Per fortuna c'era la pausa-caffè…

Piermassimo Zucco, soprannumerario, impiegato ora in pensione, racconta con semplicità la sua vita e quella della sua famiglia, e il modo di affrontare la realtà di un figlio ritardato mentale.

Quando mi si chiede come ho conosciuto l’Opus Dei, rispondo senza esitare: “Tra un caffè e l’altro”, e poi mi spiego meglio. Verso la fine degli anni sessanta iniziai a lavorare in un’azienda dove lavorava anche un mio amico, ma per una decina di anni ci frequentammo poco, poiché il suo lavoro si svolgeva prevalentemente all’esterno della sede aziendale.

Nel frattempo io mi sposai e nella mia famiglia nacquero due figli: Miriam e Francesco. Quando però il mio amico rientrò nella sede aziendale, il caso volle che i nostri uffici fossero molto vicini. Accadeva così che quasi ogni giorno squillasse il mio telefono e al mio “Pronto” una voce ben conosciuta dicesse: “Andiamo a prendere il caffè!”. Fu proprio in queste pause che l’amico cominciò a parlarmi di generosità, di disponibilità, di non perdere tempo, di lavoro compiuto fino in fondo, di sincerità nel parlare. Questi discorsi erano accattivanti e gli chiesi dove aveva scoperto queste cose: fu così che mi parlò di un Centro dell’Opus Dei dove lui trattava di questi argomenti con altri amici, a volte anche con un sacerdote.

Dopo un po’ di tempo un giorno mi disse: “Quando esci dall’ufficio, questa sera cosa fai?”. Io a quell’epoca, nel tempo libero, collaboravo alla gestione della scuola materna frequentata da mia figlia. Quella sera ero libero e così potei accettare l’invito in un piccolo appartamento di Torino, in corso Re Umberto, dove incontrai varie persone divertenti e simpatiche. Il mio amico mi disse che, se volevo, c’era anche per me un sacerdote disponibile per una chiacchierata a quattr’occhi. Fu così che pochi minuti dopo mi ritrovai in ginocchio davanti al sacerdote... poiché mi ero deciso a fare una buona confessione. Rimasi molto colpito dalle sue parole che, se anche un po’ esigenti, erano molto incoraggianti. Non ci eravamo mai visti prima, ma il suo tono era amichevole e, benché fosse molto giovane, lo sentii molto paterno.

Dopo questo incontro, sempre in compagnia dell’amico-collega, cominciai a frequentare i ritiri spirituali e altri incontri di formazione cristiana. Il desiderio di parteciparvi era suscitato sia dagli argomenti, quali il lavoro, la famiglia, la vita di fede, ecc., sia dal modo in cui erano trattati, con concretezza, chiarezza e, soprattutto, inquadrati nella quotidianità. E ancora al giorno d’oggi trovo che continuino a essermi di costante aiuto.

Parallelamente, anche mia moglie, grazie all’amicizia con la moglie del mio amico, iniziava a frequentare i mezzi di formazione. I frutti di questo percorso comune furono senz’altro una maggior disponibilità nei confronti del Signore e, tra l’altro, di lì a poco tempo nacque Alberto, il nostro terzo figlio.

In seguito Miriam, la primogenita che frequentava la V elementare, cominciò a partecipare alle attività di un club per giovani ragazze, il Plus. In questo club aveva l’opportunità di seguire lezioni di cucina, chitarra, pallavolo, e faceva amicizia con coetanee e con ragazze un po’ più grandi, che in tal modo ci aiutavano nella sua crescita ed educazione. L’ideale e lo stile di vita proposti le piacquero così tanto che, dopo un po’ di tempo, chiese l’ammissione all’Opera come numeraria ausiliare ed ora svolge la sua attività nell’amministrazione di un Centro dell’Opera. Inizialmente il suo trasferimento a Milano non è stato indolore per tutti noi, ma siamo sempre stati consolati dalla certezza che la sua scelta ha un grande valore. Sappiamo che ha trovato una bella famiglia che le vuole molto bene ed è per noi una grande gioia riuscire a trovare un po’ di tempo per stare con lei. Durante questi incontri abbiamo notato che la sua passione per la musica e il teatro è sempre viva, e così la ragazzina di ieri rallegra le ragazzine di oggi con canzoni e scenette.

Nel frattempo anche Francesco si è laureato, lavora in un giornale e sta pensando di metter su famiglia. In coda è rimasto Alberto, il più piccolo dei tre. Oggi Alberto è un ragazzone di ventidue anni, robusto e bello, ma a causa di un ritardo mentale si comporta come un bambino di sei-sette anni, e ha quindi bisogno di essere continuamente seguito. Da quando ha terminato la scuola lavora in una cascina dove, assieme ad altre persone come lui, coltiva l’orto. Alberto è stato per noi la prova del nove della nostra fede. L’aiuto ricevuto nell’Opera ci sostiene e ci incoraggia nel nostro impegno quotidiano. Se c’è in noi una certa serenità nell’affrontare le difficoltà, è anche perché siamo certi che ci sono molte persone che ci sostengono con il loro affetto e con la loro preghiera.

Il mio amico di cui parlavo all’inizio adesso ha ridotto un po’ i caffè per i suoi problemi cardiaci, però da parte nostra non si è ridotta di certo la gratitudine per averci fatto il dono più gradito: quello di aver potuto conoscere e condividere il cammino che San Josemaría ha tracciato per noi, sposi e genitori.

Un’ultima considerazione: quando qualcuno mi dice che troppi caffè fanno male, io normalmente rispondo: “dipende dalla compagnia…”.