza i suoi figli. Aveva bisogno di entrambi, ognuno con il proprio modo di essere e di volere.

Se fossero riusciti a guardarsi l’un l’altro con gli occhi paterni, si sarebbero sentiti contemplati in modo diverso, perché in quello sguardo non c’era posto per i giudizi né per i rimproveri. Forse, con il tempo, le carrube dei porci sarebbero diventate motivo di battute familiari. Probabilmente poco dopo il padre avrebbe organizzato a sorpresa un banchetto per il figlio maggiore e i suoi amici, senza altro motivo che dimostrargli il suo affetto, e anche il figlio più giovane avrebbe aiutato a prepararlo. Nessuno dei due riesce a essere felice se non si trova d’accordo con il padre e non comprende il fratello. Imparano a lasciarsi amare amandosi l’un l’altro così come sono.

Mentre il più giovane si era concentrato nel ricevere amore, il maggiore lo aveva fatto compiendo la sua parte di lavoro. Nessuno dei due atteggiamenti è valido per se stesso. Fare le cose senza amore stanca e logora finché alla fine la corda si spezza. D’altra parte, voler essere amato senza corrispondere è impossibile, e anche in questo caso la corda finirebbe con lo spezzarsi. Ecco perché quel padre insegna a vivere insieme con fedeltà e amore. Possono imparare tanto l’uno dall’altro! Grazie alla relazione che hanno con il padre intuiscono che le cose si possono fare per amore, liberamente, perché si ha piacere di farle. Nessuno come Cristo, vero uomo più grande di tutti, è riuscito a unire i due aspetti con tanta fedeltà e felicità. «Non c’è stato nella storia dell’umanità un atto così profondamente libero come il darsi del Signore sulla Croce»[5].

I due fratelli hanno bisogno l’uno dell’altro. Separati, naufragano nell’amarezza e il loro padre soffre. Uniti, lo fanno molto felice. Il giovane ha tutta la forza e l’impeto del suo desiderio di ricevere affetto; sprizza amore. «Ricordo – diceva san Josemaría – la gioia che provai quando venni a sapere che in portoghese i giovani sono chiamati os novos. Sono nuovi davvero»[6]. Il fratello maggiore, da parte sua, ha combattuto molte battaglie e, anche se in un primo momento non si rallegra, il suo cuore non respingerà la richiesta di suo padre. Il più piccolo, in fondo, forse ha piacere che il fratello maggiore gli abbia coperto le spalle e non abbia mai lasciato vuota casa sua. Concentrarsi nell’amore è la soluzione per entrambi: guardare al padre, ricevere il suo Spirito e amare chi egli ama con la sua stessa libertà, perché gli fa piacere. «L’amore dei nostri fratelli e delle nostre sorelle ci dà la sicurezza di cui abbiamo bisogno per continuare a combattere una bellissima guerra di amore e di pace»[7].

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La forza per superare la meschinità del nostro cuore possiamo ottenerla dal banchetto nel quale impariamo veramente a essere figli: «Forse qualche volta ci siamo domandati come poter corrispondere a tanto amore di Dio, e forse vorremmo vedere esposto chiaramente un programma di vita cristiana. La soluzione è facile ed è alla portata di tutti i fedeli: partecipare con amore alla Santa Messa, imparare nella Messa a mettersi in rapporto con Dio, perché in questo Sacrificio è contenuto tutto ciò che il Signore vuole da noi»[8]. In Cristo, Figlio Unico del Padre, sono entrambi capaci di comportarsi come figli e, dunque, come fratelli. Partecipando insieme al banchetto del vitello grasso, calzano i sandali nuovi per percorrere il mondo intero, indossano la tunica pulita che trovano a casa e mettono l’anello della fedeltà del loro padre. Allora comincia la festa durante la quale non smetteranno mai di cantare le lodi al padre che li guida e li comprende.

Probabilmente qualche volta ci ha meravigliati il fatto che non compare la madre di questa famiglia. Non ne sappiamo il motivo, ma forse possiamo immaginare che la Madonna, madre di Dio e madre nostra, ci aiuta sempre ad avere lo sguardo rivolto all’amore del Padre. Per ritornare a casa, per concentrarci nelle cose essenziali, niente di meglio che lasciarci portare nel grembo di una madre che ci sussurra all’orecchio: «Guarda come Dio ti ama».

Diego Zalbidea


[1] Cfr. san Giovanni Paolo II, es. ap. Reconciliatio et Paenitentia, nn. 5-6.

[2] San Josemaría, Schema per una meditazione, 22-VIII-1938. Citato in Camino. Edición crítico histórica, Rialp, Madrid 2004, p. 288.

[3] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-I-2018, n. 4.

[4] Papa Francesco, prologo del libro La saggezza del tempo, Marsilio Editori, Venezia 2018.

[5] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-I-2018, n. 3.

[6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 31.

[7] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 9-XI-2019, n.17.

[8] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 88.