Il matrimonio è un vera e propria vocazione

Emanuela Strati, soprannumeraria dell’Opus Dei, cancelliere e madre di 4 figli, racconta come lo spirito dell’Opus Dei la aiuta a migliorare il suo lavoro e la sua vita di moglie e di madre.

Ero studentessa all’università e non avevo mai sentito parlare dell’Opus Dei, quando ho letto una biografia di San Josemaría Escrivá. Mi ha subito colpito la figura di questo santo tanto innamorato di Dio da contagiare chi gli si avvicinava.

Lo stesso è successo a me: io, che andavo solo a Messa la domenica e neppure sempre, mi sono sentita spinta a prendere sul serio la vita cristiana. Sino ad allora mai avrei immaginato che nella mia vita ci sarebbe stato posto per un rapporto quotidiano con il Signore fatto di preghiera, di partecipazione alla Messa, di frequenza dei sacramenti.

Oggi che sono sposata, che ho quattro figli rispettivamente di 14, 12, 9 e 4 anni e che lavoro nella pubblica amministrazione, il rapporto quotidiano con il Signore costituisce sempre di più il punto fermo nel quale si conciliano tutti i problemi, le esigenze a volte contrastanti, ma anche i momenti di gioia e le soddisfazioni sia della famiglia che del lavoro.

Faccio il cancelliere e il mio lavoro consiste nell’assistere il magistrato, principalmente in udienza, ma anche nella gestione di tutti i fascicoli di causa; motivo per cui vengo in contatto ogni giorno con tante persone (avvocati, praticanti, segretarie) ed è questo un aspetto che mi piace molto. In questo ambiente, a causa dei ritmi frenetici di lavoro, i rapporti umani sono superficiali e spesso dominati dal nervosismo. Sapere che Dio s’interessa anche al mio lavoro mi aiuta a trattare meglio le persone, ad accompagnare un saluto con un sorriso, o a non perdere la pazienza nel rispiegare sempre le stesse cose. Inoltre, se si crea un clima più confidenziale ho la possibilità di fare un commento incoraggiante che apra lo sguardo su una visione cristiana della vita; di proporre a qualcuno - come è successo quest’anno - di iniziare la giornata recitando 10 avemaria nel mese di maggio.

Dall’insegnamento di San Josemaría Escrivá ho imparato che il lavoro non è una cosa marginale rispetto ai momenti di preghiera, perché è lì che incontro Dio. Per questo cerco di fare bene quanto sto facendo, con la consapevolezza che dietro ogni atto, ogni pratica, c’è una persona alla quale posso arrecare danno se non svolgo il mio lavoro con precisione, curando i dettagli senza perdere tempo.

È quello che cerco di fare anche in famiglia , anche se verifico quotidianamente i miei limiti e l’impossibilità di fare tutto bene come vorrei. La lotta si fa più complessa, per esempio, se ho preso degli impegni di lavoro e un figlio si ammala: in quel momento decido quale sia la persona che ha più bisogno di me e metto da parte ansie e recriminazioni.

Questo modo concreto di vivere la fede, mi aiuta ad accettare tali limiti con visione positiva e a fare le mie scelte tenendo presente le priorità della famiglia.

Devo soprattutto a San Josemaría l’avermi fatto scoprire che il matrimonio è un vera e propria vocazione; spesso comporta di non avere più tempo per i propri interessi o di doverlo anteporre ad alcune opportunità di lavoro, ma ho sempre verificato che vale la pena dedicargli il tempo e le energie migliori.

Emanuela Strati