Perché ti sei stabilito in Slovenia?

Da alcuni mesi Jorge Garalcoechea vive a Lubiana, in Slovenia.

I primi membri dell’Opera erano arrivati in questo Paese cinque anni fa e c’era bisogno di ulteriori aiuti. Il Prelato mi ha fatto intravedere la possibilità di andare a vivere in Slovenia per aiutare coloro che vi si erano trasferiti. Ho riflettuto e ho detto di sì. A dire il vero mi hanno dovuto dare notizie più dettagliate su dove si trovava la Slovenia e come era, perché la cosa mi interessava ma non mi ero mai informato su una nazione così piccola, che si era resa indipendente dalla Jugoslavia nel 1991; e questo vuol dire – ahimé - che neppure a scuola l’avevo studiata.

Per il momento mi sto dedicando alla costruzione del nuovo Centro, a portare avanti un progetto educativo per gente giovane e a studiare la lingua.

Che sensazioni hai provato arrivando in Slovenia?

Posso dire di essermi sentito “a casa”. Il Paese ha circa due milioni di abitanti, tutti molto seri sul lavoro. La superficie non è grande, il paesaggio è tutto verde e piove quasi sempre. È come se abitassi ancora in una qualsiasi delle province basche.

La gente è molto buona e ho già un bel gruppo di amici, anche se faccio fatica a comunicare con loro perché la lingua è complicata e ancora non la padroneggio. Quelli dell’Opera che sono venuti cinque anni fa se la cavano molto meglio.

Quali difficoltà hai trovato?

Direi che la più grande difficoltà è la lingua. È strano, ma gli sloveni (e in genere gli slavi) imparano molto rapidamente le altre lingue europee, ma il contrario è assai complicato. Il tempo dedicato ai corsi di sloveno, e poi allo studio, è proprio tanto. Dopo poco più di un anno che sto qui, mi posso lanciare solo in conversazioni semplici e solo se l’interlocutore non parla in fretta o in uno stile troppo familiare, come accade spesso con la gente giovane.

L’altra difficoltà per me è il freddo. Io ho vissuto sempre nelle vicinanze del mare, dove poche volte si tocca lo zero; qui in inverno qualche volta si possono toccare i -20°. Il berretto e i guanti fanno parte dell’abbigliamento invernale di tutti.

Qual è stata la tua prima gioia?

Lubiana, la città in cui vivo, mi è piaciuta a prima vista. È grande quanto San Sebastián, molto curata e pulita, con edifici molto belli (anche se, purtroppo, è lontana dal mare). La vita qui è molto piacevole; per esempio, puoi andare per la città in bicicletta come mezzo di trasporto comune.

Poi metterei in evidenza il mio incontro con Tomaz, il mio primo amico sloveno. È un insegnante e mi aiuta a imparare la lingua. Recentemente mi ha invitato a parlare dei Paesi baschi ai suoi alunni; ne ho approfittato per lanciarmi con lo sloveno e credo che mi abbiano capito.

Come vedi il futuro dell’Opera in questo Paese?

Cinque anni non sono niente e si può dire che siamo appena agli inizi. Una buona parte della popolazione è cattolica, soprattutto nelle campagne, che sono la maggior parte del Paese. Il resto della popolazione è praticamente atea, frutto degli anni di comunismo. Molte famiglie hanno avuto qualche congiunto assassinato e si vede che hanno sofferto molto.

Noi dell’Opera siamo attualmente poco più di una dozzina, ma notiamo che il messaggio cristiano della santificazione nella vita ordinaria, nel lavoro, nella famiglia, ecc., va penetrando con forza. Per molti è nuovo, ma lo interiorizzano in profondità.

È pur vero che i primi a imparare siamo stati noi, specialmente riguardo alla sobrietà degli sloveni. Anche se si può dire che non vi sia disoccupazione, abitano in case molto piccole, con scarsi mezzi e retribuzioni bassissime per gli standard europei. In questa situazione occorre far fronte ai prezzi elevati, e questo richiede molti sacrifici.