Meditazioni: Venerdì della 1ª settimana di Quaresima

Riflessioni per meditare nel venerdì della prima settimana di Quaresima. I temi proposti sono: I giudizi critici e il quinto comandamento; Pensare degli altri il meglio possibile; L’amore di Dio ci libera dall’invidia.

- I giudizi critici e il quinto comandamento

- Pensare degli altri il meglio possibile

- L’amore di Dio ci libera dall’invidia


«Più che le sentinelle l’aurora, Israele attende il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione» (Sal 130, 6-7). Noi cristiani speriamo in un Dio che è perdono e misericordia, vogliamo contemplare il mondo accanto a lui. Così si potrebbe definire anche la lotta per la santità: una progressiva identificazione della nostra contemplazione con la sua. Tutto questo ha inizio con la purificazione del nostro cuore, alla quale la Quaresima ci invita incessantemente. Però sappiamo che non si tratta di un processo automatico. Alcune volte ci può sembrare che siamo troppo portati al giudizio temerario, a guardare le cose solo dal nostro punto di vista, senza essere coscienti del danno che facciamo agli altri e che facciamo a noi stessi. Gesù mette in relazione questi diverbi e inimicizie con il quinto comandamento, quello che comanda di non uccidere (cfr. Mt 5, 21-24).

«Chi può giudicare l’uomo? La terra intera è piena di giudizi temerari. Infatti, colui del quale disperavamo, nel momento che meno ci aspettavamo, improvvisamente si converte e diventa il migliore di tutti. Invece, colui nel quale avevamo molto confidato, nel momento meno prevedibile, cade improvvisamente»[1]. Il Regno di Dio è tra noi, e solo il Signore occuperà il posto di giudice. Perché cadiamo tanto spesso nei giudizi critici? «Quanto facile è criticare gli altri! [...]. Lo Spirito Santo, oltre a farci dono della mitezza, ci invita alla solidarietà, a portare i pesi degli altri. Quanti pesi sono presenti nella vita di una persona: la malattia, la mancanza di lavoro, la solitudine, il dolore…! E quante altre prove che richiedono la vicinanza e l’amore dei fratelli!»[2].


Non è facile disattivare il meccanismo interiore che ci induce alla critica; però lo Spirito Santo può darci le luci che ci permettono di scoprire quello che succede nel nostro cuore quando si manifestano queste emozioni negative. «Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12, 10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza»[3]. Una profonda consapevolezza del perdono, di non avere nessun merito così da meritare tanta bontà di Dio, ci permetterà di considerare gli altri allo stesso modo, con uno sguardo comprensivo. Qualche volta giudicare gli altri può essere sintomo di crederci meritevoli della grazia, conseguenza di un Dio che non ama, ma che paga.

Un modo per non finire nel giudizio critico è pensare degli altri sempre il meglio possibile. San Tommaso d’Aquino osservava che «può succedere che chi interpreta nel senso migliore si inganni più spesso; però è meglio che uno si inganni molte volte avendo un buon concetto di un uomo cattivo anziché si inganni raramente pensando male di un uomo buono, perché in questo caso si oltraggia l’altro, cosa che non succede nel primo caso»[4]. È meglio sbagliare, pensando bene, che oltraggiare pensando male. «Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona»[5]. «Abituati a parlare cordialmente di tutto e di tutti – raccomandava san Josemaría –; in particolare di quanti lavorano al servizio di Dio. E quando non è possibile, taci! Anche i commenti bruschi o superficiali possono sconfinare nella mormorazione o nella diffamazione»[6].


«Se consideri le colpe, Signore, Signore, chi ti può resistere» (Sal 130, 3), ci domandiamo con il salmista. Perciò ci consola pensare quanto Dio ha perdonato a ciascuno di noi, considerare il suo amore per noi assolutamente gratuito, malgrado i nostri tradimenti. Eppure, paradossalmente, a volte l’invidia ci induce a rattristarci per i beni altrui, soprattutto per l’amore e la considerazione che ricevono. Se fossimo pienamente coscienti di come è la stima di Dio per ognuno di noi, non ci sarebbe posto nel nostro cuore per questa deviazione.

Il santo curato d’Ars diceva che «se fossimo così fortunati da non avere né orgoglio né invidia, non giudicheremmo mai nessuno, ma ci contenteremmo di piangere sulle nostre miserie spirituali, di pregare per i poveri peccatori, e nient’altro, assolutamente persuasi che Dio non ci chiederà conto delle azioni degli altri, ma solo delle nostre»[7]. Tuttavia, finché non impareremo a rallegrarci delle cose buone degli altri, anche quando splendono al di sopra delle nostre, l’invidia ci accompagnerà durante il nostro percorso sulla terra. Per nostra fortuna Gesù accetterà un giudizio ingiusto che ferirà la sua dignità, in modo che noi siamo liberati da qualunque condanna; per vederci liberati dalla medesima necessità di giudicare e di giudicarci.

«La Trinità Beatissima ha incoronato nostra Madre. – Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, ci chiederà conto di ogni parola oziosa. Ulteriore motivo per dire alla Madonna di insegnarci a parlare sempre alla presenza del Signore»[8].


[1] Sant’Agostino, Sermone 46 sui pastori, 24-25.

[2] Papa Francesco, Udienza, 3-XI-2021.

[3] Papa Francesco, Patris corde, n. 2.

[4] San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q.60, a. 4, ad 1.

[5] Papa Francesco, Patris corde, n. 2.

[6] San Josemaría, Solco, n. 902

[7] Santo Curato d’Ars, Predica sul giudizio temerario.

[8] San Josemaría, Solco, n. 926.