Durante gli anni trascorsi a Nazaret, Gesù conobbe dall’interno il lavoro manuale; forse anche quello dell’edilizia. San Matteo lo lascia intuire quando, negli ultimi passaggi del Discorso della montagna, riporta una parabola usata dal Maestro per spiegare come dovremmo interiorizzare i suoi insegnamenti. Gesù parla di due tipi di costruttori: uno che costruisce la sua casa sulla sabbia, e un altro che sceglie di edificare sulla roccia (cfr. Mt 7,24-27). Le case sembrano simili, perché entrambe sono costruite a partire dalle stesse parole di Gesù, ma col tempo si rivela quanto una sia molto più fragile dell’altra. Quando arrivano le difficoltà — quando cade la pioggia, arrivano le inondazioni e i venti soffiano e colpiscono la casa —, diventa più chiaro che non basta avere una conoscenza astratta e teorica della vita cristiana: fermarsi lì sarebbe come costruire sulla sabbia. Per questo, abbiamo bisogno di frequentare Gesù, mantenere con Lui un contatto assiduo: abituarci ad ascoltarlo con attenzione nella preghiera e coltivare altre abitudini stabili e durature, che ci aiutino a mettere in pratica le sue parole. In questo modo potremo vivere di Lui, non solo nei momenti favorevoli, ma anche quando la nostra fede e le nostre convinzioni saranno messe alla prova.
San Josemaría esprimeva qualcosa di molto simile partendo da un ricordo d’infanzia, avvicinandosi alla vita interiore attraverso l’immagine del cammino: «Porto impresso nella mia mente fin da bambino il ricordo di certi segnali che, nelle montagne della mia terra, venivano piantati ai margini delle strade: si trattava di lunghi pali, generalmente dipinti di rosso, che colpivano la mia attenzione. Mi spiegarono che quando cade la neve e copre sentieri, campi e prati, boschi, rocce e dirupi, quelle aste risaltano come un riferimento sicuro, perché tutti rintraccino il cammino da seguire. Nella vita interiore succede qualcosa di simile. Ci sono primavere ed estati, ma arrivano anche gli inverni, i giorni senza sole e le notti senza luna. Non possiamo permettere che il rapporto con Dio dipenda dal nostro umore, dai mutamenti del nostro carattere. Cadere in questa volubilità vuol dire egoismo, comodità: cose che non vanno d'accordo con l'amore. Perciò, nei momenti di neve e di tormenta, alcune solide pratiche di pietà — per nulla sentimentali —, saldamente piantate e adattate alle circostanze di ciascuno, saranno come i pali dipinti di rosso che continuano a indicare la direzione, finché il Signore farà splendere di nuovo il sole. Allora si scioglierà il gelo e il cuore ritornerà a vibrare, acceso da un fuoco che in realtà non si è mai spento: era rimasto come brace nascosta dalla cenere, la cenere del tempo della prova, o quella di un periodo di minore impegno o di scarso sacrificio»[1].
Crescere nelle crisi
È del tutto normale che, nel corso della vita, si debbano attraversare momenti di crisi, più o meno intensi[2]. Succede, ad esempio, che i giovani si entusiasmino per grandi ideali e si lancino all’avventura senza riflettere troppo; con il passare del tempo e l’esperienza, però, può arrivare lo scoraggiamento: si rendono conto di quanto sia difficile cambiare il mondo, o anche solo cambiare sé stessi; oppure si sorprendono della facilità con cui le emozioni — un tempo forti e forse ritenute garanzia della solidità delle proprie convinzioni — si affievoliscono di fronte a nuove circostanze. Ci sono poi momenti della vita, snodi come l’ingresso nella maturità o l’arrivo della pensione, in cui si tende naturalmente a fare un bilancio del cammino percorso. In questi frangenti, possono emergere in primo piano i fallimenti, le delusioni, ciò che poteva essere e non è stato; diventa allora difficile accettare la propria storia, lo sguardo si offusca e fatica a riconoscere e ringraziare per tante cose buone ricevute, e si cerca consolazione in quella che san Josemaría chiamava, con un gioco di parole intraducibile, la mistica del magari: «magari non mi fossi sposato, magari avessi un altro lavoro, magari avessi una salute migliore, o meno anni, o più tempo a disposizione!»[3].
Queste e altre crisi simili non sono — e non dovrebbero essere — momenti senza Dio: anche allora, anzi soprattutto allora, il Signore è vicino a noi e continua a donarsi senza misura. Per questo le crisi sono occasioni importanti per crescere nel rapporto con Dio, che può far fiorire il deserto e trarre frutto dalla terra arida (cfr. Is 35,1). L’idealismo giovanile può essere purificato ed elevato dalla grazia, ma ha bisogno di maturare per diventare davvero soprannaturale. Gli insuccessi e le delusioni non devono trasformarci in cinici “realisti”, perché la semplice conoscenza dei nostri limiti naturali è ben lontana dall’essere tutta la verità su noi stessi e sulla storia umana. Questi momenti, anche se duri, sono luoghi di maturazione, nei quali il Signore vuole allargare il nostro cuore. Un autore francese lo ha espresso in modo eloquente: «L’uomo ha luoghi nel suo povero cuore che non cominciano a esistere finché il dolore non vi entra, affinché possano esistere davvero»[4].
Allo stesso modo in cui l’amore umano si costruisce e si approfondisce trascorrendo tempo insieme (soffrendo insieme!), così anche il nostro amore per Dio si rafforza e si rinnova grazie alla frequentazione, alla «unione con Cristo nel Pane e nella Parola, nell'Ostia Santa e nell'orazione»[5], nelle sue diverse modalità: adorazione silenziosa, dialogo fiducioso, esame di coscienza, preghiera vocale, ecc. Queste e altre abitudini simili non sono un elenco noioso di cose da fare, ma incontri che risvegliano, ravvivano e arricchiscono il rapporto con Dio, e da lì anche le relazioni con gli altri, che diventano più solide e profonde.
Con il cuore aperto a Dio
«Con il cuore con cui ho amato i miei genitori e amo i miei amici, con questo stesso cuore amo Cristo e il Padre e lo Spirito Santo e Maria Santissima»[6]. La vita spirituale è fondamentalmente una relazione d’amore, e proprio per questo la bellezza e le sfide dell’amore umano sono come un libro aperto per comprendere meglio le sue dinamiche. Così, ad esempio, quando l’impegno in un matrimonio si indebolisce, può dipendere in parte dal fatto che marito e moglie si sono progressivamente allontanati. È un pericolo costante in una relazione profonda: che la coppia non maturi e non cresca insieme, perché la vita di ciascuno prende nuove direzioni che non vengono condivise con l’altro, né integrate nella loro avventura comune.
Qualcosa di simile può accadere nella nostra vita spirituale. Dio non cambia, ma noi sì; ed è necessario condividere con Lui, in un dialogo intimo e continuo, tutto ciò che ci accade e ci abita: dai successi o le delusioni professionali fino ai nostri interessi, le passioni e le questioni familiari. Vivere tutte le cose «con il cuore aperto verso Dio, in modo che il lavoro, anche nella malattia e nella sofferenza, anche nelle difficoltà, sia aperto a Dio»[7]. Così, man mano che avanziamo nella vita, il Signore potrà rivelarci nuove dimensioni dei tesori di sapienza e di conoscenza nascosti in Cristo (cfr. Col 2,3): quella sapienza che si acquisisce nel silenzio della preghiera, nei momenti di ringraziamento dopo la comunione, nella contemplazione delle parole e della vita di Gesù nei Vangeli. I discepoli di Emmaus, «durante il loro misterioso cammino con Cristo risorto, vivevano un momento di angoscia, confusione, disperazione, delusione. Eppure, al di là di tutto ciò e nonostante tutto, qualcosa accadeva nel profondo: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?” (Lc 24,32)»[8].
Abbiamo bisogno di lasciarci aiutare, e di aiutare anche gli altri, affinché la nostra vita spirituale non si limiti a «andare avanti a fatica». Come ci ha ricordato il Padre, «la formazione, durante l’intera vita, senza trascurarne la necessaria esigenza, deve tendere in grande misura ad aprire orizzonti»[9]. La nostra lettura spirituale, così come i testi e le risorse che utilizziamo per nutrire e arricchire la nostra fede, devono essere ben scelti per aiutarci ad approfondire la nostra esperienza di Dio, offrendoci nuove prospettive e parlando ai bisogni del nostro cuore, che variano da persona a persona e nei diversi momenti della vita. Lo Spirito Santo si servirà di questi sforzi — sempre modesti rispetto ai suoi doni — per compiere la sua opera in noi.
Ma soffermiamoci ancora su un’altra analogia con l’amore umano. Se abbiamo visto che un nemico della relazione è il fatto che la coppia smetta di vedersi con regolarità, un pericolo altrettanto insidioso è che, pur vedendosi, non si parlino davvero: sono presenti con il corpo, ma non con l’anima; non aprono il cuore e non si ascoltano con interesse autentico. In questi casi, il tempo trascorso insieme può diventare un peso; e, al contrario, rinunciarvi può sembrare una liberazione. Qualcosa di simile può accadere anche nella vita spirituale, se ci si attiene a un piano solo per adempiere a un obbligo. San Josemaría parlava di questo tipo di routine come della «vera tomba della pietà»[10].
Di fronte a questo rischio, è incoraggiante pensare che siamo chiamati a «cominciare e ricominciare» molte volte lungo il cammino.[11]. Così come le coppie che continuano ad amarsi, dopo tanti anni, sanno ancora dirsi «grazie» e «scusa» per tante piccole cose, anche noi avremo spesso bisogno di riprendere un’abitudine che abbiamo cominciato a trascurare, mettere più attenzione e cuore nella nostra lettura spirituale, oppure riscoprire il valore di alcune preghiere tradizionali prima o dopo la Messa, se ci accorgiamo di distrarci facilmente.
Si comprende così perché la fedeltà al piano di vita non consiste nell’aspirare a una “esecuzione perfetta”, come se fossimo solisti in un concerto da camera o atleti in una gara olimpica di ginnastica artistica. Si tratta piuttosto di rimanere nell’amore di Dio (cfr. Gv 15,9): scoprire e riscoprire, ogni volta un po’ di più, l’unico fondamento solido su cui possiamo costruire la nostra vita. E trovare in quella pietra salda la gioia e la pace che il nostro cuore desidera: «Riposa nella filiazione divina. Dio è un Padre — tuo Padre! — pieno di tenerezza, di infinito amore. — Chiamalo Padre molte volte, e digli — a tu per tu — che gli vuoi bene, che gli vuoi bene moltissimo!: che senti l'orgoglio e la forza di essere figlio suo»[12].
[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 151.
[2] Cfr. San Josemaría, Lettera 2, n. 22, sulla «crisi dei 40 anni»; più in generale, cfr. R. Guardini, Las etapas de la vida, Madrid, Palabra, 2022.
[3] San Josemaría, Colloqui, n. 88; cfr. Cammino, Edizione critico-storica, commento al n. 832; J. Peña, «Mística ojalatera y realismo en la santidad de la vida ordinaria», Anuario Filosófico, 2002 (35), 629-654.
[4] L. Bloy, Lettre, 25-04-1873, in Lettres de jeunesse, 1870-1893, Paris, Édouard-Joseph, 1920. (Traduzione nostra)
[5] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 118.
[6] È Gesù che passa, n. 166.
[7] Papa Francesco, Udienza generale, 21 giugno 2017.
[8] Papa Francesco, Enc. Dilexit nos, n. 4.
[9] F. Ocáriz, Lettera pastorale, 9 gennaio 2018, n. 11.
[10] Amici di Dio, n. 150.
[11]Cfr. San Josemaría, Cammino, n. 292; Forgia, n. 384.
[12] Forgia, n. 331.