Ardere, per illuminare. Matrimonio e celibato apostolico II

Vivere come Cristo, sia nel matrimonio sia nel celibato, significa accogliere uno stile di vita nuovo che ci dona lo Spirito Santo: un amore fecondo, un cuore puro e una preferenza per le ricchezze di Dio e per la cura dei più bisognosi, secondo lo stile del Vangelo.

A metà degli anni cinquanta dopo Cristo, Svetonio scrive che l’imperatore Claudio «espulse da Roma i Giudei che, istigati da Chresto, provocavano continuamente disordini»[1]. Agli occhi dell’autorità romana, c’era un gruppo motivato da un certo «Chresto», che si supponeva fosse ancora vivo, anche se i Giudei di Gerusalemme insistevano sul fatto che fosse morto crocifisso: si trattava dei cristiani provenienti dalla Giudea, che probabilmente erano giunti nella capitale dell’impero per annunciare la vita di Gesù risorto. Avevano compreso che non solo i dodici apostoli, ma tutti i discepoli di Cristo di tutti i tempi erano chiamati a quell’annuncio. Lo ricorda san Paolo scrivendo a una delle prime comunità: «Siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente» (2Cor 3,3). Tutti erano chiamati dallo stesso Cristo a essere, con la propria vita, un messaggio per gli altri.

Tra quei primi cristiani, molti avevano famiglia ed erano sposati. Tra di essi «il centurione Cornelio, che fu docile alla volontà di Dio. Nella sua casa si realizzò l'apertura della Chiesa ai gentili (cfr At 10, 24-48). Anche Aquila e Priscilla diffusero il cristianesimo a Corinto e a Efeso e collaborarono con l’apostolato di san Paolo (cfr At 18, 1-26); altra testimonianza fu quella di Tabita, che con la sua carità soccorse i bisognosi di Joppe (cfr At 9, 36)»[2].

Tra i primi cristiani furono molti anche quelli che non scelsero il matrimonio. Alcuni di loro, infatti, avevano ricevuto in dono il celibato, come chiamata a unirsi integralmente alla vita di Gesù. Così racconta Galeno – un famoso medico pagano – attorno all’anno 200: «vi sono tra loro donne e uomini che si sono astenuti dall’unione sessuale per tutta la vita»[3]. Nello stesso periodo, san Giustino ne dà testimonianza: «Molti uomini e donne, ormai settantenni, che sono cristiani fin dalla giovinezza, si sono conservati vergini»[4].

Che cosa c’era di così nuovo nel messaggio o nello stile di vita di quei cristiani – sposati e celibi, vedovi e vergini? Cos'è che incuteva timore persino all'imperatore?

Vivevano secondo una legge nuova

«Fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19): Con queste parole il Signore invia gli apostoli – e continua a inviare anche noi – in tutto il mondo. Inoltre, Gesù aggiunse che, ovunque andassero, insegnassero «a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,20). Proprio queste parole giunsero all'orecchio dell'imperatore Claudio. È pertanto comprensibile che si fosse allarmato. Gesù Cristo stava infatti stabilendo una legge nuova che, era del tutto evidente, si estendeva al suo come ad ogni altro territorio dell'Impero.

Tuttavia, il comandamento di Cristo non era come l'imperatore lo immaginava: la legge che i discepoli avrebbero seguito– quella che li avrebbe distinti, se vissuta – non era altro che amare come Lui stesso ha amato. Gesù stesso definì questa legge peculiare come il «comandamento nuovo» (cfr. Gv 13,34).

Ancora oggi continua ad essere nuovo, perché non è facile imparare ad amare in quel modo. Se guardiamo intorno a noi, troviamo molti stimoli che, come canti di sirena, ci invitano a vivere diversamente, a crearci e adorare idoli, interiori o esteriori. E, guardando dentro di noi, scopriamo quanto sia difficile amare per davvero. Con il passare del tempo tensioni, fallimenti e paure finiscono per colpirci abbassando la nostra autostima. Chi può amare Dio, se stesso e il prossimo come ha fatto Gesù?

Accogliere la realtà come amata da Dio, senza rispondere al male con il male, senza farci giustizia da soli, cercando piuttosto di scoprire come noi possiamo amarla. Questo fa parte del «custodire ciò che Egli ha insegnato».

Nelle nozze, gli sposi si dichiarano a vicenda: «Io ti accolgo come mia sposa / mio sposo e mi dono a te, e prometto di esserti fedele nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e così amarti e rispettarti tutti i giorni della mia vita». In un certo senso, è proprio questo che Dio compie con noi: ci promette che, insieme a Lui, ogni realtà può diventare abitabile. Anche nelle situazioni più oscure – disgrazie, malattie, ingiustizie, tradimenti, fallimenti – possiamo scorgere un significato misterioso, una luce fioca e, con il suo aiuto, possiamo comprendere in che modo «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28).

La beata Guadalupe[5] diceva che, amava dire che, pur di realizzare l'apostolato dell'Opus dei avrebbe accettatto qualunque luogo o incarico le avessero affidato»[6]. Infatti sapeva che qualsiasi circostanza era adatta per vivere il comandamento nuovo di Gesù, la nuova legge dell’amore che invita tutti a vivere secondo una logica diversa. Per questo motivo «il suo progetto di vita fu ingrandito dal fatto che si inseriva perfettamente nel piano divino: Guadalupe si lasciò portare da Dio, con gioia e spontaneità, da un posto a un altro, da un lavoro a un altro. Il Signore fece crescere le sue capacità e i suoi talenti, sviluppò la sua personalità e moltiplicò i frutti della sua vita»[7].

Le vite dei santi ci ricordano cosa significa vivere sotto quel nuovo impero che vince l’egoismo con l’amore di Cristo, incarnato nei cristiani.

La chiamata alla paternità e maternità spirituali

È naturale che i discepoli abbiano cominciato a guardare le persone con occhi nuovi. Non vedevano più distinzioni di nazione o di altro tipo, ma cercavano di amare con il cuore misericordioso di Dio — giudei, samaritani, galilei, romani, greci o persiani. Imitando Gesù, acquisivano poco a poco un cuore di padre e di madre, perché erano chiamati a comunicare una vita nuova, a generare nella fede tante persone. San Gregorio di Nissa osserva che il motivo per cui Gesù fu celibe è proprio perché venne nel mondo non per generare figli nati dal sangue o dalla carne (cfr. Gv 1,13), ma per donarci la vita soprannaturale, generandoci come figli di Dio[8]. Tutti i cristiani – seguaci di Gesù Cristo – celibi e sposati, siamo chiamati a questo tipo di paternità o maternità spirituale: è la missione più alta di ogni persona. Così come la Genesi sottolinea la vocazione alla paternità e maternità fisiche (cfr. Gen 1,28), si potrebbe dire che i primi discepoli, eredi di una nuova umanità a partire dalla Risurrezione del Signore, furono chiamati a una nuova paternità e maternità in Cristo. La beata Guadalupe, nelle lettere scritte a san Josemaría, non riusciva a nascondere la sua gioia nel veder crescere questa vita nuova nelle persone che aveva attorno, in particolare nelle studentesse della residenza in cui viveva: «A volte, nel vederle tutte così contente e che lavorano bene, ci sembra di avere già ottenuto tutto, e ci scordiamo che il nostro lavoro è niente di meno che insegnare loro a essere sante essendolo noi»[9].

I coniugi ricevono la stessa fecondità soprattutto attraverso la grazia del matrimonio. Con l'aiuto dello Spirito Santo e degli altri sacramenti, dispongono sempre di luce e forza nuove per prendersi cura l’uno dell’altro e per educare i figli – quando arrivano – nutrendoli con la vita di Dio. Anche chi non ha figli può scoprire la stessa fecondità, accendendo l’amore di Dio in persone e luoghi che forse non avrebbe mai immaginato.

È lo stesso Spirito Santo a concedere una grazia speciale anche alle persone celibi o a chi ha ricevuto il dono del celibato. Così essi imitano la vita di Cristo nel modo particolare di prendersi cura degli altri e di donare vita spirituale a molte persone.

Nella vita di Marcelo Câmara,[10] soprannumerario dell’Opus Dei morto in giovane età, la paternità spirituale si osserva chiarmente. Un suo amico racconta che, quando si sentiva triste, cercava di parlare con Marcelo: «Ero lì – racconta quell’amico ricordando uno di quei momenti – a sperimentare ancora una volta la stessa sensazione, come se per qualche istante avessi sentito Cristo molto vicino, che si prendeva cura di me, incoraggiandomi nella mia fede. Una sensazione di pace indescrivibile»[11]. Qualcosa di simile ricordano gli studenti di Arturo Álvarez[12], aggregato dell’Opus Dei, ingegnere e professore messicano. In una lettera che gli scrissero, si leggeva: «Un maestro è colui che, oltre a impartire la sua lezione, dona ai suoi alunni parte del proprio essere, della sua filosofia di vita e della sua fede. Ogni mattina, durante le lezioni, vediamo come in ogni attività cerca un’occasione per realizzarsi, per santificarsi (…). È un maestro che lascerà un’impronta profonda nella nostra vita»[13].

Una necessaria purificazione del cuore

Gesù, nei delicati momenti dell’Ultima Cena, dice agli apostoli: «Voi siete puri»; ma subito aggiunge: «non tutti», in riferimento a Giuda (cfr. Gv 13,10). Qui si intravede un altro indizio della nuova vita a cui invita gli apostoli: uno stile di vita “puro”, cioè coerente e in sintonia con Lui, che trova nel Cuore di Gesù il modo più autentico di amare gli altri. E questa chiamata è per tutti, in qualunque condizione ci si trovi. San Josemaría lo comprese bene, tanto da scrivere: «Vi prometto un libro —se Dio m'aiuta— che potrà avere per titolo: “Celibato, Matrimonio e Purezza”»[14]. La purezza del cuore è fonte di fecondità per gli uni e per gli altri. Anche se il fondatore dell’Opus Dei non arrivò a scrivere quel libro, desiderava esprimere che tutti possono essere ugualmente benedetti con la fecondità quando trovano la sorgente della loro vita nell’amore di Dio e nell’amore per gli altri, in quel «comandamento nuovo». Ai coniugati diceva: «Io vedo il letto coniugale come un altare»[15]. E ai celibi diceva: «Desiderio di figli?… Figli, molti figli, e una scia incancellabile di luce lasceremo se sacrifichiamo l'egoismo della carne»[16].

Forse possiamo comprendere meglio la «purezza» di cui parla il Signore guardando con un po’ più di distacco la storia di Giuda: i grandi progetti e le ambizioni che coltivava erano mescolati a una mondanità a cui non volle rinunciare. Alla fine, senza sentirsi benedetto neppure da quelle trenta monete d’argento che egli stesso aveva contrattato, finì per disprezzare tutto ciò che aveva: quel denaro, l’essere annoverato tra gli apostoli e perfino la propria vita. Tutto ciò che ci tiene lontani dalla purezza del cuore si rivela, alla fine, come un inganno meschino che delude e che allontana dalla vera felicità. Le tentazioni di Gesù nel deserto sono eloquenti in questo senso: mostrano come il diavolo, promettendo pane, gloria e onori, in realtà cerchi di deviare Gesù dal compiere i piani di Dio. Il demonio è capace di sedurre anche con qualcosa di buono, pur di allontanare gli uomini dalla missione che dà senso alla loro vita. La tentazione non consiste tanto nell’«appropriarsi» di alcuni beni, grandi o piccoli che siano, quanto nel lasciarsi imprigionare da essi, fino al punto da non riuscire più a dedicare le migliori energie al servizio di Dio e degli altri.

Quella «purezza di cuore», anche se si forgia nel fondo dell’anima, si manifesta anche all’esterno, molte volte in piccoli gesti. Nella vita matrimoniale può essere vitale il modo meticoloso di relazionarsi, ricordare gli anniversari, sorprendere l’altro conoscendone i gusti, ecc.

Negli sposi Tomas e Paquita Alvira, per esempio[17], per esempio, vediamo alcuni esempio di ciò. Quando comprava i suoi vestiti, «Paquita sceglieva frequentemente colori che piacevano a suo marito»; e a sua volta Tomas, «quando andavano al cinema, si ingegnava per andare volentieri a vedere i film… che sapeva lei avrebbe apprezzato di più»[18].

Anche la persona celibe comunica, con parole e atteggiamenti, che è chiamata a generare vita soprannaturale e che l’amore della sua vita ha un nome; impara a essere comprensiva con tutti, sensibile ai bisogni degli altri; impara anche a non inviare messaggi ambigui, che possano trasmettere in modo sbagliato l’impegno della sua vita e della sua intimità. «Il celibato apostolico – afferma il Prelato dell’Opus Dei – non ci separa dagli altri, ma poiché significa offrire a Dio un cuore indiviso deve denotare una vita di abnegazione, analoga a quella di una persona sposata, che non si comporta come se non avesse alcun impegno di fedeltà al coniuge»[19].

Cristo è la vera ricchezza

Quella «purezza» di cui Gesù parla nell’Ultima Cena ci offre un ulteriore insegnamento. Sappiamo che il fatto che Giuda non fosse puro dipese, almeno in parte, dal lasciar crescere dentro di sé un desiderio disordinato di ricchezze (cfr. Gv 12,6). Non sappiamo quali somme di denaro gestisse il gruppo dei Dodici. Non si trattava di una grande fortuna, ma avevano abbastanza per provvedere a se stessi e per aiutare i più bisognosi. Quando Gesù dice a Giuda: «Quello che devi fare, fallo presto», gli altri pensarono che, poiché teneva la borsa del denaro, gli stesse chiedendo di comprare quanto necessario per la festa o di dare qualcosa ai poveri (cfr. Gv 13,27-29).

Quella «purezza» a cui il Signore invita i suoi apostoli include anche l’ordine nel nostro rapporto con i beni materiali; è un richiamo eloquente all’importanza di confidare in Dio e, di conseguenza, di vivere con la convinzione che i beni materiali servano a sostenere la nostra missione spirituale. Quando invia settantadue discepoli ad annunciare il Regno, così come in molti altri momenti, Gesù insiste nel non portare con sé cose superflue, nel non accumulare senza senso, nel non preoccuparsi in modo disordinato dei beni della terra. È facile che il nostro cuore si affezioni, si attacchi a queste sicurezze, e che la tenue luce dello Spirito Santo smetta di brillare per lasciare spazio al falso splendore dell’avidità. Per questo non sorprende vedere, agli inizi della Chiesa, gli apostoli distribuire con generosità i beni ai più poveri (cfr. At 4,34; 24,17; 1Cor 16,1-4; Gal 2,10 e altri) e, sia nella ricchezza che nella povertà, mostrare sempre qual era la fonte essenziale della loro missione: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!» (At 3,6).

Il cristiano impara ad amare «nella prosperità e nell’avversità, nella salute e nella malattia»: alcuni arrivando a fine mese con fatica, altri cercando con creatività come mettere i beni al servizio degli altri. Gli sposi Alvira hanno raccontato di aver ottenuto un vero e proprio miracolo economico[20] riuscendo a far laureare tutti i loro figli. Toni Zweifel[21], numerario svizzero dell’Opus Dei, è ricordato a sua volta come una persona che condusse una vita generosa e sobria[22]. Questo era il frutto maturo di un cammino iniziato quando era un giovane professionista. Si racconta che, prima di scoprire la sua vocazione come numerario, possedeva un’auto sportiva, regalo del padre come premio per il suo eccellente curriculum da studente di ingegneria[23]. Quando accolse il celibato apostolico, fece subito capire a suo padre che aveva bisogno di un modello di auto più adatto alle sue condizioni di vita, e riuscì a farsela cambiare con un’altra più utile per la residenza: una Saab a sette posti[24] che si rivelò essenziale nella vita di tutti. In definitiva, imparò a usare i beni in modo che contribuissero a rafforzare la sua missione di apostolo.

Se si tratta di preferenze, preferisce i più deboli

C’è un tratto peculiare dello stile di vita di un apostolo che è conseguenza di tutti gli altri. Sapere di essere apostolo, imparare ad amare sempre e tutti come Cristo, vivere con un cuore puro e radicato nei beni di Dio, rende possibile provare una predilezione – anche questa come Cristo – per i più deboli e bisognosi. Gesù, infatti, guarisce i malati, loda i semplici di cuore, si prende cura dei bambini, si commuove per i peccatori. Si potrebbe dire che, se deve preferire, Gesù preferisce i più deboli e i più bisognosi, quelli che si sentono smarriti, svantaggiati, senza protezione. Quando i discepoli di Giovanni Battista vogliono sapere se è lui il Messia, manda a dire: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!» (Mt 11,4-5).

Perché Gesù ci mette in guardia contro la possibilità di scandalizzarci di Lui? Forse perché noi uomini tendiamo ad avere altre priorità. Il cuore umano è stato descritto come una macchina di preferenze e di rifiuti[25], E in buona misura è vero, perché tendiamo a desiderare ciò che ci piace e a rifiutare ciò che ci dà fastidio. Forse ci viene spontaneo avvicinarci a chi ci porta un vantaggio e allontanarci da chi ci disturba; vogliamo i primi posti e siamo disposti a calpestare gli altri pur di ottenere un bene. Invece, i discepoli del Signore sono chiamati a essere coloro che, avendo purificato il cuore, gli affetti e i sensi, danno priorità alle persone e ai contesti più assetati della vita di Cristo; si lasciano colpire da ciò che per il Signore rappresenta un tesoro.

Pedro Ballester[26], per esempio, seppe cogliere «che c’era un bambino di otto anni nel vicinato che non aveva nessuno con cui giocare. Anche se era molto più grande, Pedro lo invitò a giocare a casa sua. Da allora, quel bambino bussava abbastanza spesso alla porta dei Ballester»[27]. Anche noi possiamo riconoscere, tra le persone che abbiamo accanto, i più bisognosi dell’amore di Dio, cioè i tristi, gli stanchi, gli inopportuni o gli scartati, a causa dell’età o della malattia. «—Bambino. —Malato. —Nello scrivere queste parole, non senti la tentazione di usare la maiuscola? È perché, per un'anima innamorata, i bambini e i malati sono Lui»[28].

Nell’Opera, san Josemaría volle che si avesse una cura speciale per i più bisognosi. Per questo, insegnò a formare i giovani prendendosi cura dei poveri, facendo catechismo ai bambini, promuovendo iniziative sociali nei contesti più diversi. E con una sensibilità paterna chiese a tutti i membri dell’Opus Dei di recitare ogni giorno alla Vergine la preghiera del Memorare di san Bernardo («Ricordati», in italiano) per la persona dell’Opera che potesse avere più bisogno.

Anche Isidoro Zorzano, che fu uno dei primi membri dell’Opera, mostra come questa realtà fosse già vissuta durante la guerra civile spagnola. Isidoro, che godeva di libertà di movimento grazie alla sua nazionalità argentina, poteva visitare i membri dell’Opus Dei che si trovavano nascosti a Madrid. Tra tutti, non nascondeva di averne uno “preferito”: Vicente Rodríguez Casado. Diceva Isidoro con semplicità: «Lo vedo spesso ed è quello che è più solo»[29].

***

«Ciò che deve illuminare, deve bruciare»[30], dice un poeta contemporaneo. In effetti, il fuoco interiore della vocazione cristiana è ciò che dobbiamo custodire e alimentare per essere, come san Paolo scriveva ai Corinzi, «una lettera di Cristo», «scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani» (2Cor 3,3). Questo fuoco, tanto nei celibi quanto nei coniugati, e in coloro che hanno ricevuto il dono del celibato, si accende nell’amore di Cristo, si propaga accendendo altri fuochi, purifica il cuore e cerca di riscaldare chi ne ha più bisogno.

Gerard Jiménez Clopés e Andrés Cárdenas Matute


[1] Svetonio, Vite dei dodici Cesari, Vita di Claudio, XXV, 3. Nella versione originale si legge: «Iudeos impulsore Chresto assidue tumultuantes Roma expulit».

[2] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 30

[3] Galeno, nel Libro delle sentenze della Politica di Platone, raccolto da Abu Al-Fida Ismail Ibn-Ali (Abulfedae Historia Anteislamica Arabice, F. C. G. Vogel, Lipsia 1831, p. 109), riferisce quanto segue: «Sunt enim inter eos, et foeminae et viri, qui per totam vitam a concubitu abstinuerint». Galeno nacque a Pergamo (oggi in Turchia) intorno all’anno 130 e morì nel 201. Fu medico alla corte imperiale ai tempi di Marco Aurelio, nonché del figlio Commodo e dei successivi imperatori.

[4] San Giustino, Apologia I, 15, 6-7

[5] Guadalupe Ortiz de Landázuri (1916-1975) fu una chimica e docente spagnola, una delle prime donne dell’Opus Dei, in qualità di numeraria. Si distinse per la sua dedizione all’educazione e per l’opera evangelizzatrice svolta in Spagna e in America Latina. È stata beatificata nel 2019.

[6] María del Rincón, María Teresa Escobar, Lettere a un Santo. Lettere di Guadalupe Ortiz de Landázuri a san Josemaría Escrivá, Ufficio Informazioni dell’Opus Dei, edizione cartacea 2018, p. 67.

[7] Mons. Fernando Ocáriz, messaggio del 9 aprile 2019.

[8] Cfr. san Gregorio di Nissa, De Virginitate 2, 1, 1-11.

[9] María del Rincón, María Teresa Escobar, Lettere a un Santo. Lettere di Guadalupe Ortiz de Landázuri a san Josemaría Escrivá, Ufficio Informazioni dell’Opus Dei, edizione cartacea 2018, p. 88.

[10] Marcelo Henrique Câmara (1979-2008) fu un laico brasiliano, avvocato e professore, noto per la sua profonda vita di fede e di apostolato nell’Opus Dei. Si distinse per la sua allegria, spirito di servizio e testimonianza cristiana nella vita quotidiana. È in corso il processo per la sua beatificazione.

[11] Maria Zoê Bellani, Lyra Espindola, No caminho da santidade. A vida de Marcelo Câmara, um promotor de justiça, Cia do eBook, 2020, 69. (Traduzione nostra)

[12] Arturo Álvarez Ramírez (1935-1992) fu un ingegnere chimico e professore messicano, noto per la sua dedizione all’insegnamento presso l’Università di Guadalajara per oltre trent’anni. Si distinse per la sua gentilezza e disponibilità verso tutti. Il suo processo di beatificazione è stato avviato nel 2021 a Guadalajara.

[13]Javier Galindo Michel, La vida plena de Arturo Álvarez Ramírez, Minos, Città del Messico 2018, p. 71. (Traduzione nostra)

[14] San Josemaría, Cammino, n. 120.

[15] San Josemaría, Note di un incontro informale (1967), in Diccionario de San Josemaría, Burgos 2013, p. 490.

[16] San Josemaría, Cammino, n. 28.

[17] El matrimonio formado por Tomás Alvira (1906-1992) y Paquita Domínguez (1912-1994) fue un ejemplo de vida cristiana en el matrimonio y la familia. Miembros de la Obra, vivieron su fe con alegría, sencillez y espíritu de servicio, procurando transmitir la fe a sus hijos y a quienes los rodeaban. Su proceso de beatificación está en curso.

[18] Hilario Mendo, El secreto de los Alvira. Un ejemplo de amor matrimonial, Palabra, Madrid 2023, 29. (Traduzione nostra)

[19] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale del 28 ottobre 2020, n. 22.

[20] Cfr Hilario Mendo, El secreto de los Alvira. Un ejemplo de amor matrimonial, Palabra, Madrid 2023, 116.

[21] Toni Zweifel (1938-1989) fu un ingegnere svizzero, noto per il suo lavoro nella Fondazione Limmat, dedicata alla promozione di progetti di sviluppo e istruzione in tutto il mondo. Si distinse per la sua profonda vita di fede, lo spirito di servizio e la fiducia in Dio, anche durante la malattia. È in corso il suo processo di beatificazione.

[22]Cfr Agustín López Kindler, Toni Zweifel. Huellas de una historia de amor, Rialp, Madrid 2016, 140.

[23] Cfr. ibidem, 33.

[24] Cfr. Ibidem, 51.

[25] Cfr José Ortega y Gasset, La elección en amor [Revelación de la cuenca latente], en Estudios sobre el amor, Revista de Occidente, 8ª Edizione, Madrid 1952, 92-99.

[26] Pedro Ballester (1994-2018) fu un giovane britannico, noto per la sua profonda fede e la gioia mostrata anche nella malattia. Era numerario dell’Opus Dei. Nonostante la diagnosi di cancro ricevuta a 17 anni, affrontò la sofferenza con forza e fiducia in Dio, ispirando quanti lo conobbero. È in corso il suo processo di beatificazione.

[27] Jorge Boronat, Pedro Ballester. ¡Nunca he sido más feliz!, Cobel, Murcia 2022, 19. (Traduzione nostra)

[28] San Josemaría, Cammino, n. 419.

[29] José Miguel Pero-Sanz, Isidoro Zorzano, Palabra, Madrid 1996, 203. (Traduzione nostra)

[30] Anton Wildgans, en Wenceslao Vial, Psicología y celibato, in Juan Luis Caballero (ed), El celibato cristiano, Palabra, Madrid, 2019, 183. (Traduzione nostra)

Gerard Jiménez Clopés e Andrés Cárdenas Matute