Meditazioni: Mercoledì della 16ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì della sedicesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Dio apprezza la semplicità, Il piacere di essere sorgente, Essere sacerdote, re e profeta.

- Dio apprezza la semplicità

- Il piacere di essere sorgente

- Essere sacerdote, re e profeta


I racconti di chiamate vocazionali della Sacra Scrittura hanno molti elementi in comune. Uno di essi è la sproporzione tra le qualità umane della persona che è chiamata e la missione che Dio le affida; a prima vista, non sembra che si tratti di una scelta appropriata. Però il Signore non bada tanto alle apparenze quanto invece a un aspetto che di solito passa inosservato: la semplicità di cuore. È questo che fa sì che il terreno sul quale cade il seme divino sia buono e produca frutto (cfr. Mt 13, 9): sa che la sua crescita non dipende tanto da ciò che egli farà, ma dal fatto che egli collabori lasciando fare a Dio. «Ti riconosci miserabile – scrive san Josemaría -. E lo sei. – Malgrado tutto – anzi, proprio per questo – Dio ti ha cercato. – Egli impiega sempre strumenti sproporzionati: perché si veda che l’opera è sua. – A te chiede solo docilità»[1].

Del resto, «il superbo è uno che pensa di essere molto più di quanto sia in realtà; uno che freme per essere riconosciuto più grande degli altri, vuole sempre vedere riconosciuti i propri meriti e disprezza gli altri ritenendoli inferiori»[2]. Nei Vangeli vediamo che quando Gesù incontra persone troppo sicure di sé, «le medica con il rimedio dell’umiltà. Questo ci insegna che la salvezza non è nelle nostre mani, ma è un dono gratuito che Dio ci vuole regalare»[3].

Nel modo di trattare quelli che ci stanno vicino possiamo migliorare tutta una serie di atteggiamenti che ci aiuteranno a coltivare un cuore semplice: reagire con serenità e gratitudine quando ci correggono, fissare la nostra attenzione sugli aspetti positivi degli altri, considerare col senso dello humour gli errori propri e quelli altrui, riconoscere i doni che il Signore ci ha dato… In questo modo la nostra vita sarà quel terreno buono che farà crescere il seme divino, perché «Dio resiste ai superbi e dà la grazia agli umili» (St 4, 6).


Capita a volte che chi è chiamato da Dio debba soffrire per l’incomprensione altrui. Mosè dovette sopportare le critiche e le mormorazioni del proprio popolo, messo alla prova dall’ambiente ostile del deserto. Geremia subì il disprezzo quando i suoi richiami alla conversione furono ignorati. Anche oggi annunciare la presenza di Dio può risultare un compito costoso. Tuttavia il cristiano sa di non essere solo. Non sta diffondendo un’ideologia, né sta vendendo un prodotto, ma sta proclamando una Parola che lo supera e lo trascende, che porta speranza e pace e che risponde agli aneliti più profondi della persona umana.

La voce del cristiano si ascolta più dalle parole sonore, attraverso la testimonianza della sua vita. Il seme che abbiamo ricevuto con il Battesimo va dando frutto ogni giorno con discrezione e naturalezza attraverso l’amicizia e l’attenzione per gli altri. «Guardando attorno a noi questo mondo, che amiamo perché è opera divina, costatiamo che la parabola si fa realtà: la parola di Gesù è feconda e suscita in molte anime desideri di dedizione e di fedeltà. La vita e le opere di coloro che si sono posti al servizio di Dio hanno cambiato il volto della storia, al punto che molti di coloro che non conoscono il Signore sono spinti – forse senza saperlo – da ideali suscitati dal cristianesimo»[4].

Sapere di essere stati scelti da Dio e contemplare il bene che possiamo seminare attorno a noi ci aiuterà a trovare un senso alle difficoltà che si presentano nel nostro cammino. «L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente e il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili nel riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati. Contemporaneamente, un missionario pienamente dedito al suo lavoro sperimenta il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché “si è più beati nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità»[5]. Invece Dio premia la generosità «con una umiltà piena di allegria»[6].


«Il cristiano sa di essere innestato in Cristo mediante il Battesimo; reso idoneo a lottare per Cristo mediante la Cresima; chiamato a operare nel mondo mediante la partecipazione alla funzione regale, profetica e sacerdotale di Cristo; reso una cosa sola con Cristo mediante l’Eucaristia»[7]. Tramite i sacramenti siamo costituiti in ciò che è Gesù: Sacerdote, Re e Profeta[8]. Tutti, fedeli laici e pastori, ognuno a suo modo, partecipiamo alla missione della Chiesa, che è l’espressione autentica del triplice ufficio che Cristo esercita a favore del suo popolo[9].

Per un verso, il sacerdozio comune ci consacra e ci dà la capacità di portare a Dio tutte le cose, offrendogli il sacrificio della nostra stessa esistenza. Come scrive san Paolo, «sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1 Cor 10, 31). Qualunque nostra azione, dalle più importanti alle meno significative, può essere offerta al Signore. Per un altro verso, possiamo anche partecipare alla funzione regale di Cristo, il quale, pur essendo il Signore dell’universo, si è fatto servitore di tutti[10]. Per il cristiano, «servire Cristo è regnare»[11]. Essere re non consiste nel comandare perché altri obbediscano. Regnare con Cristo è servire per amore, regnare è mettersi in ginocchio e lavare i piedi degli altri, come ha fatto Gesù con gli apostoli.

Il cristiano, infine, partecipa anche del carattere profetico di Cristo. È profeta soprattutto quando cerca di andare in profondità nella comprensione della fede e diventa testimone di Gesù in mezzo a questo mondo[12]. Profeta non è colui che annuncia cose future, ma una persona che parla in nome di Dio, che aiuta gli altri a vedere la propria storia e le circostanze più comuni con gli occhi di Dio. Grazie al nostro Battesimo, tutti siamo in questo senso profeti del Signore, chiamati ad annunciare ai nostri familiari, agli amici e ai conoscenti la bellezza del suo amore e della sua misericordia. Possiamo chiedere alla Vergine Maria di aiutarci ad essere fedeli alla missione che Dio ci ha assegnato, sapendo che dal nostro sì «dipendono molte cose grandi»[13].


[1] San Josemaría, Cammino, n. 475.

[2] Papa Francesco, Udienza, 6-III-2024.

[3] Ibid.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 150.

[5] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 272.

[6] San Josemaría, Forgia, n. 591.

[7] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 106.

[8] Cfr. Rituale del battesimo, l’unzione post-battesimale.

[9] Cfr. Mons. Fernando Ocáriz, Naturaleza, gracia y gloria, pp. 241-260.

[10] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 786.

[11] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 36.

[12] Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 785.

[13] San Josemaría, Cammino, n. 755.