«Dopo vent’anni di lavoro come architetto nei cantieri, ho deciso di insegnare a scuola grazie a una mia amica che, vedendo in me questa vocazione, mi incoraggiò a intraprendere questa strada - racconta Paola, che ha iniziato a insegnare a cinquant’anni compiuti -. Per non sentirla più ho deciso di provare, ma ben presto ho capito che insegnare era davvero ciò che volevo fare. Sono sempre stata a contatto con i giovani, fin da quando partecipavo a varie attività come club organizzati dai genitori, e mi sono resa conto che mi piaceva».
Negli anni '70, durante il periodo degli “anni di piombo”, trovare una scuola dove si facesse vera istruzione era un problema. La mamma di Paola sentì parlare delle scuole FAES di Milano da una sua amica: «Così, ho beneficiato di una borsa di studio offerta da un gruppo di cooperatori - racconta Paola -, e in fondo posso dire che la mia vocazione è nata anche grazie alla generosità di queste persone».

Chiaro come il Teorema di Pitagora
Durante l'estate della maturità, mentre Paola era in campagna, durante un momento di preghiera, ha sentito dentro di sé una domanda che sembrava non essere sua: “Mi vuoi regalare il tuo cuore, tutto intero?” «Era chiara come il teorema di Pitagora. Sapevo che non proveniva da me, soprattutto perché in quel periodo avevo anche un ragazzo. Mi chiedevo a cosa mi avrebbe portato una vocazione al celibato: avevo delle remore su cammini come missionaria, o come suora di clausura. C'è voluto tempo e preghiera per togliere questi paletti».
Una volta accettata questa chiamata verso una direzione ancora da chiarire, per Paola è arrivata un’altra luce, via radio: «Una domenica mattina ho sentito un’intervista alla radio che spiegava le diverse vocazioni all'interno dell'Opus Dei: numerari, soprannumerari, ausiliari, aggregati. Quelle parole mi hanno dato la spinta per fare discernimento, che alla fine mi ha portato a chiedere l’ammissione come aggregata».

Sguardi che riflettono anche se non sono attenti
Poter insegnare ai ragazzi e alle ragazze del liceo permette di parlare con loro di tanti temi: «Spiegando il Beato Angelico, - racconta Paola - ho mostrato l'immagine dell'Annunciazione e della cacciata di Adamo ed Eva. Per spiegare le opere posso introdurre temi come la creazione e il peccato originale. In quinta parlo del Bacio di Klimt e spiego che l'amore vero non può mai essere prepotente. Quando parlo di Gaudí, sottolineo come sembri un artista eccentrico, ma in realtà era profondamente radicato nella realtà naturale. Ha osservato così tanto la natura da passare dalla legge al legislatore. Una cosa così organizzata e bella non può essere casuale. Vedere questi sguardi che riflettono, anche se a volte non stanno attenti, è gratificante».
Opere che nessuno vedrà mai da vicino
«Il mio monumento preferito è il Duomo di Milano visto dall'alto, con le sue guglie. San Josemaría in Amici di Dio racconta di come le guglie delle cattedrali lo ispirassero nello spiegare il senso del lavoro fatto bene per il Signore: opere che nessuno vedrà mai da vicino, e che per questo motivo richiedono ancora più dedizione e amore».
«Come aggregata, non sono aiutata da un contesto specifico - conclude Paola -, sono una persona come tante altre, ma tutto è diverso, perché porto l'amore di Dio nel cuore. È una relazione profonda che mi dà forza quando intorno a me c'è la tempesta. Il mio capo è Dio. Credo che le relazioni siano fondamentali. A volte sembra quasi necessario arginarle per evitare che prendano il sopravvento nella nostra vita, ma in realtà dovremmo ringraziare di avere così tante relazioni. A chi mi chiede quale lavoro preferisco, rispondo con una considerazione: gli architetti sono chiamati a risolvere problemi e semplificare la vita delle persone nel presente; ma lavorare nella scuola significa lavorare per il futuro, perché aiutiamo i ragazzi ad essere dei liberi pensatori».
