Sacerdoti numerari o aggregati: Perché gli altri “possano brillare”

I sacerdoti incardinati nella Prelatura dell’Opus Dei: una missione di servizio dedicata a promuovere la santità e l’apostolato degli altri membri dell’Opera e di coloro che partecipano alle attività dell’Opus Dei.

L’avventura dei dodici apostoli era cominciata quando videro che aveva trasformato l’acqua in vino durante uno sposalizio. Più tardi videro che perdonava i peccatori e imponeva le mani sui malati. Collaborarono attivamente a dar da mangiare alla moltitudine e ascoltarono il discorso del pane di vita. La misericordia per tutti fu una quotidiana lezione per quel gruppo che Gesù aveva scelto tra coloro che lo seguivano, uomini e donne che lo accompagnavano entusiasti.

Dopo tre anni gli apostoli arrivavano a Gerusalemme per la Pasqua. Portavano con sé la preziosa esperienza di tutto quel tempo di convivenza con il Signore, però la loro fede era ancora immatura: mancava loro la lezione della croce e la contemplazione del Risuscitato. In quei giorni, nel Cenacolo, Gesù avrebbe istituito l’Eucaristia davanti ai loro occhi. E lì stesso, in quella sala, li avrebbe consacrati sacerdoti perché perpetuassero il suo sacrificio di amore attraverso i secoli.

«Fate questo in memoria di me» (Lc 22, 19): queste parole, che rimasero impresse a fuoco nei loro cuori, sono arrivate con tutta la loro forza fino a noi. Da quel momento, e obbedendo a questo mandato, i sacerdoti le ripetono con ammirazione e gratitudine nella celebrazione eucaristica. Gesù lascia le cose più sante – il suo corpo e il suo sangue – nelle mani di alcuni uomini normali, che invia per legare e sciogliere sulla terra, svolgendo la loro funzione sacerdotale a favore degli uomini (cfr. Mt 16, 19). Per volontà di Cristo questo sacerdozio ministeriale è una realtà essenziale: senza di esso non vi sarebbe Chiesa.

Sacerdoti con il carisma del 2 ottobre[1]

Facciamo ora un salto nel tempo, dalla Gerusalemme del I secolo alla Madrid del XX secolo. L’Opus Dei è ai primi passi e san Josemaría condivide questo carisma nascente con alcuni suoi amici sacerdoti diocesani, ai quali chiede di collaborare alle attività che sta mettendo in piedi. Tuttavia la maggioranza di quei buoni sacerdoti non riusciranno a fare propria la luce che Dio ha donato a san Josemaría e dopo un certo tempo rinunciarono a quelle attività[2]. È allora che il fondatore comprende che i sacerdoti di cui questa famiglia ha bisogno con una dedizione completa dovranno uscire dalle fila dei laici che si andavano incorporando e vivevano quella vocazione. Subito comincia a chiedere ad alcuni di loro se sono liberamente disposti a domandarsi se Dio li chiami al sacerdozio per servire in un modo nuovo la famiglia appena nata. Alcuni anni dopo, nel 1943, san Josemaría riceverà una luce che risolverà la maniera di incardinarli nell’Opera; e dal 1944 cominciarono a ricevere l’ordinazione sacerdotale alcuni fedeli numerari in gruppi più o meno numerosi. Alcuni decenni più tardi, dopo la morte di san Josemaría, quando era a capo dell’Opus Dei il beato Álvaro, riceveranno per la prima volta l’ordinazione anche alcuni aggregati.

San Josemaría scriverà tre lettere ai suoi figli sacerdoti, nelle quali specificherà i caratteri particolari del sacerdozio di questi numerari e aggregati nell’Opera[3]. Quando nel 1956 cominciò a scrivere la terza di queste lettere erano trascorsi tredici anni dall’ordinazione dei primi tre, Álvaro del Portillo, José Luis Múzquiz e José María Hernández Garnica, e già erano stati ordinati sacerdoti più di 150 numerari. In questi documenti troviamo risposta alle questioni più importanti: qual è la loro identità specifica, qual è la loro missione pastorale e, infine, che stile di vita hanno, data la loro vocazione all’Opus Dei.

Cambia tutto e non cambia nulla

Ben prima di intravedere una loro possibile chiamata al sacerdozio, i numerari e gli aggregati hanno, nell’accogliere la loro vocazione, abbracciato il dono del celibato. Fino alla loro ordinazione, la chiamata divina li ha portati a imitare la vita nascosta di Cristo: anni di intenso lavoro e di evangelizzazione. Cristiani normali, come tutti nell’Opera, cercano di vivere con autentica anima sacerdotale: offrono a Dio l’intera loro esistenza come offerta viva, santa, a lui gradita (cfr. Rm 12, 1), comunicando la vita di Cristo a tanti amici e conoscenti. Che significa, allora, il sacerdozio per questi uomini celibi che, per anni, hanno cercato di vivere come apostoli là dove lavorano?

Da un lato cambia tutto, perché la trasformazione che opera il sacramento è radicale. L’ordinazione sacerdotale dà un senso nuovo alla loro vita, li trasforma in amministratori dei misteri di Dio (cfr. 1 Cor 4, 1); li riveste di un nuovo modo di essere e di collocarsi nel mondo, incarnando l’unico sacerdozio di Cristo (cfr. Ebr 5, 1). Vengono ordinati, con parole di san Josemaría, «per essere – né più né meno – sacerdoti-sacerdoti, sacerdoti al cento per cento»[4]. E, allo stesso tempo in cui cambia tutto, in nulla cambia l’essenziale della loro vocazione all’Opera. In ogni caso, la donazione a Cristo e il loro impegno verso la Chiesa si riaffermano. Perciò i numerari e gli aggregati che sono chiamati al sacerdozio nell’Opera non subiscono «nessuna “crisi di identità”; la loro vocazione all’Opus Dei permane la stessa, unica, integra, immutata»[5].

Fin dagli anni in cui era seminarista, san Josemaría concepiva l’identità del sacerdote come un servizio. «Vogliamo soltanto servire»[6]: questa è stata l’esperienza della sua vita personale. Nel 1930, pochi anni dopo essere stato ordinato sacerdote, una persona gli chiese i passi della sua futura carriera sacerdotale. San Josemaría scrisse per sé questo appunto: «Il sacerdozio – gli dissi – non è una carriera: è un apostolato!! Questa è la mia convinzione. E ho voluto scriverlo in queste note perché, con l’aiuto del Signore, non mi dimentichi mai della differenza»[7]. Nella lettera prima menzionata, datata 1956, san Josemaría sottolineava questo anelito sin dal primo rigo: «Vi siete ordinati, figli miei sacerdoti, per servire. Lasciate che io cominci col ricordarvi che la vostra missione sacerdotale è una missione di servizio. Vi conosco, e so che questa parola – servire – riassume i vostri aneliti, l’intera vostra vita, e che è il vostro orgoglio e la mia consolazione»[8]. Las prospettiva vitale del sacerdote è, in sostanza, ripetere quello che Gesù fece nell’ultima cena: inginocchiarsi ai piedi dei suoi amici.

Inginocchiarsi per aiutare i laici nella loro vocazione

Pedro Casciaro ricorda che un giorno san Josemaría lo invitò a prendersi un po’ di tempo per discernere la chiamata al sacerdozio. E racconta che, quando lui decise che effettivamente questo cammino poteva andare bene per lui, il fondatore dell’Opus Dei, inginocchiatosi accanto a lui nell’oratorio della casa dove stavano, indicò il tappeto rosso collocato ai piedi dell’altare e gli disse: «Il sacerdote deve essere come questo tappeto. Su di esso si consacra il Corpo del Signore; è sull’altare, sì, ma è lì per servire; più ancora, è lì perché gli altri camminino sul morbido, e vedi bene, non si lamenta, non protesta… Capisci qual è il servizio del sacerdote? Vedrai che più avanti, nella tua vita, avrai modo di riflettere su questo»[9].

Nel caso del sacerdote numerario o aggregato, il contenuto fondamentale di questo servizio consiste nel mettersi a disposizione delle sue sorelle e dei suoi fratelli – inginocchiarsi! – per aiutarli a compiere la loro missione. Il nuovo posto che il sacerdote occupa nell’Opera consiste in un servizio alla santità e all’apostolato degli altri e, dunque, anche in una custodia dell’unità che li rende possibili. Chi bada a un tappeto? Chi evita di servirsene se la sua ragion d’essere è proprio che gli altri si sentano a loro agio e vogliano essere protetti dal freddo del pavimento? Come un buon tappeto che sta lì con discrezione, il sacerdote dell’Opera rimane tranquillamente in secondo piano, perché sa che, lasciando che i suoi fratelli laici emergano, egli sarà più efficace: così adempie la sua missione. Come consigliava il prelato dell’Opus Dei ai suoi figli sacerdoti, «voi sacerdoti vi sforzate in maniera particolare di non brillare, di non essere protagonisti, facendo in modo che nella vostra vita abbia il ruolo di protagonista e risplenda Gesù e che siano sempre le vostre sorelle e i vostri fratelli a brillare»[10].

Questo desiderio di servizio si traduce in tutta una serie di dettagli. Nell’Opera è normale che il sacerdote non si lasci servire per il fatto di essere sacerdote, ma sia come uno dei tanti suoi fratelli laici[11]. Non solo, ma senta di avere «più degli altri l’obbligo»[12] di servire con gioia, e questo atteggiamento evita qualsiasi eventuale traccia di clericalismo nello stile di vita delle persone dell’Opus Dei.

I quattro compiti di una missione

Torniamo ora alla scena del Cenacolo per fissare l’attenzione sul comportamento di Gesù: contempliamo come egli esercita l’unico sacerdozio, del quale tutti gli altri sacerdoti partecipano. Il Maestro si inginocchia e prende un catino per lavare i piedi dei suoi amici viandanti. Li bagna con l’acqua, li strofina per togliere la polvere e li asciuga con la tela che ha fissato alla cintura. Fa tutto questo con calma, come se non esistesse nulla di più importante in quel momento; o, meglio, perché non esiste nulla di più importante. Allo stesso modo, il sacerdote si inginocchia perché vuole aiutare i suoi fratelli a essere santi. Ma, cosa fare in concreto per aiutarli? Quali atti sacerdotali deve compiere? Qual è la sua missione specifica?

«Oltre che al proprio ministero sacerdotale nella Chiesa, che ha il suo centro nell’Eucaristia, i sacerdoti della Prelatura si dedicano principalmente al servizio ministeriale degli altri fedeli e a dare assistenza sacerdotale alle loro attività apostoliche[13]». Questa è la missione che hanno ricevuto dalla Chiesa: vivificare, con il loro sacerdozio, questa piccola famiglia nel popolo di Dio. Questo significa, per un verso, che la loro configurazione con Cristo sacerdote consiste nel vivere personalmente il carisma, in modo da trasmetterlo con la maggiore fedeltà possibile: serve con più efficacia quel sacerdote che meglio vorrà incarnare lo spirito dell’Opus Dei. Inoltre, il suo sacerdozio è soprattutto al servizio della santità dei membri dell’Opera, in maggioranza laici, dei soci della Società Sacerdotale della Santa Croce e di tutti quelli che partecipano alle loro attività apostoliche.

Naturalmente, il fatto di dedicarsi abitualmente a queste attività non limita l’esercizio del loro sacerdozio, anche se indubbiamente lo orienta, perché è la ragion d’essere del loro ministero. Qualunque altra attività sacerdotale, per quanto importante possa sembrare, è secondaria, perché è subordinata alla missione per la quale egli ha ricevuto l’ordinazione. «Specificamente – aggiunge il Padre, precisando ancor più questo compito –, a motivo della peculiare missione pastorale della Prelatura, si occupano soprattutto della celebrazione dei sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, della predicazione della parola di Dio, della direzione spirituale e di un ampio lavoro di formazione dottrinale»[14]. Vediamo un po’ più in dettaglio questi quattro compiti della loro missione.

In primo luogo, i sacerdoti numerari o aggregati vivificano l’Opera attraverso la celebrazione dei sacramenti, particolarmente l’Eucaristia e la Penitenza: i sacramenti quotidiani, quelli che accompagnano la vita di ogni giorno del cristiano. La celebrazione quotidiana della santa Messa costituisce l’impegno fondamentale del sacerdote: è la fonte dalla quale sgorga tutta la forza di Dio. Come ha scritto san Giovanni Paolo II, «La Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa»[15]. Quando un sacerdote vive realmente dell’Eucaristia, si nota nella sua vita e attorno a lui, in frutti di santità e di impulso apostolico.

I sacerdoti dell’Opera, inoltre, dedicano molte ore al sacramento della Penitenza. San Josemaría voleva che ascoltare confessioni fosse per i suoi figli «la passione dominante e un compito gioioso»[16]. Con la pratica caritatevole della confessione impariamo «ad avere più dolore e, quindi, più amore»[17]. Il sacerdote ha l’opportunità, in ognuna di queste occasioni, di essere il buon samaritano per i suoi fratelli e per quelli che si avvicinano al suo ministero: ripulire le loro ferite, alleviarle con parole imbevute di speranza e farsi carico delle spese della loro convalescenza. Ricevere con frequenza i sacramenti è la forza principale di coloro che vogliono portare la santità in tutti gli angoli del mondo e in tutti gli aspetti della vita. Quando il sacerdote concentra la sua vita nel favorire l’accesso ai sacramenti, ogni volta, nuovamente, prende coscienza della priorità della grazia: dell’azione di Gesù stesso nel suo lavoro: «Nascondermi e scomparire è ciò che devo fare; soltanto Gesù risplenda»[18]: così san Josemaría riassumeva la sua attività sacerdotale.

In secondo luogo, il sacerdote è ministro della Parola e ha «anzitutto il dovere di annunciare a tutti il vangelo di Dio»[19]. Nell’Opus Dei il sacerdote anima e infiamma i suoi fratelli anche con la predicazione, che ha l’obiettivo di facilitare, in modi diversi, l’incontro personale di ciascuno con Gesù[20]. Ne parlava san Paolo con grande chiarezza: «Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (2 Cor 4, 5). Per smuovere il cuore delle persone la predicazione dev’essere piena di vita, deve far riflettere, toccare il cuore, dare speranza. In particolare, l’orazione a voce alta è una peculiarità – senz’altro non esclusiva – del ministero sacerdotale nell’Opus Dei, volta a stimolare la relazione personale di ciascuno con Dio. Per pregare e per aiutare a pregare, per mostrare i ponti esistenti tra la fede e la vita, per arrivare con dono di lingue alle nercessità e alle situazioni degli altri, il sacerdote ha bisogno di dedicare tempo allo studio, in modo da poter migliorare sia lo stile che la profondità delle sue parole. Siccome lo scopo della predicazione è sempre e solo soprannaturale, il sacerdote deve avere un rapporto assiduo con lo Spirito Santo, che accompagna intimamente i cuori degli uomini e mette nelle loro mani il frutto di questo ministero della Parola.

In terzo luogo, il sacerdote è colui che accompagna le anime. Come assicurava san Josemaría, con la direzione o accompagnamento spirituale «si è cominciata e si è fatta l’Opera; e con questo lavoro, principalmente, occorre darle continuità»[21]. Questa attività, pertanto, è imprescindibile per il suo sviluppo, fa parte del nocciolo del carisma e riguarda tanto i laici che i sacerdoti. Il sacerdote segue molta gente, ogni tipo di persone, senza escludere nessuno, però si occupa in modo speciale dei suoi fratelli e delle sue sorelle dell’Opus Dei. Si tratta di una «attività bellissima, sacrificata, che non brilla, ma molto gradita da Dio e molto feconda»[22], perché oltretutto ha un grande effetto moltiplicatore. Difendendo sempre la libertà di ciascuno, la sua funzione «è quella di aprire nuove prospettive, aiutare la formazione di un criterio, indicare gli ostacoli e i mezzi adeguati per superarli, correggere le deformazioni o le deviazioni del cammino, incoraggiare sempre: senza perdere mai il punto di vista soprannaturale, che è una affermazione ottimista, perché ogni cristiano può dire che tutto può con l’aiuto divino (cfr. Fil 4, 13)»[23]. Il sacerdote, con la sua missione di consiglio spirituale, fa in modo che tutte le persone possano trovare in lui la vicinanza, la compassione e la tenerezza dello stesso Gesù, che egli rappresenta[24].

Infine, il quarto compito con il quale il sacerdote deve apportare vita nell’Opera è quello di una dedizione entusiasta alla formazione dottrinale, alla trasmissione della fede. Nel nostro contesto culturale non è possibile fare a meno di dedicare molte energie a questo aspetto dell’attività sacerdotale. In casi sempre più numerosi si tratta di un primo annuncio che spesso richiede, a sua volta, una reimpostazione personale di molti temi. «La dottrina è sempre la stessa, ma le strade attraverso le quali gli uomini possono arrivare ad assimilarla e a innamorarsene sono diverse»[25]. Questa missione, pertanto, si realizza attraverso i mezzi che si adattano meglio alle necessità del momento: meditazioni, lezioni, conferenze, seminari, pubblicazioni, interventi nei mezzi di comunicazione o nelle reti sociali, ecc. Il sacerdote ha bisogno di una formazione intellettuale profonda, che arricchisca la sua vita spirituale e che gli permetta di condividere con i suoi fratelli una profonda conoscenza della fede. Questa formazione non si propone di trasmettere solamente alcune conoscenze, ma di dare a ciascuno e a ciascuna gli strumenti necessari perché elaborino una sintesi personale della loro fede, e siano così capaci di illuminare tutti e anche di imparare da tutti.

Naturalmernte, non tutti i sacerdoti saranno esperti in ognuna di queste attività, né si sentiranno attratti da tutte con la stessa intensità. In ogni luogo si cerca con prudenza di trovare le attività che si adattano meglio a ognuno, tenendo conto anche delle necessità dell’Opera. È chiaro che vi sono molte altre cose buone da fare, ma queste quattro attività, distribuite sulla base delle caratteristiche personali di ciascuno, costituiscono il nucleo del loro ministero: in esse il sacerdote numerario o aggregato si fa santo e fa santi i suoi fratelli. Questa è la sua maniera concreta di lavare i piedi ai suoi. «È necessario che siamo come il canovaccio, che non si nota – diceva san Josemaría -, affinché gli altri risplendano con il ricamo dell’oro e delle sete raffinate delle loro virtù, sapendo metterci in un angolo, in modo che i vostri fratelli risplendano con il loro lavoro professionale santificato, nello stato in cui si trovano e nel mondo»[26]. Tutto questo richiede al sacerdote una forte consapevolezza della propria missione e un’intima unione con Cristo, specialmente quando altre attività potrebbero apparire forse più urgenti, efficaci o attraenti. Impegnarsi in questo compito presuppone una rinnovata fedeltà alla luce del 2 ottobre, della quale fa parte anche, come un altro aspetto di questa stessa fedeltà, l’adattamento alle necessità spirituali e culturali del momento.

Uno stile proprio fatto di secolarità, unità e libertà

L’identità e la missione sacerdotale si incarnano nella vita di ciascuno con tonalità e maniere proprie, ma dando luogo a una forma pastorale concreta. Indubbiamente, «il fatto che i sacerdoti della Prelatura vivano, come gli altri, lo spirito dell’Opera, implica un certo stile sacerdotale»[27]: uno stile i cui tratti possiamo scoprire nel sacerdozio di san Josemaría, sviscerando tutto ciò che in lui c’è di perenne e di universale. Anche se esiste solamente un unico sacerdote, Gesù Cristo, ed è unico il sacerdozio del quale partecipano tutti i sacerdoti della Chiesa in ogni tempo, è anche vero che troviamo nella Chiesa diversi stili sacerdotali, secondo la vocazione e la missione peculiare di ciascuno. Cercando di delineare lo stile di un sacerdote dell’Opus Dei, possiamo tornare nuovamente all’immagine del tappeto. Riflettendoci, esistono in realtà molti tipi di tappeti, e seglierne uno può essere complicato, data la straordinaria diversità di tessuti e di materiali diversi con i quali sono confezionati, le grandezze e le forme diverse, ecc. Che tipo di tappeto è il sacerdote numerario o aggregato?

In questo caso lo stile è segnato da vari fattori: la vita di famiglia, alla quale partecipano attivamente; la dedizione ai loro fratelli e sorelle, e alle attività apostoliche dell’Opus Dei; la spiritualità concreta che impregna il loro rapporto con Dio e con gli altri, e gli ulteriori aspetti della loro missione che danno una impronta particolare al loro sacerdozio. Tale impronta non va intesa come uno schema, come un principio di uniformità, perché ognuno conserva il proprio carattere e la propria personalità. Si tratta, piuttosto, di uno stile che germoglia con semplicità dal carisma che diventa vita e che, per ciò stesso, serve tale carisma.

Tra tutto, forse il carattere prioritario di questo stile peculiare è la secolarità che i sacerdoti hanno vissuto prima della loro ordinazione e che non perdono col sacerdozio. Questa secolarità comporta una maniera di pensare e di comprendere la realtà che san Josemaría chiamava mentalità laicale. Si tratta di un aspetto fondamentale del ministero sacerdotale dei numerari e degli aggregati, fra l’altro perché le attività apostoliche nelle quali sono chiamati a prestare servizio sono secolari: dirette da laici e a loro orientate. Il sacerdote numerario o aggregato è al servizio di chi dirige quelle attività; è per lui un sostegno, senza la pretesa di occupare uno spazio di governo che non appartiene a questa mentalità laicale. Proprio per il suo amore al sacerdozio e per tale secolarità così caratteristica, san Josemaría consigliava ai sacerdoti di non mettersi «mai nelle cose temporali. Sono i laici, ognuno secondo coscienza, quelli che si occupano delle cose della terra»[28]. In questo modo i sacerdoti possono prevenire meglio il rischio del clericalismo e stimolare la libertà personale dei laici.

Lo stile proprio del sacerdote numerario o aggregato è fortemente marcato dalla missione di essere strumento di unità nel luogo in cui vive, specialmente nei centri dell’Opera e in alcuni aspetti del loro governo. Il cuore del sacerdote impara da Gesù a servire con gioia tutte le persone, vegliando perché si avvicinino al Signore senza attaccarsi a chi è solo uno strumento e vegliando «con tutte le sue forze affinché non si formino mai gruppi o congreghe»[29] attorno a sé. I sacerdoti non fanno un lavoro personalistico: sono consapevoli che stanno compiendo il lavoro di Cristo nel mondo attraverso l’Opus Dei. Le anime sono nelle loro mani, ma non sono loro: sono di Dio

Allo stesso tempo, dato che il loro cuore è grande, a misura di quello di Cristo, san Josemaría scriveva che ogni sacerdote suo figlio «non può limitarsi a compiere gli incarichi apostolici che gli hanno affidato. Deve avere iniziativa […]»[30]. Questo è ancor più vero là dove i cristiani sono pochi o dove le attività dell’Opus Dei richiedono un tempo meno assorbente. «Non è nostro il modo di stare con le braccia conserte, aspettando che le anime arrivino»[31], perché non fu neanche il modo di fare di Gesù: nel Vangelo vediamo che il Signore esce in cerca delle anime. Non aspetta che vengano da lui; si dirige dove c’è gente: nelle piazze dei villaggi, sulle sponde del lago, nel Tempio.

Nell’agire «con iniziativa per avere un’abbondante lavoro sacerdotale»[32], il sacerdote numerario o aggregato tiene conto, naturalmente, che la sua prima preoccupazione è tesa a incrementare la vita interiore e l’apostolato di tutti i membri dell’Opera. Per ottenere questo, a parte essere sempre al servizio della Prelatura dell’Opus Dei, obbedendo al prelato e ai suoi vicari, come ogni sacerdote al suo ordinario, si avvale del sostegno e del consiglio dei direttori per ciò che riguarda le sue attività. D’altra parte, «nella misura del possibile, collabora anche alle attività della diocesi»[33]. È naturale, perché il sacerdote dell’Opus Dei sa di essere secolare, uguale ai suoi fratelli diocesani, sia per mentalità che per formazione. Per questo motivo stringerà con altri sacerdoti legami di amicizia e collaborerà con loro, sempre che le proprie attività glielo permettano, offrendosi per confessare o per aiutare nelle diverse attività che si svolgono nelle parrocchie. In definitiva, è grande l’importanza apostolica del sacerdote che sta nel posto nel quale è stato chiamato e che, al tempo stesso, non ha paura di lanciarsi in nuove iniziative apostoliche, complicandosi la vita per amore al Signore.

* * *

«Molte cose grandi dipendono dal sacerdote: abbiamo Dio, portiamo a Dio, diamo Dio»[34]. Questa è la missione gigantesca che il Signore ha affidato quella notte nel Cenacolo ai primi sacerdoti della sua Chiesa. Prima di farlo, tuttavia, ha voluto incidere nei loro cuori l’unico atteggiamento che rende possibile il servizio sacerdotale: abbassarsi, inginocchiarsi, come l’ultimo, lavare i piedi agli altri. Questa è la principale scuola per vivere un sacerdozio santo, chiamato a vivificare la Chiesa attraverso il carisma che Dio ha voluto per l’Opus Dei. In questa missione nessun sacerdote è solo, perché Maria, «madre dei sacerdoti»[35], li ascolta quando, bisognosi del suo aiuto, la cercano.


[1] In questo articolo si approfondisce la vocazione dei numerari e degli aggregati che vengono ordinati sacerdoti. Non è il caso di quegli altri sacerdoti, anch’essi «con il carisma del 2 ottobre», che tuttavia sono incardinati in una Chiesa particolare e rimangono all’intero servizio di essa.

[2] Cfr. J. L. González – J. Aurell, «Josemaría Escrivá en los años treinta: los sacerdotes amigos», Studia et Documenta, vol. 3, 2009, pp. 41-106.

[3] Si tratta delle lettere numero 10, 25 e 26, datate rispettivamente 2-II-1945, 28-III-1955 e 8-VIII-1956, e poi inviate nel 1966, 1964 e 1966, in questo stesso ordine.

[4] San Josemaría, «Sacerdote per l’eternità», in La Chiesa nostra Madre, Ares, Milano 1993, n. 35, p. 70.

[5] P. Berglar, Opus Dei. La vita e l’opera del Fondatore Josemaría Escrivá, Rusconi, Milano 1987, p. 210.

[6] San Josemaría, Carta 10, n. 17.

[7] San Josemaría, Apuntes íntimos, n. 127. Cfr. A Vázquez de Prada, Il fondatore dell’Opus Dei, vol. I, Leonardo International, Milano 1999, p. 110.

[8] San Josemaría, Carta 26, n. 1. Alcuni anni dopo il Concilio Vaticano II sottolineerà questa concezione del sacerdozio: in virtù dell’ordinazione e della missione che hanno ricevuto, i presbiteri «sono promossi al servizio di Cristo, Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al suo ministero» (Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 1).

[9] P. Casciaro, Al di là dei sogni più audaci, Ares, Milano 1995, p. 61.

[10] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 21.

[11] Cfr. F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 21.

[12] San Josemaría, Carta 26, n. 7.

[13] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 20. Cfr. Codice di Diritto Canonico, c. 295 in fine.

[14] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 20.

[15] San Giovanni Paolo II, enc. Ecclesia de Eucharistia, n. 1.

[16] San Josemaría, Carta 26, n. 30.

[17] San Josemaría, A tu per tu con Dio, n. 259.

[18] San Josemaría, Carta 28-I-1975, citata in E. Burkhart, J. López, Vita quotidiana e santità nell’insegnamento di San Josemaría Escrivá, vol. II, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2018, p. 357.

[19] Cfr. Concilio Vaticano II, Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 4.

[20] La predicazione può assumere forme diverse: una lezione dottrinale, una conversazione, una omelia, una meditazione, ecc. Sono generi diversi, con finalità diverse, che richiedono approcci e metodi diversi. D’altra parte, anche i laici commentano la Parola di Dio nella vita dell’Opus Dei, ma in situazioni nelle quali non è richiesto il ministero sacerdotale, come in un circolo breve, nel commento del Vangelo, nelle conversazioni di formazione, ecc.

[21] San Josemaría, Carta 26, n. 35.

[22] Ibid., n. 35.

[23] Ibid., n. 37.

[24] Cfr. Papa Francesco, Discorso in un simposio sul sacerdozio, 17-II-2022.

[25] San Josemaría, Carta 26, n. 38.

[26] Ibid., n. 8.

[27] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 20.

[28] San Josemaría, Carta 26, n. 51.

[29] San Josemaría, Carta 10, n. 32.

[30] San Josemaría, Carta 26, n. 35.

[31] Ibid.

[32] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 28-X-2020, n. 20.

[33] Ibid.

[34] San Josemaría, Carta 26, n. 17.

[35] Papa Francesco, Omelia, 29-III-2018.

José Manuel Antuña, Andrés Cárdenas, Gerard Jiménez