Il nodo al sacchetto

Sono nata a Villalgordo del Marquesado, un paesino non lontano da Cuenca, situato nella regione della Záncara, in Spagna. Ho conosciuto l’Opus Dei e sono stata conquistata dall’allegria e dal buon umore di san Josemaría, nonché dalla sensazione di sentirmelo vicino.

Villalgordo del Marquesado è un paesino non lontano da Cuenca, storica provincia della Spagna. Mio padre, che è agricoltore e allevatore di bestiame, si adoperò con tutti i mezzi perché, fin da piccoli, noi figli imparassimo un mestiere e avessimo una buona formazione professionale. E ci riuscì, anche se ciò non toglie che a tutti noi la campagna piaccia molto. Per me è una vera e propria passione; già da piccola guidavo il trattore e la mietitrebbiatrice, che è un trabiccolo piuttosto grande: una signora macchina.

Guidare una macchina per me è stato qualcosa di innato e ho imparato vedendo come le guidava mio padre. Lui andava su un trattore e io su un altro; poi diceva ai suoi amici che io aravo molto bene. Non so quanto ci sia di vero in questo e quanto fosse amore di padre, ma è vero che questo mi ha aiutato ad acquistare sicurezza in me stessa e a saper prendere decisioni difficili. Io lo ammiro molto per la sua voglia di dare sempre di più e per la sua tenacia nel lavoro, cosa che ha permesso a due miei fratelli, Fernando e Mari Nieves, di fondare un’azienda che oggi ha varie migliaia di capi di bestiame.

Ho frequentato una scuola a Mota del Cuervo, un paese relativamente vicino al mio, e il mio desiderio è stato sempre quello di studiare Relazioni Pubbliche; però non sapevo come fare, perché nel capoluogo, Cuenca, questa disciplina non c’è. Un giorno ci parlarono della scuola Altaviana, un centro dell’Opus Dei a Valencia, dove si poteva studiare Turismo ed esisteva la possibilità di pagarsi il soggiorno lavorando nell’Amministrazione domestica. Dovevo fare una prova di venti giorni e decidere poi se rimanere.

Andai… e quell’ambiente mi sembrò così diverso da quello del mio paese, che dopo appena due giorni me ne volevo andare, vittima della nostalgia. Ma subito dopo tutto cominciò a piacermi per l’allegria della gente e per la dedizione agli altri che notai: prima che finissero i venti giorni ero entusiasta. Perciò dico che non bisogna mai fermarsi alla prima impressione.

Ad ogni modo, pur trovandomi lì a meraviglia, decisi di cercare un’altra soluzione, perché mi sentivo incapace di lavorare e studiare contemporaneamente. E lo dissi a mio padre quando venne a prendermi dopo i venti giorni.

Mio padre non disse nulla. Quando ci congedammo dalla scuola, una ragazza di Altaviana mi diede un sacchetto pieno di paste per il viaggio; e lui restò colpito dalla cura e dalla delicatezza con cui fece il nodo affinché nessuna pasta potesse cadere. Io, in verità, non ci avevo fatto assolutamente caso. Poco dopo, mentre ritornavamo a Cuenca in macchina, mi disse:

- Figlia mia, fa’ quello che vuoi, ma io ti consiglio di rimanere. Mi ha colpito il modo in cui quella ragazza ha fatto il nodo… Pensa che potresti imparare cose che ti aiuterebbero molto.

- Sì, papà – gli dissi – ; ma studiare e lavorare allo stesso tempo è troppo per me.

- Perché non provi ad utilizzare meglio il tempo? Va’, prova per un trimestre: se poi ti piace, continua; altrimenti torna a casa, che non succede niente.

Con questa idea mi iscrissi all’Altaviana e scoprii che mio padre – che aveva intuito tante cose dal modo di fare un semplice nodo – aveva ragione. E gli studi di Attività Alberghiere e di Turismo cominciarono ad appassionarmi sempre di più.

Mentre, da un lato, andavo imparando i segreti della cucina, dall’altro cominciai a familiarizzare con i grandi “segreti” della vita cristiana, che porta ad amare Dio nelle cose piccole e in quelle grandi, a frequentare i sacramenti, a unirsi per amore alla Croce di Cristo per servire gli altri…

Un giorno vidi un filmato di san Josemaría. Strano: furono solo venti minuti. Gli facevano domande e lui rispondeva. Quelle risposte mi colpirono. Io avevo un’idea molto vaga della religione e la praticavo poco, per pigrizia, per ignoranza o per altro; e i pochi sacerdoti che conoscevo mi sembravano esseri lontani, distanti, sempre così seri e solenni…, non so. Il fatto è che l’allegria e il buon umore di san Josemaría e la sensazione di sentirmelo vicino mi stupirono; e il suo messaggio, ancora di più.

Da quel momento cominciai a interessarmi all’Opus Dei e a poco a poco scoprii la mia vocazione come numeraria ausiliare. Qualche tempo dopo chiesi l’ammissione, cosciente che sarebbe stato per tutta la vita.

Il lavoro nell’Amministrazione domestica dei centri dell’Opera è particolarmente bello. So bene che questo è ciò che dicono tutti quelli ai quali piace la loro professione, dal medico all’architetto, da chi ha una bottega a chi lavora in campagna. A me piace perché si lavora affinché ognuno si senta amato.

In questo lavoro si usa un linguaggio che tutti capiscono: quello dell’affetto. Un affetto che si scopre in una tovaglia pulita, nel fiore disposto con garbo nel soggiorno, nella biancheria ben piegata…

E i miei genitori? A loro succede come alla maggioranza dei genitori: sono felici se vedono i loro figli felici nella loro vocazione, nel loro lavoro, con il loro entusiasmo… “Figlia mia – mi dice mia madre (e per quel che mi consta, è ciò che di solito dicono la maggioranza delle madri) – , io, quando penso a te, sento un gran sollievo”.

Per ciò che riguarda il mio percorso professionale, sono un Tecnico Superiore nel settore Alberghiero e Turistico e da oltre quattordici anni impartisco lezioni di cucina teoriche e pratiche ad Altaviana, il centro dell’Opus Dei a Valencia. Dicono che lavorare con i giovani ringiovanisce gli insegnanti; io ho potuto constatare che, almeno nel mio caso, è vero. Faccio lezione a trenta alunne, che sono nell’età così bella e difficile dei quindici anni. Alcune dimostrano un grande entusiasmo, ma altre arrivano molto demotivate.

Quando parlo con le loro madri mi chiedono spesso di dar loro le “chiavi” per agire con successo con le figlie. Io dico sempre che, secondo me, il grande segreto è la fiducia e l’affetto. Perciò la mattina, entrando in classe, le guardo in faccia e cerco di indovinare come stanno e che cosa sta succedendo loro: così mi rendo conto se questa ha avuto un dispiacere o se quella ha ancora il problema di cui mi ha parlato l’altro giorno. Oltre a far lezione, cerco di aiutarle personalmente in ciò che posso, perché migliorino e abbiano più fiducia in se stesse. Alcune volte ci si riesce e altre volte no; ma almeno ci provo.

All’inizio si spaventano nel vedere tutto il percorso che devono fare dal punto di vista professionale. A questo si unisce il fatto che il livello della cucina spagnola è molto alto. Ad Altaviana cerchiamo di trasmettere loro, oltre alle conoscenze necessarie, molta sicurezza, entusiasmo e passione per il lavoro, con molta esigenza, perché vorremmo dare una formazione che permetta loro di lavorare in futuro nei ristoranti numero uno di tutta Europa.

Nella scuola abbiamo un ristorante aperto al pubblico che costituisce il loro primo “rodaggio”. Per me è di grande stimolo vedere come, anno dopo anno, escono preparate sempre meglio. In questo, naturalmente, è decisivo l’impegno che mette ognuna personalmente, perché in questa professione, come in tante altre, la formazione complementare te la devi procurare da te stessa.

Non molto tempo fa abbiamo fatto un viaggio professionale di diciassette giorni in Olanda e abbiamo visitato Europrof, una nota scuola alberghiera. Lì abbiamo fatto pratica professionale in alcuni hotel molto diversi fra loro, imparando vari piatti e stili di cucina. Mi piacerebbe che le alunne facessero molti viaggi di questo tipo, perché il contatto con le colleghe di altri Paesi arricchisce sempre molto.

Ora mi fermo perché, dato che l’argomento mi appassiona, sarei capace di continuare a parlare di cucina per tre ore di seguito.