Libro in mano, pallone al piede

Miguel Rodríguez è nato in Spagna, a León, 48 anni fa, dirige uno studio di consulenza e gestione. È un uomo irrequieto, intraprendente, convinto di dover portare avanti grandi progetti per aiutare i giovani di tutto il mondo.

Fare qualcosa per gli altri…

Penso che, a parte altre considerazioni, ognuno di noi riceva una forte spinta mentre sta facendo orazione. Ti senti chiedere: “Tu che cosa puoi fare per gli altri?”. Poi cominci a pensare a qualcosa di pratico che potresti fare e ti lanci. L’entusiasmo non mi manca: vedo come vanno le cose nel mondo e penso a come porre rimedio ad alcune di esse, forse le poche che ti stanno a cuore. Nel mio caso, sentivo che potevo dare un mio contributo nel campo della formazione della gioventù e del terzo mondo.

E che cosa è successo?

Semplicemente che, con altre persone dell’Opus Dei – io sono un soprannumerario – e alcuni amici abbiamo creato una ONG che abbiamo denominato “Sport e Sviluppo”. Così nel 1998 abbiamo cominciato a lavorare a un programma in Nigeria.

Oggi che cosa siete diventati?

Nel 2004 abbiamo trasformato la nostra idea iniziale nell’Associazione “Sport, Cultura e Sviluppo” allo scopo di aiutare l’infanzia e stimolare la solidarietà. Lavoriamo per introdurre lo sport e la cultura tra la popolazione infantile di Paesi fortemente emarginati. Per molti di questi territori i progetti che l’Associazione propone (scuole di calcio, centri di accoglienza…) costituiscono una delle poche opportunità di entusiasmare e coinvolgere, culturalmente e materialmente, i giovani che vi abitano.

Tutto è cominciato in Africa…

Nel 1998 abbiamo dato il via a un primo progetto a Owerri, in Nigeria, un piccolo villaggio a sud est del Paese. È stato quello il luogo scelto per avviare le basi costitutive dell’Associazione: lo sport come un modo per creare connessioni tra i popoli e un incentivo per stimolare la gioventù durante il processo educativo.

Che cosa avete fatto?

In questo villaggio abbiamo aperto una scuola di calcio per accogliere i bambini della zona, quelli che per la loro situazione economica e sociale richiedevano una maggiore attenzione umanitaria. Questa attività è servita a noi stessi per strutturare e sviluppare le nostre idee. La situazione di conflittualità e di violenza ci ha impedito di realizzare interamente quello che ci eravamo proposti; malgrado tutto, siamo riusciti a portare in Spagna vari giovani che poi hanno avuto l’opportunità di eccellere nel calcio professionistico.

Ma si trattava anche di un’attività educativa…

Certamente. Siamo convinti del valore formativo dello sport per se stesso, in quanto autentica scuola di valori. Comunque, siamo arrivati alla conclusione che lo studio è una condizione indispensabile, cosa che continuiamo a privilegiare negli attuali progetti. Questo è importante perché, logicamente, quelli che “sfondano” professionalmente come sportivi sono una minoranza. Questa prima iniziativa ci è servita per acquisire molta esperienza.

E poi il Brasile…

Sì. Per iniziativa della Fundación Sport-Esperança, con sede a Belo Horizonte, nel 2004 abbiamo dato vita al progetto “Libro in mano, pallone al piede”. Consiste nella creazione di scuole in nuclei ad alta conflittualità, generalmente localizzati nelle “favelas”. In tal modo si allontanano i bambini dalla minaccia del narco-traffico e si può dare loro una educazione di base.

Che cosa utilizzate come incentivo?

Alcuni centri in cui si possono allenare nella pratica del calcio, uno sport che, come si sa, riscuote nel Paese una vera e propria passione. I giovani che hanno più talento vengono selezionati per far parte del club Boa Esperanza, una squadra fondata per intrattenere i figli dei minatori e che permette di aprire le porte ai sogni che la maggior parte delle volte svaniscono per mancanza di mezzi.

Arrivate a molta gente?

Potenzialmente a circa 20.000 ragazzi. Stiamo lavorando per arrivare al maggior numero possibile. Siamo già presenti in 54 nuclei a Belo Horizonte e in 4 a Ibirité, nello stato di Minas Gerais. I ragazzi, oltre a migliorare sul piano sportivo, partecipano a programmi che riguardano l’educazione, la nutrizione e la sanità.

Mi parlavi di una gita di solidarietà…

Ogni anno, fin da quando è stato avviato il progetto, una selezione di oltre 20.000 ragazzi ha l’opportunità di andare in Spagna per fare una gita e misurarsi con alcune squadre del Paese (Real Madrid, Barcellona, Valencia, …). Molte volte ci arride la vittoria e puoi immaginarti l’entusiasmo dei ragazzi nel salutare i campioni di queste squadre. Inoltre la gita non è solo un importante richiamo pubblicitario per sottolineare la situazione di marginalità latente in determinate zone del Brasile, ma soprattutto permette ai giovani di esibirsi e, se è il caso, di essere tesserati da un club spagnolo.