Canzoni per l'estate: Dalle tenebre alla luce

Tanti artisti, credenti e non credenti, parlano di Dio nelle loro canzoni. In questo articolo condividiamo un percorso per questa eterna ricerca dell’animo umano, che parte dalle tenebre per avventurarsi, con modalità diverse, verso una luce che dà speranza.

La canzone è un contenitore che può trasmettere i contenuti più effimeri come quelli più profondi. È un’espressione del cuore dell’uomo e può quindi accedere alle domande decisive sulle ragioni dell’esistenza e sul pieno significato della parola amore, probabilmente la più citata in tutta la produzione discografica. Il rapporto con Dio non può mancare nella produzione musicale, anche all’interno di una cultura che apparentemente vuole fare a meno di Dio e parlare d’altro. Tanti artisti, credenti e non credenti, hanno trattato di Dio nelle loro canzoni, ma in questo articolo non c’è spazio per una lettura analitica di tale fenomeno; c’è invece l’invito a un percorso in questa eterna ricerca dell’animo umano, che parte dalle tenebre per avventurarsi con modalità diverse verso una luce che dà speranza.

The System only dreams in total darkness” è il titolo di una canzone dei National che si muove in una oscurità interiore, nella quale la fede è una piccola luce, insufficiente a far vedere il cammino, mentre accanto c’è una persona che trascorre la notte parlando a Dio. Non ci sono facili soluzioni da proporre, ma si sente il desiderio di risposte in una realtà priva di spiegazioni. Anche il genere musicale utilizzato è un linguaggio, e il rock manifesta una ribellione alla stasi in cui l’uomo si trova, il desiderio di uscire con energia dalle tenebre.

Che il tema della presenza di Dio non sia tanto una tematica intellettuale, quanto un’esigenza vitale per ciascun essere umano, ce lo comunica il cantautore australiano Nick Cave, che ha messo in musica le piaghe di dolore della sua vita, passata dalla dissoluzione alla conversione. Dopo gli anni giovanili passati in compagnia della droga, nel 2015 ha subito la morte di un figlio, precipitato da una scogliera, e pochi anni dopo ha composto un album concept sulla perdita, sul dolore e sull'unico modo per combatterli: l’Amore. «L’amore e la teologia sono gli unici temi che mi interessano - ha dichiarato Cave in un’intervista. Le mie responsabilità di artista sono di cantare e suonare il piano; il resto spetta a Dio». I cavalli luminosi - “Bright horses” - possono essere visti come animali qualunque, e il pensiero a Dio risultare un semplice sogno, ma l’autore vede cavalli di amore che attraversano la città. Occorre cavalcarli e proseguire la corsa. La canzone si conclude con quest’uomo sul binario di una stazione con lo sguardo verso l’orizzonte perché «il mio bambino sta tornando a casa, col prossimo treno».

La morte è da sempre in cima alle paure dell’uomo, e ovviamente non è un argomento che può sfuggire agli autori di canzoni. Bob Dylan sembra essere convinto della realtà che “Death is not the end” e ne fa un tema non solo per sé ma da trasmettere agli amici, tutti presi da tristezza, dubbi e paure.

L’argomento è ripreso nella colonna sonora del film “Pat Garrett & Billy the Kid” con la celebre canzone “Knockin' on heaven’s door”, utilizzata per accompagnare la morte dell’anziano sceriffo. La musica e le parole di Bob Dylan “sacralizzano” quelle immagini, dipingendo una sorte di icona dell’evento finale di una vita, con quell’uomo che comincia idealmente a bussare sulla porta del Paradiso. Dylan cantò la canzone a Giovanni Paolo II nel 1997 e il Papa nel suo saluto volle intervenire su un’altra sua canzone, autentico inno di una generazione: “Blowin’ in the wind”, un insieme di domande sulla vita che vanno soffiando nel vento. «È vero! - affermo il Papa - però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito… Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo? Vi rispondo: una! Una sola è la strada dell’uomo, e questa è Cristo, che ha detto “Io sono la via” (Gv 14, 6). Egli è la strada della verità, la via della vita».

Sono parole che sembrano venire in soccorso anche a quanto cantavano gli U2 dieci anni prima: “I still haven’t found what I’m looking for”. C’è l’uomo che si affanna in una fede sofferta: «Tu hai spezzato i vincoli / sciolto le catene / portato la Croce… ma io non ho ancora trovato ciò che stavo cercando». La sincerità di queste parole trova il giusto contesto in un’esecuzione effettuata in una chiesa americana insieme a un coro gospel.

Le canzoni che parlano di Dio destano sempre interesse, ma nel 1967 ci fu addirittura scompiglio, quando i Nomadi pubblicarono la canzone di Francesco Guccini “Dio è morto”. Ci furono proteste, accuse di blasfemia e censure; ma nel frattempo, Radio Vaticana trasmetteva tranquillamente la canzone, forse perché lì l’avevano ascoltata. Il titolo sembrava riprendere il noto aforisma di Nietzsche, ma l’ambientazione era quella del Venerdì Santo: Dio è morto, e poi è risorto! Erano tempi inquieti, con gravi questioni sociali che suscitavano proteste e mobilitazioni; Guccini prende di mira consumismo, arrivismo, razzismo e auspica un mondo nuovo a cui aspira la nuova generazione. I mali del mondo fanno pensare che Dio sia morto, ma dopo tre giorni Lui è risorto.

Lo scandalo del Male lo soffriamo un po’ tutti, e nella nostra ricerca di risposte c’è anche la necessità di aggrapparci a qualcuno che ha saputo manifestare nei fatti la possibilità di dare un senso positivo alla vita. Il cantautore Pippo Pollina è palermitano, e in quanto tale sente profondamente la ferita della mafia. La canzone “E se ognuno fa qualcosa” è dedicata a Giuseppe Puglisi, quel don Pino che per anni si è dedicato a seguire i ragazzi del quartiere Brancaccio, a non farli entrare nella manovalanza delle cosche, a spingerli verso una vita onesta. Nel 1993 venne ucciso davanti al portone di casa, con un colpo alla nuca. “Chi è lei?” chiede il cantante a questo eroe dei palermitani, beatificato nel loro Foro Italico nel 2013, che sembra poter rispondere a quella spasmodica ricerca di senso insita nel cuore dell’uomo, e amplificata dalle contrarietà del mondo. Una bella domanda, da girare al killer di Puglisi, che mentre gli puntava la pistola ricevette come risposta un dolce sorriso. Quel sorriso gli cambiò la vita, lo portò al pentimento e nel carcere di massima sicurezza egli trovò per la prima volta la libertà.

Dio si trova nella vita, nelle vicende quotidiane, ci sembra confermare dal Canada Neil Young. Nella canzone “Heart of gold” egli assume il ruolo di un minatore alla ricerca di un filone d’oro. Alla ricerca dell’amore. Non si nomina Dio, ma si esprime un aspetto centrale dell’insegnamento di Gesù Cristo: «voglio vivere, voglio dare» è l’attacco della canzone; il senso di questa vita è di donarsi agli altri.

L’ultima tappa del nostro percorso la facciamo in Scozia, andando a sentire Mike Scott, leader del gruppo folk-rock dei Waterboys. La ricerca da cui siamo partiti sembra arrivata a buon punto, perché a Dio si dà del “tu”, e la confidenza sgorga spontanea. La vita non è affatto rose e fiori, anzi, ci sono contrarietà e carenze personali, ma quest’uomo desidera cambiare, e l’unica risorsa è in una semplice domanda ripetuta nella storia da tanti esseri umani, che riecheggia in questa canzone “What do you want me to do?”. Signore, cosa vuoi che io faccia?

In un altro brano, The Christ in you, Mike Scott sembra svelare una realtà decisiva della sua vita, e la ripete come un mantra per scolpire quelle poche parole nel cuore. Quello suo e quello di chi ascolta: «Ti guarderò due volte / finché non vedrò il Cristo in te». L’unione tra corpo e anima, tra materia e spirito, la dimensione soprannaturale descritte con canto, chitarra e violino.


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