Meditazioni: Mercoledì della 7ª settimana di Pasqua

Riflessioni per meditare il mercoledì della settima settimana di Pasqua.

Nell’ultima parte della preghiera sacerdotale Gesù chiede al Padre l’unità dei suoi discepoli: «Custodiscili nel tuo nome, quelli che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi» (Gv 17, 11). Si tratta di una intenzione ancora valida nei secoli: «Questa unità, che il Signore ha donato alla sua Chiesa e nella quale egli vuole abbracciare tutti, non è un accessorio, ma sta al centro stesso della sua opera. Né essa equivale a un attributo secondario della comunità dei suoi discepoli. Appartiene invece all'essere stesso di questa comunità. Dio vuole la Chiesa, perché egli vuole l'unità e nell'unità si esprime tutta la profondità della sua agape»[1].

Un modo efficace che possa contribuire all’unità dei cristiani è fare in modo che la propria unione con Dio sia sempre maggiore. Anche Gesù ha pregato per questa intenzione nella sua orazione sacerdotale: «Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» (Gv 17, 14-16). San Josemaría commentava questa preghiera con una parabola: «Il Signore ci ha pescato con la rete del suo amore, fra le onde di questo nostro mondo turbolento; ma non per toglierli dal mondo – dal nostro ambiente, dal nostro lavoro ordinario –, ma perché, pur essendo del mondo, siano allo stesso tempo totalmente suoi»[2].

Il fondatore dell’Opera, preso atto del materialismo chiuso allo spirito e dello spiritualismo disincarnato, propose un «materialismo cristiano» che consiste nell’impegno a «unire il lavoro professionale alla lotta ascetica e alla contemplazione – cosa che può sembrare impossibile, ma che è necessaria per contribuire a riconciliare il mondo con Dio – e convertire il lavoro ordinario in uno strumento di santificazione personale e di apostolato»[3].

«Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17, 17-18). Richiama l’attenzione che nella solenne preghiera sacerdotale del cenacolo Gesù chieda la santità dei suoi discepoli. E che la consideri il fondamento della missione che ha assegnato loro. Il parallelo è chiaro: il Padre ha inviato il Figlio e il Figlio invia noi. Il Figlio è santo e noi siamo chiamati a essere «perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 48).

Gesù non solo ha pregato per la santità dei suoi discepoli, ma dopo la risurrezione ha inviato loro lo Spirito Santo perché li colmasse dei suoi doni e dei relativi frutti. San Paolo spiega «che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4, 6-7).

Siamo figli di Dio, chiamati a essere santi. Questo contesto di filiazione divina aiuta a comprendere l’importanza del “timore di Dio”, dono dello Spirito Santo annunciato nei salmi: «Il timore del Signore è puro, rimane per sempre» (Sal 19, 10), «principio della sapienza» (Sal 111, 10). San Josemaría ha scritto che il timore di Dio «è venerazione del figlio per suo Padre, mai timore servile, perché tuo Padre-Dio non è un tiranno»[4].

Il timore di Dio, come abbandono fiducioso nella bontà di un Padre ricco in misericordia offre nuove prospettive alla nostra lotta spirituale: «Ci ricorda quanto siamo piccoli di fronte a Dio e al suo amore, , e che il nostro bene sta nell’abbandonarci con umiltà, con rispetto e fiducia nelle sue mani. [...] Assume in noi la forma della docilità, della riconoscenza e della lode, ricolmando il nostro cuore di speranza. Tante volte, infatti, non riusciamo a cogliere il disegno di Dio, e ci accorgiamo che non siamo capaci di assicurarci da noi stessi la felicità e la vita eterna. È proprio nell’esperienza dei nostri limiti e della nostra povertà, però, che lo Spirito ci conforta e ci fa percepire come l’unica cosa importante sia lasciarci condurre da Gesù fra le braccia di suo Padre»[5].

«Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità» (Gv 17, 19). Gesù è il nostro modello e ci mostra quanto sia importante la lotta per la santità personale, il sacrificio e la donazione personale: «dobbiamo essere santi per santificare»[6]. Con questa consapevolezza della priorità della grazia, chiediamo allo Spirito Santo che ci colmi di timore di Dio per essere umili e docili alle sue ispirazioni: «Questo fa lo Spirito Santo con il dono del timore di Dio: apre i cuori. Cuore aperto affinché il perdono, la misericordia, la bontà, le carezza del Padre vengano a noi, perché noi siamo figli infinitamente amati. Quando siamo pervasi dal timore di Dio, allora siamo portati a seguire il Signore con umiltà, docilità e obbedienza»[7].

Siamo figli di Dio inviati a santificare il mondo, a riconciliarlo con Dio. Il timore di Dio non porta alla inibizione, ma al coraggio e alla forza: «È un dono che fa di noi dei cristiani convinti, entusiasti, che non restano sottomessi al Signore per paura, ma perché sono commossi e conquistati dal suo amore! Essere conquistati dall’amore di Dio! E questo è una cosa bella. Lasciarci conquistare da questo amore di papà, che ci ama tanto, ci ama con tutto il suo cuore»[8].

Un’altra conseguenza di come agisce il timore di Dio nell’anima è il rifiuto di tutto ciò che possa offendere il Padre amato: «Non dimenticare, figliolo, che per te sulla terra c’è solo un male da temere e, con la grazia divina, da evitare: il peccato»[9]. Don Javier Echevarría ha scritto: «Temiamo dunque il peccato per quello che è, e di conseguenza senza cadere nello sconforto o nel pessimismo, temiamo il nostro egoismo, che così facilmente ci tradisce. Dev’essere reale e costante la diffidenza verso il proprio io, perché ci allontana dall’immagine e somiglianza di Dio, che possediamo per sua bontà: ci allontana dalla personalità autentica che il Creatore vuole che sviluppiamo»[10].

Ricorriamo alla Santissima Vergine, piena di grazia, perché ci ottenga da Dio «il dono del timore che, facendoci aborrire qualunque peccato, imprima nel nostro cuore lo spirito di adorazione e una profonda e sincera umiltà»[11].


[1] San Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 9.

[2] San Josemaría, Carta III, 9 gennaio 1932, n. 47.

[3] San Josemaría, Instrucción, 19-III-1934, n. 33.

[4] San Josemaría, Cammino, n. 435.

[5] Papa Francesco, Udienza, 11-VI-2014.

[6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 9.

[7] Papa Francesco, Udienza, 11-VI-2014.

[8] Papa Francesco, Udienza, 11-VI-2014.

[9] San Josemaría, Cammino, n. 386.

[10] Javier Echevarría, Getsemani, Cap. II, n. 9, ed. Ares.

[11] San Josemaría, Consacrazione allo Spirito Santo.