Forse perché sono nata sotto le bombe…

Anita Paoletto, numeraria veronese, da molti anni a Roma, assistente sociale, analizza il suo percorso umano e professionale, da un carcere minorile a una Scuola Alberghiera: "meglio prevenire che recuperare…".

I miei genitori mi hanno educata in una fedele tradizione cristiana, come è abituale nella mia città di origine, Verona. Mio padre mi trasmise molto amore per il Papa, un grande rispetto per il sacerdozio e mi fu di esempio nel privilegiare alcune virtù umane: senso di responsabilità, onestà nel lavoro, sincerità, gusto dell’avventura. Da mia madre avevo ricevuto molta comprensione: l’essere nata mentre bombardavano la città di Verona, nel ’43, era motivo sufficiente per perdonare l’irrequietezza, la vivacità, la tendenza a non stare mai ferma.

Dopo l’Istituto Magistrale mi iscrissi all’Istituto Superiore di Servizio Sociale di Trento, con il sogno di lavorare come Assistente Sociale nel carcere minorile per il “recupero dei minori irregolari per condotta e per carattere”. Svolgevo una intensa attività sportiva ed ero membro del consiglio diocesano dell’Azione Cattolica. Lì conobbi una persona che mi invitò a partecipare a qualche riunione di approfondimento della dottrina cristiana, guidate da una persona dell’Opus Dei che veniva da Milano ogni settimana. Tutto sembrò casuale, ma proprio in quel periodo sentivo più vivo il desiderio di approfondire l’impegno cristiano e ampliare le conoscenze dottrinali.

Iniziai a leggere il libro “ Cammino “, scritto da San Josemaría, il fondatore dell’Opus Dei. Giunta al punto 7 …”Non volare come le galline quando puoi elevarti come le aquile”, mi dissi no! Una vita a zampettare come le galline, no! Voglio provare a volare, come le aquile.

Iniziai la direzione spirituale con un sacerdote che, senza essere dell’Opus Dei, ne condivideva lo spirito e la formazione. Mi aiutò a crescere nell’amore per l’Eucaristia e l’espiazione; mi consigliò - e sottolineo che non ero ancora dell’Opus Dei, e neppure il sacerdote lo era -, di comperare un cilicio dalle suore Clarisse. Non conoscevo tale strumento ma, fidandomi del consiglio, lo usai e lo trovai molto utile per domare il mio spirito ribelle.

Nell’estate del 1965 andai sui ghiacciai del Monte Bianco per fare alpinismo. La natura fece la sua parte: affrontare lunghe camminate, bufere, obbedire con meticolosità al capocordata….

Feci riflessioni sul comportamento degli ultimi tempi: avevo dovuto interrompere gli studi per due mesi: “surmenage intellettuale” disse il medico, mentre in famiglia notavano da parte mia e quasi senza essermelo proposto, una spontanea disponibilità a fare servizi che di solito evitavo. Cercai di darmene una ragione. Era l’indizio che potevo smettere di razzolare nelle questioni quotidiane e puntare a volare verso un maggior amore di Dio. Cercai la numeraria che veniva da Milano e le chiesi se nell’Opera c’era posto per me, come numeraria naturalmente!

Da quel momento tutto subì un'accelerazione.

Dopo aver discusso la tesi, nel luglio del ’66, mi fu proposto dalle direttrici dell’Opera di andare a Roma e abitare alla Safi una scuola per la formazione della donna nell’ambito della professione domestica e alberghiera, annessa al Centro Elis, opera sociale dell’Opus Dei nel cuore del quartiere Tiburtino, inaugurata nel novembre del ’65 da Paolo VI. Vivere tra giovani, con tante persone, fare vita sportiva, viaggi, avere nuove esperienze, tutti gli ingredienti che piacevano a me. Mi chiesi: e le carceri? Forse era meglio prevenire che recuperare…

La preparazione di Assistente sociale mi servì molto per l’aspetto psicologico del rapporto con le persone. Ma cominciai a dedicarmi a molte altre cose. Per professionalizzare la mia esperienza all’interno della Scuola Alberghiera, mi iscrissi al “Cordon Bleu”, al “Pepe verde”, e a varie altre Scuole di Cucina e cercai di studiare legislazione del lavoro, cominciai a organizzare corsi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro domestico, ecc...

Per anni ho accompagnato economisti, politici, artisti, insegnanti, persone di ogni cultura che venivano a conoscere il lavoro di promozione sociale svolto all’Elis e alla Safi, oramai conosciuto in tutto il mondo. Con interesse volevano vedere di persona un ambiente scolastico di giovani. Una volta mi chiesero: che cosa fate perché le ragazze siano così felici? Risposi: cercare di voler loro bene, trattarle come persone grandi, anche se sono in crescita, dare responsabilità, essere unite fra di noi.

Dal 2001 sono in pensione. Dopo 42 anni di vita nell’Opera, sono contenta di potermi dedicare nei fine settimana, e tutte le volte che posso, alle persone amiche: soprattutto ex–allieve che, ormai adulte, hanno formato una famiglia o fatto altre scelte di vita.

Vivono appoggiate sui “cardini della formazione umana e professionale“ consolidati nel periodo scolastico; alcune hanno scoperto la vocazione di numeraria ausiliare, altre di soprannumeraria. Chi si è allontanata ha conservato un buon ricordo di famiglia, di vita, di collaborazione.