Meditazioni: Domenica della 15ª settimana del Tempo Ordinario (ciclo B)

Riflessioni per meditare nella domenica della quindicesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Il respiro del cristiano; Il valore infinito dei doni divini; L’apostolato, sovrabbondante carità.

- Il respiro del cristiano

- Il valore infinito dei doni divini

- L’apostolato, sovrabbondante carità


«Non ero profeta né figlio di profeta» (Am 7, 14). Questa frase è divenuta proverbiale. È stata pronunciata da Amos quando, come racconta la prima lettura della Messa, il sacerdote del tempio regale di Betel cercava di convincerlo a non predicare in Israele. Rispondendo, Amos gli spiega di esser un uomo del tutto normale, mandriano e coltivatore di sicomori. Se profetizza non è perché abbia fama di essere uomo sapiente ed eloquente, né perché appartenga a una particolare categoria di persone nel popolo eletto, ma perchè Dio ha fatto irruzione nella sua vita affidandogli quella missione.

Così come Amos era profeta per disegno divino, con la grazia del Battesimo noi cristiani siamo stati chiamati a partecipare alla missione profetica di Cristo. La nostra vita ha un senso di missione. Sappiamo di essere inviati dal Signore per portare il suo amore a chi sta intorno a noi. Lo Spirito Santo ci spinge a vivere in ogni momento secondo questa missione, che dà scopo e senso alla nostra vita. L’apostolato non occupa semplicemente un certo tempo o certi aspetti della nostra vita, ma «è come il respiro del cristiano; un figlio di Dio non può vivere senza questo palpito spirituale»[1]. Come sottolinea il prelato dell’Opus Dei: «Non facciamo apostolato, siamo apostoli!»[2]. Lo siamo perchè il Signore ha affidato questo compito a tutti i battezzati come dimensione essenziale della loro vita. San Josemaría lo ricordava così ai fedeli dell’Opera: «Non dimenticate, figli miei, che non siamo anime che si uniscono ad altre anime, per fare una cosa buona. Questo è molto…, ma è poco. – Siamo Apostoli che compiamo un mandato imperativo di Cristo»[3].

Nella seconda lettura leggiamo l’inno di san Paolo riportato all’inizio della sua lettera agli Efesini. È una preghiera di benedizione a Dio Padre, nella quale si medita la vocazione alla santità del cristiano e si parla del piano divino di salvezza, che avrà il suo compimento nella pienezza dei tempi con la ricapitolazione «in Cristo di tutte le cose, quelle nel cielo e quelle sulla terra» (Ef 1, 10). Il Signore, nel concederci il dono della filiazione divina, ci ha invitati a collaborare a questo disegno di salvezza per tutta l’umanità. «La nostra vocazione di figli di Dio, in mezzo al mondo, esige da noi non solo la ricerca della santità personale, ma ci spinge anche a percorrere tutti i cammini della terra per trasformarli in varchi, aperti in mezzo agli ostacoli, che conducono le anime al Signore; ci spinge a prendere parte, come cittadini, a tutte le attività temporali, per essere lievito (cfr Mt 13, 33) che fa fermentare tutta la massa»[4].


«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli» (Mc 6, 7). Sino ad allora gli apostoli, hanno con gli altri discepoli accompagnato Gesù nel suo peregrinare per i villaggi, ascoltando i suoi insegnamenti. Ora il Signore vuole contare sulla loro collaborazione perché predichino in suo nome, caccino i demoni e guariscano i malati. In un altro momento simile aveva loro consigliato di chiedere, prima di tutto, l’aiuto divino: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10, 2). Questa volta, invece, mette l’accento sul distacco che deve caratterizzare la vita dell’apostolo.

«E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche» (Mc 6, 8-9). Gesù vuole che ai suoi discepoli sia chiaro che, quando predicano il vangelo, sono strumenti di Dio. Quindi, il risultato per lo più non dipende dai mezzi umani a loro disposizione, dalle qualità o dalle strategie che possano pianificare, per quanto geniali possano essere. Tutto ciò, certamente, può essere utile se posto al servizio della missione, ma potrebbe anche essere un ostacolo che rallenta o addirittura contraddice il disegno divino. Conviene sempre considerare la nostra pochezza e la grandezza di Dio, affinchè risplenda il valore infinito dei doni con i quali ci ha arricchiti; e affinché ci risulti chiara l’importanza relativa di quegli aspetti che la mentalità umana tende a mettere in primo piano: i beni materiali, il dominio, il prestigio, la lusinga dei sensi...

Con l’aiuto del Signore, chi desidera fare un ampio e profondo apostolato amerà con tutto il cuore la povertà, la temperanza, la sobrietà, la semplicità... La presenza di queste virtù nella sua vita lo renderà autentico e credibile. Potrà così aiutare molte anime ad accostarsi a Dio perché trasmetterà, in primo luogo, la gioia di chi cerca di mettere Gesù al centro della propria vita: «Destinatari dell’evangelizzazione non sono soltanto gli altri, coloro che professano altre fedi o che non ne professano, ma anche noi stessi, credenti in Cristo e membra attive del Popolo di Dio. E dobbiamo convertirci ogni giorno, accogliere la parola di Dio e cambiare vita: ogni giorno. E così si fa l’evangelizzazione del cuore»[5].


Gesù manda gli apostoli «a due a due» (Mc 6, 7). Con ciò, afferma tra i tanti san Gregorio Magno, voleva mettere in chiaro il legame esistente tra l’apostolato e la carità: «Sono due i precetti della carità: l’amore di Dio, cioè, e l’amore del prossimo. Il Signore manda i discepoli a due a due a predicare per indicarci tacitamente che non deve assolutamente assumersi il compito di predicare chi non ha la carità verso gli altri»[6].

Con identica convinzione, san Josemaría insegnava che «l’apostolato principale che noi cristiani dobbiamo svolgere nel mondo, la migliore testimonianza di fede, è contribuire a far sì che all’interno della Chiesa si respiri il clima della carità autentica. Se non ci amiamo davvero, se ci sono conflitti, calunnie, discordie, chi si sentirà attratto da coloro che affermano di predicare la Buona Novella del Vangelo?»[7]. L’apostolato altro non è che riversare la carità su tutti quelli che incontriamo nella nostra vita, a cominciare dai più vicini. Perciò per un comune cristiano l’apostolato inizia in famiglia. Ad esempio, nell’amore reciproco, pieno di delicatezza, tra marito e moglie: il loro esempio di unità e di reciproco interesse è il più importante mezzo sul quale Dio conta per trasmettere la fede ai figli. Ed è apostolato anche l’attenzione e il servizio agli altri nel lavoro, nelle relazioni sociali, nei vari ambiti comunitari, nello sport e in altri momenti di riposo...

A partire dalla carità nella propria casa e in altri ambienti, nasceranno e cresceranno in modo spontaneo molte amicizie. Sarà proprio questo il canale per dare, a chi ce la richiede, ragione della nostra speranza, sempre con rispetto e gentilezza (cfr. 1 Pt 3, 15-16). In questo modo, come ha scritto san Josemaría sognando risultati ad ampio raggio di questo apostolato capillare, «contribuiremo a fare sparire sospetti e rivalità tra i cttolici che lavorano insieme; impregneremo di spirito cristiano il mondo dell’industria e del commercio; aiuteremo a dare unità al pensiero moderno, per difendere e servire Gesù Cristo e la sua Chiesa; faremo in modo che i cattolici capiscano che nessuna diversità di costume, di razza o lingua può separare coloro che sono uno in Cristo Gesù; tratteremo con delicata carità tutte le anime, senza distinzione di stirpe né di credo, pur con il dovuto ordine, avvicinandole al Signore Dio nostro con la luce e il calore della nostra vita cristiana; coopereremo per creare un ambiente sereno, pulito e di comprensione nelle relazioni internazionali, che favorirà l’opera dello Spirito Santo nelle menti e nella vita degli statisti, e porterà la pace e il benessere ai popoli»[8]. Chiediamo alla Vergine Maria che, con il fuoco della carità ben custodito nella nostra vita quotidiana, ci aiuti a trasmettere a molti la luce e il calore della fede.


[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 122.

[2] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14 febbraio 2017, n. 9.

[3] San Josemaría, Istruzione 19 marzo 1934, n. 27, citata in Cammino, edizione critico-storica, nota al n. 942.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 120.

[5] Francesco, Udienza, 22 marzo 2023.

[6] San Gregorio Magno, Omelia sui vangeli, 17.

[7] San Josemaría, Amici di Dio, n. 226.

[8] San Josemaría, Istruzione, maggio 1935/14 settembre 1950, 96, 1, citato in A. Aranda, «Identidad cristiana y configuración del mundo. La fuerza configuradora de la secularidad y del trabajo santificado», in AAVV, La grandezza della vita quotidiana. Vocazione e missione del cristiano in mezzo al mondo, Edizioni Università della Santa Croce, Roma 2002, p. 198.