92. Torniamo alle Sacre Scritture, ai testi ispirati che sono il luogo principale in cui troviamo la Rivelazione. In esse e nella Tradizione viva della Chiesa è contenuto ciò che il Signore stesso ha voluto dirci per tutta la storia. A partire dalla lettura di testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, raccoglieremo alcuni effetti della Parola nel lungo cammino spirituale del Popolo di Dio.
SETE DELL’AMORE DI DIO
93. La Bibbia mostra che al popolo che aveva camminato attraverso il deserto e che attendeva la liberazione era annunciata un’abbondanza di acqua vivificante: «Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza» (Is 12,3). Gli annunci messianici vennero assumendo la forma di una sorgente di acqua purificante: «Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati. [...] Metterò dentro di voi uno spirito nuovo» (Ez 36,25-26). È l’acqua che restituirà al popolo un’esistenza piena, come una sorgente che sgorga dal tempio e riversa al suo passaggio vita e salute: «Vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra. […] Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà [...], perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà» (Ez 47,7.9).
94. La festa ebraica delle Tende (Sukkot), che commemorava i quarant’anni nel deserto, aveva gradualmente assunto il simbolo dell’acqua come elemento centrale e prevedeva un rito di offerta dell’acqua ogni mattina, che diventava molto solenne l’ultimo giorno della festa: si faceva una grande processione fino al tempio dove, infine, si compivano sette giri intorno all’altare e si offriva l’acqua a Dio in mezzo a un gran baccano[83].
95. L’annuncio dell’avvento del tempo messianico era presentato come una sorgente aperta per il popolo: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. [...] In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l’impurità» (Zc 12,10; 13,1).
96. Un uomo trafitto, una sorgente aperta, uno spirito di grazia e di preghiera. I primi cristiani in modo evidente vedevano realizzata questa promessa nel costato aperto di Cristo, fonte da cui promana la vita nuova. Scorrendo il Vangelo di Giovanni vediamo come quella profezia si sia realizzata in Cristo. Contempliamo il suo costato aperto, da cui è scaturita l’acqua dello Spirito: «Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). Poi l’evangelista aggiunge: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Riprende così l’annuncio del profeta che prometteva al popolo una sorgente aperta a Gerusalemme, quando avrebbero rivolto lo sguardo al trafitto (cfr Zc 12,10). La fonte aperta è il fianco ferito di Gesù.
97. Notiamo che il Vangelo stesso annunciava questo momento sacro, precisamente «nell’ultimo, il grande giorno della festa» delle Tende (Gv 7,37). Allora Gesù gridò al popolo festante nella grande processione: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva […] dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva» (Gv 7,37-38). Perché ciò si attuasse doveva venire la sua “ora”, perché Gesù «non era ancora stato glorificato» (Gv 7,39). Tutto si è compiuto nella sorgente traboccante della Croce.
98. Nel Libro dell’Apocalisse riappaiono sia il Trafitto: «Ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7), sia la fonte aperta: «Chi ha sete venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita» (Ap 22,17).
99. Il costato trafitto è allo stesso tempo la sede dell’amore, un amore che Dio ha dichiarato al suo popolo con tante parole diverse che vale la pena ricordare:
«Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo» (Is 43,4).
«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato» (Is 49,15-16).
«Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace» (Is 54,10).
«Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele» (Ger 31,3).
«Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).
100. Il profeta Osea arriva a parlare del cuore di Dio: «Li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore» (Os 11,4). A causa di questo stesso amore disprezzato, poteva dire: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (Os 11,8). Ma sempre vincerà la misericordia (cfr Os 11,9), che raggiungerà la sua massima espressione in Cristo, la parola d’amore definitiva.
101. Nel Cuore trafitto di Cristo si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture. Non si tratta di un amore semplicemente dichiarato, ma il suo costato aperto è sorgente di vita per quanti sono amati, è quella fonte che sazia la sete del suo popolo. Come insegnava San Giovanni Paolo II, «gli elementi essenziali di tale devozione appartengono dunque in modo permanente alla spiritualità della Chiesa nel corso della sua storia, poiché fin dal principio la Chiesa ha rivolto il suo sguardo al cuore di Cristo trafitto sulla croce»[84].
RISONANZE DELLA PAROLA NELLA STORIA
102. Consideriamo alcuni effetti che questa Parola di Dio ha prodotto nella storia della fede cristiana. Diversi Padri della Chiesa, soprattutto dell’Asia Minore, hanno menzionato la ferita nel costato di Gesù come origine dell’acqua dello Spirito: della Parola, della sua grazia e dei sacramenti che la comunicano. La forza dei martiri vive della «sorgente celeste dell’acqua viva che sgorga dalle viscere di Cristo»[85], o, come traduce Rufino, delle «sorgenti celesti ed eterne che procedono dalle viscere di Cristo»[86]. Noi credenti, che siamo rinati dallo Spirito, veniamo da quella grotta della roccia, «siamo usciti dal grembo di Cristo»[87]. Il suo costato ferito, che interpretiamo come il suo cuore, è pieno dello Spirito Santo e da Lui giunge a noi come fiumi di acqua viva: «La sorgente dello Spirito è interamente in Cristo»[88]. Ma lo Spirito che riceviamo non ci allontana dal Signore risorto, bensì ci riempie di Lui, perché bevendo lo Spirito beviamo Cristo stesso: «Bevi Cristo, perché Egli è la roccia che riversa acqua. Bevi Cristo perché Egli è la fonte della vita. Bevi Cristo perché Egli è il fiume la cui forza rallegra la città di Dio. Bevi Cristo perché Egli è la pace. Bevi Cristo, perché dal suo seno sgorga acqua viva»[89].
103. Sant’Agostino ha aperto la strada alla devozione al Sacro Cuore come luogo di incontro personale con il Signore. Per lui, cioè, il petto di Cristo non è solo la fonte della grazia e dei sacramenti, ma lo personalizza, presentandolo come simbolo dell’unione intima con Cristo, come luogo di un incontro d’amore. Lì sta l’origine della sapienza più preziosa, che è quella di conoscere Lui. Infatti, Agostino scrive che Giovanni, l’amato, quando nell’ultima Cena chinò il capo sul petto di Gesù, si accostò al luogo segreto della sapienza[90]. Non siamo di fronte a una semplice contemplazione intellettuale di una verità teologica. San Girolamo spiegava che una persona capace di contemplazione «non gode della bellezza del ruscello d’acqua, ma beve l’acqua viva del costato del Signore»[91].
104. San Bernardo ha ripreso il simbolismo del costato trafitto del Signore, intendendolo esplicitamente come rivelazione e dono dell’amore del suo Cuore. Attraverso la ferita diventa accessibile a noi e possiamo fare nostro il grande mistero dell’amore e della misericordia: «Prendo per me dalle viscere del Signore quanto mi manca, perché abbondano in misericordia, né mancano le fenditure per cui possano scorrere fino a me. Hanno forato le sue mani e i suoi piedi, hanno squarciato il fianco con la lancia, e attraverso queste fessure io posso succhiare il miele della pietra e l’olio del durissimo sasso, cioè gustare e vedere com’è soave il Signore. […] Il ferro trapassò la sua anima, e si avvicinò al suo cuore perché ormai non possa più non compatire le mie debolezze. È aperto l’ingresso al segreto del cuore per le ferite del corpo, appare quel grande sacramento della pietà, appaiono le viscere di misericordia del nostro Dio»[92].
105. Questo si ripresenta in modo particolare in Guglielmo di Saint-Thierry, che invita ad entrare nel Cuore di Gesù, che ci nutre al suo stesso seno[93]. Ciò non sorprende, se ricordiamo che per questo autore «l’arte delle arti è l’arte dell’amore. [...] L’amore è suscitato dal Creatore della natura […]. L’amore è una forza dell’anima, che la conduce come per un peso naturale al luogo e al fine che le è proprio»[94]. E il luogo che le è proprio, dove l’amore regna in pienezza, è il Cuore di Cristo: «Signore, dove conduci coloro che abbracci e stringi tra le tue braccia, se non al tuo cuore? Il tuo cuore, Gesù, è la dolce manna della tua divinità (cfr Eb 9,4), che conservi in te nel vaso d’oro della tua anima, che supera ogni conoscenza. Beati coloro che sono condotti fin lì dal tuo abbraccio. Beati coloro che, immersi in queste profondità, sono stati nascosti da te nel segreto del tuo cuore»[95].
106. San Bonaventura unisce le due linee spirituali intorno al Cuore di Cristo: mentre lo presenta come fonte dei sacramenti e della grazia, propone che questa contemplazione diventi un rapporto di amicizia, un incontro personale di amore.
107. Da un lato, ci aiuta a riconoscere la bellezza della grazia e dei sacramenti che scaturiscono da quella fonte di vita che è il costato ferito del Signore: «Affinché dal costato di Cristo addormentato sulla croce si formasse la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: “Guarderanno colui che hanno trafitto”, uno dei soldati lo colpì con una lancia e gli aprì il costato. E ciò fu permesso dalla divina provvidenza, affinché, sgorgando dalla ferita sangue e acqua, si riversasse il prezzo della nostra salvezza, che, emanando dall’arcana fonte del cuore, desse ai sacramenti della Chiesa la virtù di conferire la vita della grazia, e fosse per coloro che vivono in Cristo come una coppa riempita alla sorgente viva, che zampilla fino alla vita eterna»[96].
108. Ci invita poi a fare un altro passo, affinché l’accesso alla grazia non diventi qualcosa di magico, o una sorta di emanazione di tipo neoplatonico, ma un rapporto diretto con Cristo, abitando nel suo Cuore, perché chi beve è amico di Cristo, è un cuore che ama: «Alzati, dunque, anima amica di Cristo, e sii la colomba che nidifica nella parete di una grotta; sii il passero che ha trovato una casa e non cessa di custodirla; sii la tortora che nasconde i pulcini del suo casto amore in quell’apertura sacratissima»[97].
LA DIFFUSIONE DELLA DEVOZIONE AL CUORE DI CRISTO
109. A poco a poco il costato ferito, dove risiede l’amore di Cristo, da cui a sua volta promana la vita della grazia, venne assumendo la figura del cuore, soprattutto nella vita monastica. Sappiamo che nel corso della storia il culto del Cuore di Cristo non si è manifestato in modi uguali e che gli aspetti sviluppati in epoca moderna, legati a varie esperienze spirituali, non possono essere estrapolati e accostati alle forme medievali e ancor meno a quelle bibliche in cui possiamo intravedere i semi di questo culto. Tuttavia, oggi la Chiesa non disprezza nulla del bene che lo Spirito Santo ci ha donato nel corso dei secoli, sapendo che sarà sempre possibile riconoscere un significato più chiaro e pieno di alcuni particolari della devozione, o comprenderne e svelarne nuovi aspetti.
110. Diverse donne sante hanno raccontato esperienze del loro incontro con Cristo, caratterizzato dal riposo nel Cuore del Signore, fonte di vita e di pace interiore. È il caso di Santa Lutgarda, di Santa Matilde di Hackeborn, di Santa Angela da Foligno, di Giuliana di Norwich, tra le altre. Santa Gertrude di Helfta, monaca cistercense, ha narrato un momento di preghiera in cui ha appoggiato il capo sul Cuore di Cristo e ne ha ascoltato il battito. In un dialogo con San Giovanni Evangelista gli chiese perché nel suo Vangelo non avesse parlato di ciò che aveva provato quando aveva fatto questa medesima esperienza. Gertrude conclude che «la dolcezza di questi battiti è stata riservata ai tempi moderni, affinché, ascoltandoli, possa rinnovarsi il mondo invecchiato e tiepido nell’amore di Dio»[98]. Potremmo forse pensare che sia un annuncio per i nostri tempi, un richiamo a riconoscere quanto questo mondo sia diventato “vecchio”, bisognoso di percepire il messaggio sempre nuovo dell’amore di Cristo? Santa Gertrude e Santa Matilde sono state considerate tra «le più intime confidenti del Sacro Cuore»[99].
111. I certosini, incoraggiati soprattutto da Ludolfo di Sassonia, trovarono nella devozione al Sacro Cuore una via per riempire di affetto e di vicinanza il loro rapporto con Gesù Cristo. Chi entra attraverso la ferita del suo Cuore si infiamma di affetto. Santa Caterina da Siena ha scritto che le sofferenze patite dal Signore non sono qualcosa a cui possiamo presenziare, ma che il Cuore aperto di Cristo è per noi la possibilità di un incontro attuale e personale con tanto amore: «Questo vi manifestai nell’apritura del lato mio, dove truovi el segreto del cuore: mostrando che Io v’amo più che mostrare non posso con questa pena finita»[100].
112. La devozione al Cuore di Cristo ha oltrepassato gradualmente la vita monastica e ha colmato la spiritualità di santi maestri, predicatori e fondatori di congregazioni religiose che l’hanno diffusa nei luoghi più remoti della terra[101].
113. Di particolare interesse fu l’iniziativa di San Giovanni Eudes, che «dopo aver svolto con i suoi missionari una ferventissima missione a Rennes, ottenne che monsignor Vescovo approvasse per quella diocesi la celebrazione della festa del Cuore adorabile di Nostro Signore Gesù Cristo. Questa fu la prima volta che tale festa venne ufficialmente autorizzata nella Chiesa. In seguito, i Vescovi di Coutances, Evreux, Bayeux, Lisieux e Rouen autorizzarono la stessa festa per le rispettive diocesi tra il 1670 e il 1671»[102].
SAN FRANCESCO DI SALES
114. Nei tempi moderni è degno di nota il contributo di San Francesco di Sales. Egli contemplava spesso il Cuore aperto di Cristo, che invita a dimorare dentro di Lui in una relazione personale di amore, nella quale si illuminano i misteri della vita. Possiamo vedere nel pensiero di questo santo dottore come, di fronte a una morale rigorista o a una religiosità di mera osservanza, il Cuore di Cristo gli apparisse come un richiamo alla piena fiducia nell’azione misteriosa della sua grazia. Così lo esprimeva nella sua proposta alla baronessa di Chantal: «Mi è molto chiaro che noi non rimarremo più in noi stessi […] e che dimoreremo per sempre nel fianco squarciato del Salvatore; senza di lui, infatti, noi non solo non possiamo, ma anche se potessimo, non vorremmo fare niente»[103].
115. Per lui la devozione era ben lontana dal diventare una forma di superstizione o un’indebita oggettivazione della grazia, perché significava l’invito a una relazione personale in cui ciascuno si sente unico davanti a Cristo, riconosciuto nella sua realtà irripetibile, pensato da Cristo e considerato in modo diretto ed esclusivo: «Questo adorabilissimo e amabilissimo cuore del nostro Maestro, ardente dell’amore che professa per noi, cuore in cui vediamo scritti tutti i nostri nomi [...]. È certamente un argomento di grandissima consolazione il fatto di essere amati con tanto affetto da Nostro Signore che ci porta sempre nel suo Cuore»[104]. Quel nome proprio scritto sul Cuore di Cristo era il modo in cui San Francesco di Sales cercava di simboleggiare fino a che punto l’amore di Cristo per ciascuno non è astratto o generico, ma implica una personalizzazione per cui il credente si sente valorizzato e riconosciuto per sé stesso: «Quanto è bello questo cielo ora che il Salvatore ne è divenuto il sole e il suo petto è una sorgente d’amore alla quale i beati bevono a sazietà. Ognuno va a contemplarlo e vi vede scritto, dentro, il suo amore a caratteri di amore che solo l’amore sa leggere e che solo l’amore ha scolpiti. Ah, Figlia mia, i nostri nomi non vi figureranno? Sì, vi figureranno senza dubbio, perché sebbene il nostro cuore non abbia l’amore, ha però il desiderio dell’amore e l’inizio dell’amore»[105].
116. Egli considerava questa esperienza come qualcosa di fondamentale per una vita spirituale che poneva tale convinzione tra le grandi verità di fede: «Sì, mia carissima Figlia, Egli pensa a voi, e non solo a voi, ma anche al più piccolo fra i capelli del vostro capo: è una verità di fede che non bisogna assolutamente mettere in dubbio»[106]. Ne consegue che il credente diventa capace di abbandonarsi completamente nel Cuore di Cristo, dove trova riposo, consolazione e forza: «O Dio, che felicità stare così tra le braccia e sul petto [del Salvatore]. […] Rimanete così, Figlia cara, e come un altro piccolo San Giovanni, mentre gli altri mangiano vari cibi alla tavola del Salvatore, voi riposate e inclinate, con semplicissima fiducia, la vostra testa, la vostra anima, il vostro spirito sul petto amorevole del caro Signore»[107]. «Spero che voi siate con lo spirito nella caverna della tortorella e nel fianco squarciato del nostro caro Salvatore. [...] Com’è buono questo Signore, cara figlia mia! Come il suo cuore è amabile! Rimaniamo lì, in quel santo domicilio»[108].
117. Fedele, tuttavia, al suo insegnamento sulla santificazione nella vita ordinaria, egli propone che ciò sia vissuto in mezzo alle attività, ai compiti e ai doveri della vita quotidiana: «Mi chiedete come debbano comportarsi in tutte le loro azioni le anime che sono attratte nella preghiera a questa santa semplicità e a questo perfetto abbandono a Dio? Rispondo che, non solo nella preghiera, ma nella condotta di tutta la loro vita, devono invariabilmente camminare in spirito di semplicità, abbandonando e consegnando tutta la loro anima, le loro azioni e i loro successi alla volontà di Dio, con un amore di perfetta e assoluta fiducia, abbandonandosi alla grazia e alla cura dell’amore eterno che la Divina Provvidenza prova per loro»[109].
118. Per tutti questi motivi, quando si trattò di pensare a un simbolo che potesse riassumere la sua proposta di vita spirituale, egli concluse: «Ho dunque pensato, mia cara Madre, se siete d’accordo, che dobbiamo prendere come nostro stemma un unico cuore trafitto da due frecce, racchiuso in una corona di spine»[110].
UNA NUOVA DICHIARAZIONE D’AMORE
119. È sotto il salutare influsso di questa spiritualità di San Francesco di Sales che si svolsero gli eventi di Paray-le-Monial alla fine del XVII secolo. Santa Margherita Maria Alacoque ha raccontato importanti apparizioni avvenute tra la fine di dicembre 1673 e il giugno 1675. Fondamentale è una dichiarazione d’amore che spicca nella prima grande apparizione. Gesù dice: «Il mio divin Cuore è tanto appassionato d’amore per gli uomini e per te in particolare, che, non potendo più contenere in sé stesso le fiamme del suo ardente Amore, sente il bisogno di diffonderle per mezzo tuo e di manifestarsi agli uomini per arricchirli dei preziosi tesori che ti scoprirò»[111].
120. Santa Margherita Maria riassume tutto in modo potente e fervoroso: «Mi scoprì le meraviglie del suo Amore e i segreti inesplicabili del suo Sacro Cuore, che mi aveva tenuti nascosti fino a quel momento, nel quale me lo aprì per la prima volta. E lo fece in modo così reale e sensibile da non permettermi ombra di dubbio»[112]. Nelle manifestazioni successive viene ribadita la bellezza di questo messaggio: «Mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini»[113].
121. Questo intenso riconoscimento dell’amore di Gesù che Santa Margherita Maria ci ha trasmesso ci offre preziosi stimoli per la nostra unione con Lui. Ciò non significa che ci sentiamo obbligati ad accettare o ad assumere tutti i dettagli di questa proposta spirituale, dove, come spesso accade, all’azione divina si mescolano elementi umani legati ai desideri, alle preoccupazioni e alle immagini interiori del soggetto[114]. Tale proposta dev’essere sempre riletta alla luce del Vangelo e di tutta la ricca tradizione spirituale della Chiesa, mentre riconosciamo quanto bene ha fatto in tante sorelle e in tanti fratelli. Questo ci permette di riconoscere doni dello Spirito Santo all’interno di questa esperienza di fede e di amore. Più importante dei dettagli è il nucleo del messaggio che ci viene trasmesso e che può essere riassunto in quelle parole che Santa Margherita ha udito: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini e che nulla ha risparmiato fino ad esaurirsi e a consumarsi per testimoniare loro il suo Amore»[115].
122. Questa manifestazione è un invito a crescere nell’incontro con Cristo, grazie a una fiducia senza riserve, fino a raggiungere un’unione piena e definitiva: «Il divin Cuore di Gesù si sostituisca talmente a noi da vivere e agire solo in noi e per noi. La sua Volontà […] possa agire assolutamente senza resistenza da parte nostra; in conclusione, gli affetti, i desideri, i pensieri suoi siano al posto dei nostri, ma soprattutto il suo amore che si amerà da sé stesso in noi e per noi. E così, quell’amabile Cuore di Gesù essendo per noi tutto in ogni cosa, potremo dire con san Paolo che non viviamo più noi ma che è lui che vive in noi»[116].
123. In effetti, nel primo messaggio ricevuto, ella presenta questa esperienza in modo più personale, più concreto, pieno di fuoco e di tenerezza: «Mi domandò il cuore e io Lo supplicai di prenderlo. Lo prese e lo mise nel suo Cuore adorabile, nel quale me lo fece vedere come un piccolo atomo, che si consumava in quella fornace ardente»[117].
124. In un altro punto notiamo che Colui che si dona a noi è il Cristo risorto, pieno di gloria, pieno di vita e di luce. Anche se in vari momenti parla delle sofferenze che ha sopportato per noi e dell’ingratitudine che riceve, qui non sono il sangue e le ferite dolorose a risaltare, ma la luce e il fuoco del Vivente. Le ferite della Passione, che non scompaiono, vengono trasfigurate. Così, il Mistero della Pasqua si manifesta qui nella sua interezza: «Una volta, […] mentre era esposto il Santo Sacramento, […] Gesù Cristo, il mio dolce Maestro, si presentò a me tutto splendente di gloria con le sue cinque piaghe sfolgoranti come cinque soli. Da ogni parte di quella sacra Umanità si sprigionavano fiamme, ma soprattutto dal suo adorabile petto, che somigliava a una fornace ardente. Dopo averlo scoperto, mi mostrò il suo amante e amabilissimo Cuore, sorgente viva di quelle fiamme. Fu allora che mi svelò le meraviglie inesplicabili del suo puro Amore e fino a quale eccesso questo lo avesse spinto ad amare gli uomini, dai quali poi non riceveva in cambio che ingratitudini e indifferenza»[118].
SAN CLAUDIO DE LA COLOMBIÈRE
125. Quando San Claudio de La Colombière venne a conoscenza delle esperienze di Santa Margherita, ne divenne immediatamente difensore e divulgatore. Egli ebbe un ruolo speciale nella comprensione e nella diffusione di questa devozione al Sacro Cuore, ma anche nella sua interpretazione alla luce del Vangelo.
126. Mentre alcune espressioni di Santa Margherita, se fraintese, potevano indurre a confidare troppo nei propri sacrifici e nelle proprie offerte, San Claudio mostra che la contemplazione del Cuore di Cristo, se è autentica, non provoca un compiacimento in sé stessi o una vanagloria nelle esperienze o negli sforzi umani, bensì un indescrivibile abbandono in Cristo che riempie la vita di pace, di sicurezza, di decisione. Egli ha espresso molto bene questa fiducia assoluta in una famosa preghiera: «Per me, o mio Dio, son troppo persuaso che voi vegliate sopra coloro che sperano in voi, e che non può mancar loro cosa alcuna, quando sperano tutto da voi. Son risoluto perciò di vivere per l’avvenire senza cruccio alcuno, e di rimettere a voi tutte le mie inquietudini [...]. Non perderò giammai la mia speranza, la manterrò fino all’ultimo momento di mia vita; e tutti i demoni dell’inferno invano si affaticheranno in quel punto per levarmela [...]. Aspetti pure chi vuole la sua felicità dalle ricchezze o dall’ingegno; confidi altri nell’innocenza della sua vita o nel rigore della sua penitenza, o nell’abbondanza delle sue limosine, o nel fervore delle sue preghiere […]. Per me, Signore, tutta la mia confidenza sta riposta in voi solo. Né questa confidenza ingannò mai alcuno […]. Posso dunque star sicuro che sarò eternamente felice, perché spero fermamente d’esserlo e perché è voi, o mio Dio, siete quello da cui lo spero»[119].
127. San Claudio scrisse una nota nel gennaio del 1677, preceduta da alcune righe che si riferiscono alla certezza che sentiva circa la propria missione: «Ho saputo che Dio ha voluto che lo servissi cercando di realizzare i suoi desideri riguardo alla devozione che Egli ha suggerito a una persona a cui si comunica in modo confidenziale, e a favore della quale ha voluto servirsi della mia debolezza; già l’ho ispirata a parecchie persone»[120].
128. È importante notare come, nella spiritualità di La Colombière, ci sia una felice sintesi tra la ricca e bella esperienza spirituale di Santa Margherita e la contemplazione molto concreta degli Esercizi ignaziani. Egli scriveva all’inizio della Terza Settimana del mese di Esercizi: «Due cose mi hanno commosso straordinariamente. La prima è la disposizione con cui Gesù si è presentato a coloro che lo cercavano. Il suo Cuore è immerso in un’orribile amarezza; tutte le passioni sono sciolte dentro di Lui, l’intera natura è sconcertata, e attraverso tutti questi disordini, tutte queste tentazioni, il Cuore si rivolge direttamente a Dio; non esita a prendere la parte suggeritagli dalla virtù e dalla più alta virtù. La seconda cosa è il comportamento di questo stesso Cuore nei confronti di Giuda che lo tradisce, degli apostoli che lo abbandonano vigliaccamente, dei sacerdoti e degli altri autori della persecuzione a cui è sottoposto; tutto ciò non è stato in grado di suscitare in Lui il minimo sentimento di odio o di indignazione. Mi rappresento, dunque, quel Cuore senza amarezza, senza acrimonia, pieno di vera tenerezza verso i suoi nemici»[121].
SAN CHARLES DE FOUCAULD E SANTA TERESA DI GESÙ BAMBINO
129. San Charles de Foucauld e Santa Teresa di Gesù Bambino, senza averne la pretesa, hanno rimodellato alcuni elementi della devozione al Cuore di Cristo, aiutandoci a comprenderla in modo ancora più fedele al Vangelo. Vediamo ora come questa devozione si è espressa nella loro vita. Nel prossimo capitolo torneremo su di loro per mostrare l’originalità della dimensione missionaria che entrambi, in modi diversi, hanno sviluppato.
Iesus Caritas
130. A Louye, San Charles de Foucauld faceva visita al Santissimo Sacramento con sua cugina, Madame de Bondy, e un giorno lei gli indicò un’immagine del Sacro Cuore[122]. Questa cugina è stata fondamentale nella conversione di Carlo, come egli stesso riconosce: «Giacché il buon Dio vi ha reso il primo strumento delle sue misericordie nei miei confronti, esse discendono tutte da voi: se voi non mi aveste convertito, ricondotto a Gesù, se non mi aveste insegnato a poco a poco, quasi parola per parola, ciò che è buono e pio, sarei oggi a questo punto?»[123]. Ma ciò che ella ha risvegliato in lui è proprio l’ardente consapevolezza dell’amore di Gesù. Era tutto lì, questa era la cosa più importante. E questo si concentrava particolarmente nella devozione al Cuore di Cristo, dove egli trovava una misericordia senza limiti: «Speriamo nella misericordia infinita di Colui del quale mi avete fatto conoscere il Sacro Cuore»[124].
131. In seguito il suo direttore spirituale, Don Henri Huvelin, lo aiuterà ad approfondire tale prezioso mistero: «Questo Cuore benedetto di cui Lei ci parlava così spesso»[125]. Il 6 giugno 1889, Carlo si consacrò al Sacro Cuore, nel quale trovava un amore assoluto. Egli dice a Cristo: «Mi avete talmente colmato di benefici che mi sembrerebbe essere ingrati verso il vostro cuore non credere che esso è pronto a colmarmi di ogni bene, per quanto grande esso sia, e che il suo amore come la sua generosità sono senza misura»[126]. Egli sarà l’eremita «sotto il nome del Sacro Cuore»[127].
132. Il 17 maggio 1906, lo stesso giorno in cui fratel Carlo, da solo, non può più celebrare la Messa, scrive questa promessa: «Lasciar vivere in me il Cuore di Gesù affinché non sia più io che vivo, ma il Cuore di Gesù che vive in me, com’Egli viveva a Nazaret»[128]. La sua amicizia con Gesù, cuore a cuore, non aveva nulla di un devozionismo intimistico. Era la radice di quella vita spogliata di Nazaret con cui Carlo voleva imitare Cristo e configurarsi a Lui. Quella tenera devozione al Cuore di Cristo ebbe conseguenze molto concrete sul suo stile di vita e la sua Nazaret si nutriva di tale relazione molto personale con il Cuore di Cristo.
Santa Teresa di Gesù Bambino
133. Come San Charles de Foucauld, Santa Teresa di Gesù Bambino respirò l’enorme devozione che inondava la Francia nel XIX secolo. Il sacerdote Almire Pichon era il direttore spirituale della sua famiglia ed era considerato un grande apostolo del Sacro Cuore. Una delle sue sorelle prese il nome religioso di “Maria del Sacro Cuore”, e il monastero in cui la Santa entrò era dedicato al Sacro Cuore. Tuttavia, la sua devozione assunse alcune caratteristiche proprie, al di là delle forme in cui si esprimeva all’epoca.
134. Quando aveva quindici anni, trovò un modo per riassumere il suo rapporto con Gesù: «Colui il cui cuore batteva all’unisono col mio»[129]. Due anni dopo, quando le parlavano di un Cuore coronato di spine, aggiungeva in una lettera: «Tu lo sai: io non guardo al Sacro Cuore come tutti; penso che il cuore del mio sposo è solo mio, così come il mio appartiene solo a lui, e allora nella solitudine gli parlo di questo delizioso cuore a cuore, aspettando di contemplarlo un giorno faccia a faccia»[130].
135. In una poesia ella ha espresso il senso della sua devozione, fatta più di amicizia e fiducia che di sicurezza nei propri sacrifici:
«Un cuore caldo di tenerezza cerco,
che sostegno mi sia senza ricambio,
che tutto di me, debolezza inclusa,
ami e giorno e notte non m’abbandoni [...].
Io voglio un Dio che con la mia natura
mi sia fratello e soffrire possa [...].
Ben lo so tutte le giustizie nostre
non han valore alcuno agli occhi suoi [...].
Per purgatorio mio scelgo felice
l’Amore tuo ardente, Cuore del mio Dio!»[131].
136. Forse il testo più importante per poter comprendere il significato della sua devozione al Cuore di Cristo è la lettera che scrisse, tre mesi prima di morire, all’amico Maurice Bellière: «Quando vedo Maddalena avanzarsi in mezzo ai numerosi convitati, bagnare con le sue lacrime i piedi del suo Maestro adorato, che lei tocca per la prima volta, sento che il suo cuore ha compreso gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù e che, per quanto peccatrice sia, questo Cuore d’amore non solo è disposto a perdonarla, ma anche a prodigarle i benefici della sua intimità divina, ad elevarla fino alle più alte cime della contemplazione. Ah, caro piccolo Fratello mio, da quando mi è stato dato di capire così l’amore del Cuore di Gesù, le confesso che esso ha scacciato dal mio cuore ogni timore. Il ricordo delle mie colpe mi umilia, mi induce a non appoggiarmi mai sulla mia forza che non è che debolezza; ma ancor più questo ricordo mi parla di misericordia e di amore»[132].
137. Le menti moralistiche, che pretendono di controllare la misericordia e la grazia, direbbero che ella poteva dire questo perché era santa, ma che un peccatore non potrebbe dirlo. Così facendo, tralasciano della spiritualità di Teresa la sua bella novità che riflette il cuore del Vangelo. Purtroppo, è diventato frequente in alcuni ambienti cristiani questo intento di rinchiudere lo Spirito Santo in uno schema che permetta di avere tutto sotto la propria supervisione. Tuttavia, questa saggia Dottore della Chiesa li smentisce e contraddice direttamente tale interpretazione riduttiva con le seguenti parole molto chiare: «Se avessi commesso tutti i crimini possibili, avrei sempre la stessa fiducia, sento che tutta questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d’acqua gettata in un braciere ardente»[133].
138. A suor Maria, che la lodava per il suo generoso amore a Dio, disposto anche al martirio, risponde ampiamente in una lettera che oggi è una delle pietre miliari della storia della spiritualità. Questa pagina andrebbe letta mille volte per la sua profondità, chiarezza e bellezza. In essa aiuta la sorella “del Sacro Cuore” a non concentrare tale devozione su un aspetto doloristico, giacché alcuni intendevano la riparazione come una sorta di primato dei sacrifici o di adempimento moralistico. Lei, invece, riassume tutto nella fiducia come la migliore offerta, gradita al Cuore di Cristo: «I miei desideri di martirio non sono nulla; non sono quei desideri che mi danno la fiducia illimitata che sento nel cuore. A dire il vero, sono le ricchezze spirituali che rendono ingiusti quando ci si riposa in esse con compiacenza e si crede che siano qualcosa di grande. […] Ciò che gli piace è di vedermi amare la mia piccolezza e la mia povertà, è la cieca speranza che ho nella sua misericordia! Ecco il mio solo tesoro. […] Se lei desidera sentire gioia, essere attratta dalla sofferenza, lei cerca la sua consolazione. […] Comprenda che, per amare Gesù, per essere sua vittima d’amore, più si è deboli, senza desideri né virtù, più si è adatti alle operazioni di questo Amore che consuma e trasforma! […] Oh, come vorrei poterle far capire quel che sento! È la fiducia e null’altro che la fiducia che deve condurci all’Amore!»[134].
139. In molti dei suoi testi si nota la sua lotta contro forme di spiritualità troppo incentrate sullo sforzo umano, sul merito proprio, sull’offerta di sacrifici, su determinati adempimenti per “guadagnarsi il cielo”. Per lei, «il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere»[135]. Leggiamo ancora una volta alcuni dei testi molto significativi nei quali insiste su questa via, che è un modo semplice e veloce di conquistare il Signore attraverso il cuore.
140. Così scrive alla sorella Leonia: «Ti assicuro che il buon Dio è assai migliore di quanto tu creda: si accontenta di uno sguardo, di un sospiro d’amore. Quanto a me, trovo molto facile praticare la perfezione, perché ho capito che non c’è che da prendere Gesù per il cuore! Guarda un bambino, che ha appena recato dispiacere a sua madre. […] Se le tenderà le braccine sorridendo e dicendo: “Abbracciami, non ricomincerò più”, potrà forse sua madre non stringerselo al cuore con tenerezza e dimenticare le sue mancanze infantili? Tuttavia ella sa bene che il suo caro piccino ricomincerà alla prossima occasione, ma questo non importa: se egli la prende ancora per il cuore, non sarà mai punito»[136].
141. In una lettera al padre Adolphe Roulland dice: «La mia via è una via tutta di fiducia e d’amore; io non capisco le anime che hanno paura di un così tenero Amico. Talvolta, quando leggo certi trattati spirituali, nei quali la perfezione è presentata attraverso mille ostacoli, circondata da una folla di illusioni, il mio povero spirito si stanca molto presto; chiudo il dotto libro, che mi rompe la testa e mi inaridisce il cuore, e prendo la Sacra Scrittura. Allora tutto mi appare luminoso: una sola parola svela alla mia anima orizzonti infiniti; la perfezione mi appare facile; vedo che basta conoscere il proprio niente e abbandonarsi come un bambino nelle braccia del buon Dio»[137].
142. E rivolgendosi al Rev.do Maurice Bellière, a proposito di un genitore osserva: «Non credo che il cuore di quel padre felice possa resistere alla fiducia filiale di suo figlio, del quale conosce la sincerità e l’amore. Tuttavia non ignora che più d’una volta suo figlio ricadrà negli stessi errori, ma è disposto a perdonarlo sempre, se suo figlio lo prenderà sempre dalla parte del cuore»[138].
RISONANZE NELLA COMPAGNIA DI GESÙ
143. Abbiamo visto come San Claudio de La Colombière collegasse l’esperienza spirituale di Santa Margherita con la proposta degli Esercizi Spirituali. Ritengo che il posto del Sacro Cuore nella storia della Compagnia di Gesù meriti un breve cenno.
144. La spiritualità della Compagnia di Gesù ha sempre proposto una “conoscenza interiore del Signore per meglio amarlo e seguirlo”[139]. Sant’Ignazio ci invita, nei suoi Esercizi Spirituali, a metterci davanti al Vangelo che ci dice che «il costato [di Gesù] fu ferito con la lancia e venne fuori acqua e sangue»[140]. Quando l’esercitante si trova davanti al costato ferito di Cristo, Ignazio gli propone di entrare nel Cuore di Cristo. Questa è una via per maturare il proprio cuore per mano di un “maestro degli affetti”, secondo l’espressione usata da San Pietro Favre in una delle sue lettere a Sant’Ignazio[141]. Anche Padre Juan Alfonso de Polanco ne parla nella sua biografia di Sant’Ignazio: «[il Cardinale Contarini] riconosceva di aver trovato in Padre Ignazio un maestro degli affetti»[142]. I colloqui che Sant’Ignazio propone sono una parte essenziale di questa educazione del cuore, perché sentiamo e gustiamo con il cuore un messaggio del Vangelo e ne conversiamo con il Signore. Sant’Ignazio dice che possiamo comunicare le nostre cose al Signore e chiedergli consiglio riguardo ad esse. Qualsiasi esercitante può riconoscere che negli Esercizi c’è un dialogo da cuore a cuore.
145. Sant’Ignazio termina le contemplazioni ai piedi del Crocifisso invitando l’esercitante a rivolgersi con grande affetto al Signore crocifisso e a chiedergli, «come un amico parla all’altro amico, o un servo al suo signore», cosa debba fare per Lui[143]. L’itinerario degli Esercizi culmina nella “Contemplazione per raggiungere l’amore”, da cui scaturisce il ringraziamento e l’offerta di “memoria, intelletto e volontà” al Cuore che è fonte e origine di ogni bene[144]. Tale conoscenza interiore del Signore non si costruisce con le nostre capacità e i nostri sforzi, si chiede come dono.
146. Questa stessa esperienza è alla base di una lunga catena di sacerdoti gesuiti che hanno fatto esplicito riferimento al Cuore di Gesù, come San Francesco Borgia, San Pietro Favre, Sant’Alonso Rodriguez, Padre Álvarez de Paz, Padre Vincenzo Carafa, Padre Kasper Drużbicki e tanti altri. Nel 1883 i Gesuiti dichiararono che «la Compagnia di Gesù accetta e riceve con spirito traboccante di gioia e di gratitudine, il dolcissimo fardello affidatole da nostro Signore Gesù Cristo di praticare, promuovere e propagare la devozione al suo divinissimo Cuore»[145]. Nel dicembre 1871, Padre Pieter Jan Beckx consacrò la Compagnia al Sacro Cuore di Gesù e, a testimonianza del fatto che continua a essere un elemento attuale della vita della Compagnia, Padre Pedro Arrupe lo fece nuovamente nel 1972, con una convinzione che si esprime in queste parole: «Voglio dire alla Compagnia qualcosa che ritengo di non dover tacere. Fin dal mio noviziato, sono stato sempre convinto che quella che chiamiamo “Devozione al Sacro Cuore” racchiuda un’espressione simbolica del nucleo più profondo dello spirito ignaziano, e una straordinaria efficacia – ultra quam speraverint – tanto per la perfezione propria come per la fecondità apostolica. La stessa convinzione conservo ancora. [...] In questa devozione trovo una delle sorgenti più intime della mia vita interiore»[146].
147. Quando San Giovanni Paolo II invitò «tutti i membri della Compagnia a promuovere con maggior zelo ancora tale devozione che risponde più che mai alle attese dei nostri tempi», lo fece perché riconosceva gli intimi legami tra la devozione al Cuore di Cristo e la spiritualità ignaziana, poiché «il desiderio di “conoscere intimamente il Signore” e di “mantenere un dialogo” con Lui, cuore a cuore, è caratteristico, grazie agli Esercizi Spirituali, del dinamismo spirituale e apostolico ignaziano, totalmente al servizio dell’amore del Cuore di Dio»[147].
UNA LUNGA CORRENTE DI VITA INTERIORE
148. La devozione al Cuore di Cristo riappare nel cammino spirituale di molti santi molto diversi tra loro e in ognuno di essi tale devozione assume aspetti nuovi. San Vincenzo de’ Paoli, per fare un esempio, diceva che ciò che Dio vuole è il cuore: «Dio chiede prima di tutto il cuore, il cuore: questa è la cosa principale. Perché chi non possiede nulla può aver più merito di chi ha grandi possessi ai quali rinunzia? Perché chi non ha nulla va a Lui con più affetto; ed è questo che Dio vuole in modo tutto particolare»[148]. Ciò comporta di accettare che il proprio cuore si unisca a quello di Cristo: «Una suora che fa tutto quello che può per disporre il suo cuore a stare unito a quello di Nostro Signore […] quali benedizioni non riceverà da Dio!»[149].
149. A volte siamo tentati di considerare questo mistero d’amore come un fatto ammirevole del passato, come una bella spiritualità di altri tempi, e dobbiamo ricordare sempre di nuovo, come diceva un santo missionario, che «Questo Cuore divino che tollerò d’essere squarciato da una lancia nemica per poter effondere da quella sacra apertura i Sacramenti, onde s’è formata la Chiesa, non ha altrimenti finito di amare»[150]. Altri santi più recenti, come San Pio da Pietrelcina, Santa Teresa di Calcutta e molti altri, parlano con sentita devozione del Cuore di Cristo. Ma vorrei anche ricordare le esperienze di Santa Faustina Kowalska, che ripropongono la devozione al Cuore di Cristo con un forte accento sulla vita gloriosa del Risorto e sulla misericordia divina. Infatti, motivato da queste esperienze della santa e attingendo dall’eredità spirituale lasciata dal Vescovo San Józef Sebastian Pelczar (1842 1924)[151], San Giovanni Paolo II ha collegato intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al Cuore di Cristo: «La Chiesa sembra professare in modo particolare la misericordia di Dio e venerarla rivolgendosi al Cuore di Cristo. Infatti, proprio l’accostarci a Cristo nel mistero del suo Cuore ci consente di soffermarci su questo punto […] della rivelazione dell’amore misericordioso del Padre, che ha costituito il contenuto centrale della missione messianica del Figlio dell’Uomo»[152]. Lo stesso San Giovanni Paolo II, riferendosi al Sacro Cuore, ha riconosciuto in modo molto personale: «Mi ha parlato fin dall’età giovanile»[153].
150. L’attualità della devozione al Cuore di Cristo è particolarmente evidente nell’opera evangelizzatrice ed educativa di numerose congregazioni religiose femminili e maschili che sono state segnate fin dalle loro origini da questa esperienza spirituale cristologica. Citarle tutte sarebbe un’impresa interminabile. Vediamo solo due esempi presi a caso: «Il Fondatore [S. Daniele Comboni] trovò nel mistero del Cuore di Gesù la forza per il suo impegno missionario»[154]. «Spinte dall’amore del Cuore di Gesù, cerchiamo di far crescere le persone nella loro dignità umana e come figli e figlie di Dio, sulla base del Vangelo e delle sue richieste di amore, di perdono, di giustizia e di solidarietà con i poveri e gli emarginati»[155]. Allo stesso modo, i Santuari consacrati al Cuore di Cristo, sparsi per il mondo, sono una fonte attraente di spiritualità e fervore. A tutti coloro che in qualche modo partecipano a questi luoghi di fede e di carità rivolgo la mia paterna benedizione.
LA DEVOZIONE DELLA CONSOLAZIONE
151. La ferita del costato, da cui sgorga l’acqua viva, rimane aperta nel Risorto. Questa grande ferita prodotta dalla lancia e le piaghe della corona di spine, che spesso appaiono nelle rappresentazioni del Sacro Cuore, sono inseparabili da questa devozione. In essa, infatti, contempliamo l’amore di Gesù che è stato capace di donarsi fino alla fine. Il cuore del Risorto conserva questi segni della totale donazione di sé che ha comportato un’intensa sofferenza per noi. È quindi in qualche modo inevitabile che il credente desideri rispondere non solo a questo grande amore, ma anche al dolore che Cristo ha accettato di sopportare per tanto amore.
Con Lui sulla Croce
152. Vale la pena di recuperare questa espressione dell’esperienza spirituale sviluppata attorno al Cuore di Cristo: il desiderio interiore di dargli consolazione. Non tratterò ora della pratica della “riparazione”, che considero meglio collocata nel contesto della dimensione sociale di questa devozione e che svilupperò nel prossimo capitolo. Ora vorrei concentrarmi soltanto su quel desiderio che spesso affiora nel cuore del credente innamorato quando contempla il mistero della Passione di Cristo e lo vive come un mistero che non solo viene ricordato, ma che per grazia si rende presente, o meglio, ci porta a essere misticamente presenti a quel momento redentivo. Se l’Amato è il più importante, come allora non volerlo consolare?
153. Papa Pio XI cercò di dare fondamento a questa esperienza invitandoci a riconoscere che il mistero della Redenzione attraverso la Passione di Cristo oltrepassa, per la grazia di Dio, tutte le distanze di tempo e di spazio, così che se Egli sulla Croce si è donato anche per i peccati futuri, i nostri peccati, allo stesso modo i nostri atti offerti oggi per la sua consolazione, superando i tempi, hanno raggiunto il suo Cuore ferito: «Se a causa anche dei nostri peccati futuri, ma previsti, l’anima di Gesù divenne triste sino alla morte, non è a dubitare che qualche conforto non abbia anche fin da allora provato per la previsione della nostra riparazione, quando a lui “apparve l’Angelo dal cielo” (Lc 22,43) per consolare il suo cuore oppresso dalla tristezza e dalle angosce. E così anche ora in modo mirabile ma vero, noi possiamo e dobbiamo consolare quel Cuore Sacratissimo che viene continuamente ferito dai peccati degli uomini ingrati»[156].
Le ragioni del cuore
154. Può sembrare che questa espressione di devozione non abbia un sufficiente supporto teologico, ma in realtà il cuore ha le sue ragioni. Il sensus fidelium intuisce che qui c’è qualcosa di misterioso che va oltre la nostra logica umana, e che la Passione di Cristo non è un mero fatto del passato: ad essa possiamo partecipare per la fede. Meditare il dono di sé di Cristo sulla croce è, per la pietà dei fedeli, qualcosa di più grande di un semplice ricordo. Tale convinzione è solidamente fondata nella teologia[157]. A questo si aggiunge la consapevolezza del proprio peccato, che Egli ha portato sulle sue spalle ferite, e della propria inadeguatezza di fronte a tanto amore, che sempre ci supera infinitamente.
155. In ogni caso, ci chiediamo come sia possibile relazionarsi con il Cristo vivo, risorto, pienamente felice e, allo stesso tempo, consolarlo nella Passione. Consideriamo il fatto che il Cuore risorto conserva la sua ferita come una memoria costante e che l’azione della grazia provoca un’esperienza che non è interamente contenuta nell’istante cronologico. Queste due convinzioni ci permettono di ammettere che siamo di fronte a un percorso mistico che supera i tentativi della ragione ed esprime ciò che la stessa Parola di Dio ci suggerisce. «Ma – scrive il Papa Pio XI – come potrà dirsi che Cristo regni beato nel Cielo se può essere consolato da questi atti di riparazione? “Da’ un’anima che ami e comprenderà quello che dico” (In Ioannis evangelium, XXVI, 4), rispondiamo con le parole di Agostino, che fanno proprio al nostro proposito. Ogni anima, infatti, veramente infiammata nell’amore di Dio, se con la considerazione si volge al tempo passato, meditando vede e contempla Gesù sofferente per l’uomo, afflitto, in mezzo ai più gravi dolori, “per noi uomini e per la nostra salvezza”, dalla tristezza, dalle angosce e dagli obbrobri quasi oppresso, anzi “schiacciato dai nostri delitti” (Is 53,5), e in atto di risanarci con i suoi lividi. Con tanta maggior verità le anime pie meditano queste cose, in quanto i peccati e i delitti degli uomini, in qualsiasi tempo commessi, furono la causa per la quale il Figlio di Dio fosse dato a morte»[158].
156. Questo insegnamento di Pio XI va tenuto presente. Infatti, quando la Scrittura afferma che i credenti che non vivono secondo la loro fede «per quanto sta in loro, […] crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio» (Eb 6,6), o che quando sopporto sofferenze per gli altri «do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne» (Col 1,24), o che Cristo nella sua Passione ha pregato non solo per i suoi discepoli di allora, ma «per quelli che crederanno in me mediante la loro parola» (Gv 17,20), sta dicendo qualcosa che rompe i nostri schemi limitati. Ci mostra che non è possibile stabilire un prima e un dopo senza alcun legame, anche se il nostro pensiero non sa come spiegarlo. Il Vangelo, nei suoi vari aspetti, non è solo da riflettere o da ricordare, ma da vivere, sia nelle opere d’amore che nell’esperienza interiore, e questo vale soprattutto per il mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Le separazioni temporali che la nostra mente utilizza non sembrano contenere la verità di questa esperienza credente in cui si fondono l’unione con Cristo sofferente e al tempo stesso la forza, la consolazione e l’amicizia che godiamo con il Risorto.
157. Vediamo allora l’unità del Mistero Pasquale, nei suoi due aspetti inseparabili che si illuminano a vicenda. Questo unico Mistero, che si rende presente per la grazia nelle sue due dimensioni, fa sì che mentre cerchiamo di offrire qualcosa a Cristo per la sua consolazione, le nostre stesse sofferenze vengono illuminate e trasfigurate dalla luce pasquale dell’amore. Ciò che accade è che partecipiamo a tale Mistero nella nostra vita concreta, perché in precedenza Cristo stesso ha voluto partecipare alla nostra vita, ha voluto vivere anticipatamente come capo ciò che avrebbe vissuto il suo corpo ecclesiale, tanto nelle ferite quanto nelle consolazioni. Quando viviamo in grazia di Dio, questa mutua partecipazione diventa un’esperienza spirituale. In definitiva, è il Risorto che, attraverso l’azione della sua grazia, rende possibile che ci uniamo misteriosamente alla sua Passione. Lo sanno i cuori credenti che vivono la gioia della risurrezione, ma allo stesso tempo desiderano partecipare al destino del loro Signore. Sono disposti a questa partecipazione con le sofferenze, le stanchezze, le delusioni e le paure che fanno parte della loro vita. Non vivono tale Mistero in solitudine, perché queste ferite sono ugualmente una partecipazione al destino del corpo mistico di Cristo che cammina nel popolo santo di Dio e che porta in sé il destino di Cristo in ogni tempo e luogo della storia. La devozione della consolazione non è astorica o astratta, si fa carne e sangue nel cammino della Chiesa.
La compunzione
158. L’insopprimibile desiderio di consolare Cristo, che parte dal dolore di contemplare ciò che Egli ha sofferto per noi, si nutre anche del riconoscimento sincero delle nostre schiavitù, degli attaccamenti, della mancanza di gioia nella fede, delle vane ricerche e, al di là dei peccati concreti, della mancata corrispondenza del cuore al suo amore e al suo progetto. È un’esperienza che ci purifica, perché l’amore ha bisogno della purificazione delle lacrime che alla fine ci lasciano più assetati di Dio e meno ossessionati da noi stessi.
159. Vediamo così che quanto più profondo diventa il desiderio di consolare il Signore, tanto più si approfondisce la compunzione del cuore credente, che «non è un senso di colpa che ci butta a terra, non è uno scrupolo che paralizza, ma è un pungolo benefico che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo scuote e fa scorrere le lacrime sul suo volto [...]. Non si tratta di commiserarsi, come spesso siamo tentati di fare. [...] Avere lacrime di compunzione, invece, significa pentirsi seriamente di aver rattristato Dio con il peccato; significa riconoscere che siamo sempre in debito e mai in credito [...]. Come una goccia scava una pietra, così le lacrime scavano lentamente i cuori induriti. In questo modo assistiamo al miracolo della tristezza, della buona tristezza che porta alla dolcezza [...]. La compunzione non è frutto del nostro lavoro, ma è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera»[159]. È chiedere «dolore con Cristo abbandonato, tormento con Cristo tormentato, lacrime, intima pena per la grande pena che Cristo soffrì per me»[160].
160. Chiedo, quindi, che nessuno si faccia beffe delle espressioni di fervore credente del santo popolo fedele di Dio, che nella sua pietà popolare cerca di consolare Cristo. E invito ciascuno a chiedersi se non ci sia più razionalità, più verità e più saggezza in certe manifestazioni di questo amore che cerca di consolare il Signore che non nei freddi, distanti, calcolati e minimi atti d’amore di cui siamo capaci noi che pretendiamo di possedere una fede più riflessiva, coltivata e matura.
Consolati per consolare
161. In questa contemplazione del Cuore di Cristo donatosi fino all’estremo noi veniamo consolati. Il dolore che sentiamo nel cuore lascia il posto a una fiducia totale, e alla fine ciò che rimane è gratitudine, tenerezza, pace; rimane il suo amore che regna nella nostra vita. La compunzione «non provoca angoscia, ma alleggerisce l’anima dai pesi, perché agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore»[161]. E la nostra sofferenza si unisce a quella di Cristo sulla croce, perché quando diciamo che la grazia ci permette di superare tutte le distanze, ciò significa anche che Cristo, quando soffriva, si univa a tutte le sofferenze dei suoi discepoli nel corso della storia. Così, se soffriamo, possiamo provare la consolazione interiore di sapere che Cristo stesso soffre con noi. Desiderosi di consolarlo, ne usciamo consolati.
162. Ma a un certo punto di questa contemplazione del cuore credente, deve risuonare quel drammatico appello del Signore: «Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1). E ci tornano alla mente le parole di San Paolo, che ci ricorda che Dio ci consola «perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio» (2 Cor 1,4).
163. Questo ci invita ora a cercare di approfondire la dimensione comunitaria, sociale e missionaria di ogni autentica devozione al Cuore di Cristo. Infatti, nello stesso momento in cui il Cuore di Cristo ci conduce al Padre, ci invia ai fratelli. Nei frutti di servizio, fraternità e missione che il Cuore di Cristo produce attraverso di noi, si compie la volontà del Padre. In tal modo il cerchio si chiude: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto» (Gv 15,8).
[83] Cfr Mišna Sukkâ IV, 5. 9.
[84] Lettera al Reverendo Padre Peter-Hans Kolvenbach, Preposito generale della Compagnia di Gesù, Paray-le-Monial (Francia), 5 ottobre 1986: L’Osservatore Romano, 7 ottobre 1986, p. IX.
[85] Atti dei Martiri di Lione, in Eusebio di Cesarea, Hist. Eccles., V, 1, 22: PG 20, 418.
[86] Rufinus, V, 1, 22: GCS, Eusebius II, 1, p. 411, 13s.
[87] S. Giustino, Dial. 135: PG 6,787.
[88] Novaziano, De Trinitate, 29: PL 3, 944. Cfr S. Gregorio di Elvira, Tractatus Origenis de libris Ss. Scripturarum, 20, Paris 1900, 210.
[89] S. Ambrogio, Expl. Ps. I, 33: PL 14, 983-984.
[90] Cfr Tract. in Joann. 61, 6: PL 35,1801.
[91] Epist. ad Rufinum 3, 4.3: PL 22, 334.
[92] Sermones in Cant. 61, 4: PL 183, 1072.
[93] Cfr Expositio altera super Cantica Canticorum, c. 1: PL 180, 487.
[94] Guglielmo di Saint-Thierry, De natura et dignitate amoris, 1: PL 184, 379.
[95] Id., Meditativae Orationes 8, 6: PL 180, 230.
[96] S. Bonaventura, Lignum vitae. De mysterio passionis, 30: Opuscoli Spirituali, 3, Roma 1992 (Sancti Bonaventurae Opera, XIII), 245.
[97] Ivi, 47.
[98] S. Gertrude di Helfta, Legatus divinae pietatis, IV, 4, 4: SCh, 255, 66.
[99] Leone Dehon, Directoire spirituel des prêtres du Sacré Coeur de Jésus, Turnhout 1936, II, cap. VII, n. 141.
[100] S. Caterina da Siena, Dialogo della divina provvidenza, LXXV: Fiorilli M. – Caramella S. (ed.), Bari 1928, 144.
[101] Cfr ad esempio Angelus Walz, De veneratione divini cordis Iesu in Ordine Praedicatorum, Roma 1937.
[102] Rafael García Herreros, Vida de San Juan Eudes, Bogotá 1943, 42.
[103] Lettera a S. Giovanna Francesca di Chantal, 24 aprile 1610: Opere complete di Francesco di Sales, vol. 8/2: Lettere 1605-1610, Roma 2021, 686.
[104] Sermone per la II Dom. di Quaresima, 20 febbraio 1622.
[105] Lettera a S. Giovanna Francesca di Chantal nella Solennità dell’Ascensione del 1612: San Francesco di Sales, Tutte le lettere, vol. II (1611-1618). Roma 1967, 183, lett. n. 781.
[106] Lettera a Maria Amata di Blonay, 18 febbraio 1618: ivi, 1056, lett. n. 140.
[107] Lettera a S. Giovanna Francesca di Chantal, fine novembre 1609: ivi, 610, lett. n. 552.
[108] Lettera a S. Giovanna Francesca di Chantal, verso il 25 febbraio 1610: ivi, 654, lett. n. 573.
[109] Entretien XIV, De la simplicité et prudence religieuse.
[110] Lettera a S. Giovanna Francesca di Chantal, 10 giugno 1611: San Francesco di Sales, Tutte le lettere, vol. II (1611-1618), Roma 1967, 56, lett. n. 69.
[111] S. Margherita Maria Alacoque, Autobiografia, n. 53, Roma 1983, 131.
[112] Ibid.
[113] Ivi, 134.
[114] Cfr Dicastero per la Dottrina della Fede, Norme per procedere nel discernimento di presunti fenomeni soprannaturali, 17 maggio 2024, I, A, 12.
[115] S. Margherita Maria Alacoque, Autobiografia, n. 92, Roma 1983, 180.
[116] Ead., Lettera a Suor de la Barge, 22 ottobre 1689: Vita e opere di Santa Margherita Maria Alacoque, vol. II, Roma 1985, 301.
[117] Ead., Autobiografia, n. 53, Op. cit., 132.
[118] Ivi, n. 55, Op. cit., 134.
[119] S. Claudio de La Colombière, Discorso sulla confidenza in Dio: Discorsi sacri su N.S. Gesù Cristo, su Maria Vergine Santissima, sui Santi, sui Novissimi, ecc., vol. III, Torino 1913, 484-485.
[120] Id., Ritiro a Londra, 1-8 febbraio 1677.
[121] Id., Esercizi spirituali a Lione, ottobre-novembre 1674.
[122] Cfr S. Charles de Foucauld, Lettre à Madame de Bondy, 27 aprile 1897: in Fonds Charles de Foucauld – Archives Diocésaines Viviers.
[123] Id., Lettera a Madame de Bondy, 28 aprile 1901: C. de Foucalud, Lettere a M.me de Bondy. Dalla Trappa a Tamanrasset, Roma 1968, 73. Cfr Lettera a Madame de Bondy, 5 aprile 1909: «È per mezzo vostro che ho conosciuto le esposizioni del Santissimo Sacramento, le benedizioni e il Sacro Cuore!»: ivi, 154.
[124] Lettera a Madame de Bondy, 7 aprile 1890: C. de Foucauld, Op. cit., 29.
[125] Lettera a Don Huvelin, 27 giugno 1892: C. de Foucauld – Don Huvelin, Corrispondenza inedita, Torino-Leumann 1965, 30.
[126] S. Charles de Foucauld, Meditazioni sull’Antico Testamento (1896-1897), XXX, 1-21: C. de Foucalud, Chi può resistere a Dio? Meditazioni sulla Sacra Scrittura (1896-1898), Roma 1983, 77-78.
[127] Id., Lettera a Don Huvelin, 16 maggio 1900: C. de Foucauld – Don Huvelin, Corrispondenza inedita, Torino-Leumann 1965, 132-133.
[128] Id., Diario, 17 maggio 1906: Opere spirituali, Roma 1983, 346.
[129] S. Teresa di Gesù Bambino, Lettera 67 a sua zia Madame Guérin, 18 novembre 1888: Opere complete, Città del Vaticano 1997, 354.
[130] Ead., Lettera 122 a Celina, 14 ottobre 1890: Opere complete, 421.
[131] Ead., Poesie 23, “Al Sacro Cuore di Gesù”, giugno e ottobre 1895: Opere complete, 667-668.
[132] Ead., Lettera 247, al Reverendo Maurice Bellière, 21 giugno 1897: Opere complete, 587.
[133] Ead., Ultimi colloqui. Quaderno giallo, 11 luglio 1897: Opere complete, 1014-1015.
[134] Ead., Lettera 197, a Suor Maria del Sacro Cuore, 17 settembre 1896: Opere complete, 537-538. Questo non significa che Teresina non offrisse sacrifici, dolori, angustie come un modo di associarsi alle sofferenze di Cristo, ma quando voleva andare a fondo si preoccupava di non dare a queste offerte un’importanza che non hanno.
[135] Ead., Lettera 142, a Celina, 6 luglio 1893: Opere complete, 451.
[136] Ead., Lettera 191, a Leonia,12 luglio 1896: Opere complete, 528.
[137] Ead., Lettera 226, al P. Roulland, 9 maggio 1897: Opere complete, 573.
[138] Ead., Lettera 258 al Reverendo Maurice Bellière, 18 luglio 1897: Opere complete, 598.
[139] Cfr S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, n. 104, Roma 1984, 110.
[140] Ivi, n. 297, cit., 211.
[141] Cfr Lettera a S. Ignazio, 23 gennaio 1541.
[142] De Vita P. Ignatii et Societatis Iesu initiis, c. 8, 96, Bilbao-Santander 2021, 147.
[143] S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 54, Roma 1984, 80.
[144] Cfr ivi, 230ss.
[145] XXIII Congregazione Generale della Compagnia di Gesù, Decreto 46, 1: Institutum Societatis Iesu, 2, Firenze 1893, 511.
[146] «In Lui solo… la speranza», Milano 1983, 180-181.
[147] Lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù, Paray-le-Monial, 5 ottobre 1986.
[148] Conferenze ai Preti della Missione, 132 (13 agosto 1655), “La povertà”: San Vincenzo de’ Paoli, Opere, vol. 10, Roma 2008, 208.
[149] Conferenze alle Figlie della Carità, 89 (9 dicembre 1657), “Mortificazione, corrispondenza, pasti, uscite” (Regole comuni, artt. 24-27): Op. cit., vol. 9, 807.
[150] S. Daniele Comboni, Scritti, 3324: Daniele Comboni, Gli scritti, Bologna 1991, 998.
[151] Cfr Omelia nella Messa per la canonizzazione, 18 maggio 2003: L’Osservatore Romano, 19-20 maggio 2003, p. 6.
[152] Lett. enc. Dives in misericordia (30 novembre 1980), 13: AAS 72 (1980), 1219.
[153] Catechesi, 20 giugno 1979: L’Osservatore Romano, 22 giugno 1979, p. 1.
[154] Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, Regola di Vita, Costituzioni e Direttorio Generale, Roma 1988, 3.
[155] Religiose del Sacro Cuore di Gesù (Società del Sacro Cuore), Costituzioni del 1982, 7.
[156] Lett. enc. Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928): AAS 20 (1928), 174.
[157] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085: «Tutto ciò che Cristo è, tutto ciò che ha compiuto e sofferto per tutti gli uomini, partecipa dell’eternità divina e perciò abbraccia tutti i tempi e in essi è reso presente».
[158] Pio XI, Lett. enc. Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928): AAS 20 (1928), 174.
[159] Omelia nella Messa Crismale, 28 marzo 2024: L’Osservatore Romano, 28 marzo 2024, p. 2.
[160] S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, 203, Roma 1984, 160.
[161] Omelia nella Messa Crismale, 28 marzo 2024; L’Osservatore Romano, 28 marzo 2024, p. 2.