Meditazioni: Domenica della 10ª settimana del Tempo Ordinario (ciclo B)

Riflessioni per meditare nella decima domenica del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Il peccato ci allontana da Dio e dagli altri; Le offerte di felicità a basso prezzo; Il peccato imperdonabile.

- Il peccato ci allontana da Dio e dagli altri

- Le offerte di felicità a basso prezzo

- Il peccato imperdonabile


Dopo essere stati ingannati dal serpente, Adamo ed Eva si accorsero della loro nudità e appena avvertirono che Dio si stava avvicinando, si nascosero. Il Signore, allora, «chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”» (Gn 3, 9-12). Stupisce come Adamo cambi atteggiamento. Poco prima, nel vedere Eva per la prima volta, aveva esclamato: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (Gn 2, 23). Adesso, invece, fa intendere di non avere nulla a che spartire con lei. Ormai non è più «carne della mia carne», sembra piuttosto un’imposizione di Dio: «La donna che tu mi hai posto accanto». E, in più, non si assume la responsabilità della sua disobbedienza, ma scarica addosso ad Eva la colpa del proprio errore: «Mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato».

Il primo effetto del peccato è la schiavitù: chi pecca «si è reso schiavo di ciò che ha scelto, e ha scelto il peggio, l’assenza di Dio»[1]. Ne deriva che il peccato determina una rottura con il Signore e con le persone che ci stanno intorno. È questo che accadde ad Adamo. Il peccato lo allontanò da chi amava di più. Ha timore di Dio e, per questo, si nasconde dalla sua presenza; guarda con sospetto Eva e, per questo, la incolpa e si disinteressa di lei. Con il peccato ciascuno di noi si allontana dalla felicità per la quale siamo stati creati e si rompe l’armonia con Dio, con noi stessi e con le persone che più ci interessano.

San Josemaría considerava il peccato come il peggiore dei mali che si devono «temere» ed «evitare con la grazia divina»[2], perchè ci allontana dalla felicità che ci dona la relazione con il Signore e con gli altri. «Dobbiamo sentire, nel cuore e nella mente, un forte e sincero orrore del peccato grave. Dobbiamo anche far nostra una profonda e radicata disposizione di detestare il peccato veniale deliberato, di detestare quei cedimenti che non ci privano della grazia divina, ma logorano le vie che ce la trasmettono»[3].


Un’altra conseguenza della schiavitù del peccato è che ci spinge ad affidare tutte le nostre aspettative alle realtà terrene. Così, si può arrivare a credere che la felicità consista esclusivamente nel possedere ricchezze, accumulare piaceri e vivere forti esperienze. E, per quanto tutto ciò possa procurare un relativo benessere, non appaga il nostro cuore. «Se veramente fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c’è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte “a basso prezzo” che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l’avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più»[4].

Tutto ciò che è uscito dalle mani di Dio è buono. Per questo la vita cristiana non consiste nel respingere queste realtà. Di fatto Gesù sapeva godere dei bei momenti a tavola con i suoi discepoli (cfr. Lc 10, 38-41), e sapeva che il vino era importante per allietare alcuni incontri sociali (cfr. Gv 2,1-12). Il male non è nell’alimento o nel piacere in sé, ma nel nostro rapporto con esso. Cioè quando assolutizziamo tali beni e li viviamo al margine della dimensione più importante della nostra vita: il rapporto con Dio, l’amore per il nostro coniuge, le relazioni amicali, il lavoro, ecc. Magari, allora, possiamo illuderci che la ricchezza o il piacere possano compensare la felicità che non troviamo nelle realtà più importanti della nostra esistenza.

«Dio vuole che siamo sempre felici. Egli ci conosce e ci ama. Se lasciamo che l’amore di Cristo cambi il nostro cuore, allora noi potremo cambiare il mondo. Questo è il segreto della felicità autentica»[5]. Il Signore ci invita a dirigere il nostro sguardo non tanto all’immediato, che è anche superfluo, ma a ciò che ci sazia in profondità: la certezza di saperci amati da lui incondizionatamente. «Noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne» (2Cor 4, 18). Cristo ci mostra che è possibile non lasciarsi possedere da queste cose visibili. Egli ci aiuta a vedere ciò che di invisibile c’è di tali realtà, che possono trasformarsi in occasioni per pensare agli altri e dare gloria a Dio.


Nel corso della sua vita terrena Gesù ci ha mostrato la sua misericordia per tutti gli uomini. Non ha avuto esitazione a perdonare i peccati di tutti coloro che gli si avvicinavano consapevoli della loro debolezza. Anche se non chiedevano esplicitamente perdono, Cristo sapeva leggere nei loro cuori il pentimento e il desiderio di cambiare vita. In tal modo Dio faceva vedere che gli errori stessi, al momento di affrontarli, cessavano di essere un ostacolo e potevano essere un’occasione per ravvivare la fede, se li si riconosceva con umiltà e confidando nella misericordia divina. Ancora oggi, nel sacramento della Confessione, Gesù continua a pulire la nostra anima e ci dà la sua grazia per ricominciare.

Tuttavia il Signore ha detto che c’è un peccato che non potrà essere perdonato: «In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna» (Mc 3, 28-29). Fa riferimento a un comportamento nel quale sono caduti alcuni scribi, quando attribuivano al demonio le buone opere che Gesù compiva, rifiutando apertamente la sua salvezza. Perciò quel peccato non sarà perdonato: non perchè Dio non possa perdonare ogni peccato, ma perchè quegli uomini, nella loro cecità, rifiutavano e disprezzavano la grazia dello Spirito Santo. In qualche modo, impedirono a sé stessi di accorgersi della misericordia divina e rivendicarono per sé un «diritto a perseverare nel male»[6].

Potrebbe accaderci di avere un atteggiamento simile nel considerare i nostri peccati. Dopo tanti anni di lotta per essere santi, possiamo magari avere l’impressione di tornare indietro, invece di progredire. Nonostante i nostri buoni propositi, sentiamo le nostre forze indebolirsi e possiamo pensare che arriverà il momento nel quale Dio si stancherà di concederci il suo perdono. È questa la disperazione: abbassare le braccia perchè crediamo di aver stancato la misericordia divina. L’amore del Signore, però, non dipende dal fatto che ce lo siamo guadagnato o meno: il suo desiderio di attrarci a sé non diminuisce, il suo amore gratuito non ha limiti. «È questo il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati»[7]. La Vergine Maria, speranza nostra, faccia giungere a ognuno l’amore incondizionato che suo Figlio ha per noi.


[1] San Josemaría, Amici de Dio, n. 37.

[2] San Josemaría, Cammino, n. 386.

[3] San Josemaría, Amici di Dio, n. 243.

[4] Francesco, Messaggio, 21 gennaio 2014.

[5] Benedetto XVI, Discorso, 24 marzo 2012.

[6] San Giovanni Paolo II, Dominum et Vivificantem, n. 46

[7] Francesco, Omelia, 24 dicembre 2020.