Meditazioni: Venerdì della 5ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel venerdì della quinta settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Possiamo portare la gente a Gesù; Dio agisce in maniere diverse; Non sempre i tempi dell’agire divino sono i nostri.

- Possiamo portare la gente a Gesù

- Dio agisce in maniere diverse

- sempre i tempi dell’agire divino sono i nostri


Il Signore, nel suo anelito di annunciare il Vangelo, predicò di fronte a grandi folle, come il seminatore che sparge i semi sul terreno. Però, nello stesso tempo, spesso Cristo si è comportato anche da medico che viene a guarire i malati, uno per uno: ascoltava, guardava, esaminava, guariva. In certi passi della Scrittura vediamo che chi cercava Gesù non lo faceva con i propri mezzi, perché non era nelle condizioni di esprimere le proprie necessità, ma aiutato da altri: si trattava di un sordo che a stento poteva parlare. Il Vangelo ci dice che sono probabilmente i suoi familiari o i suoi amici che «lo portano» e «pregano» (cfr. Mc 7, 32) Gesù di imporgli le mani.

Questa scena può essere una immagine del nostro ruolo di apostoli: anche noi siamo chiamati a condividere con i nostri amici la forza risanatrice di Cristo che abbiamo sperimentato nella nostra stessa vita. Spesso una persona che non può sentire trova anche difficoltà a comunicare; ed è vero che tante persone che noi frequentiamo vogliono, nel più profondo della loro anima, avere una più stretta relazione con Dio, ma forse non sanno da dove cominciare. «Molti di loro cercano Dio in segreto, mossi dalla nostalgia del suo volto»[1].

In questo compito ci possono essere utili i due verbi che usa l’evangelista: si tratta di «portare» la gente e di «pregare» Gesù di guarirlo. La seconda parte sembra più semplice da capire, ma la prima come si ottiene? San Josemaría suggerisce alcune piste, ricordandoci che non si tratta di «una spinta materiale, ma dell’abbondanza di luce, di dottrina; lo stimolo spirituale della vostra orazione e del vostro lavoro, che è testimonianza autentica della dottrina; l’insieme di mortificazioni che sapete offrire; il sorriso vi appare sulla bocca, perché siete figli di Dio: una filiazione, che vi colma di una serena felicità – anche se nella vostra vita, a volte, non mancano le contrarietà –, che gli altri vedono e invidiano. Aggiungete a tutto questo il vostro garbo e la vostra simpatia umana»[2].


Gli amici della persona sordomuta, pieni di fede, avevano chiesto a Gesù di imporre le mani sul malato; ma il Signore decide di agire diversamente: preferisce compiere la guarigione in maniera progressiva: «Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”» (Mc 7, 33-34). Qualcosa di simile era successo quando restituì la vista a un cieco, applicando nei suoi occhi il fango che aveva fatto con la saliva (cfr. Gv 9, 6). Tuttavia altre volte aveva fatto miracoli istantanei, anche a persone che si trovavano in luoghi lontani.

Sappiamo che, come proclamiamo tutti i giorni nella Santa Messa, basta una parola di Gesù per eliminare qualunque male. Però questo ci potrebbe far pensare che sempre e in tutto Dio «dovrebbe» operare in quel modo. E invece la vicenda della nostra stessa vita ci insegna che non è così. Tante volte abbiamo sperimentato che Gesù ci conduce per sentieri che non sembrano scorciatoie, allora attraversiamo momenti apparentemente superflui, simili ai gesti di toccare la lingua o le orecchie di un malato. Può succedere che ci siamo abituati al fatto che tutto intorno a noi funzioni in una maniera apparentemente efficace, veloce, senza necessità di aspettare... e vogliamo che così siano tutti gli altri ambiti della vita.

«Il Signore è vicino al suo popolo, molto vicino. Lo dice lui stesso: “Quale nazione ha un Dio tanto vicino come voi?”. La vita è un cammino che Egli ha voluto percorrere accanto a noi. Però quando il Signore viene, non sempre lo fa allo stesso modo. Non esiste un protocollo dell’azione di Dio nella nostra vita. Una volta lo fa in un modo e un’altra volta lo fa in maniera diversa, ma lo fa sempre. Il Signore si prende il suo tempo, ma ha anche molta pazienza [...]. Nella vita, qualche volta, le cose finiscono con l’essere molto oscure. E abbiamo voglia, se siamo in difficoltà, di scendere dalla croce. Questo è il momento preciso: la notte è più oscura quando l’alba si avvicina»[3].


Alla fine del suo passaggio sulla terra, durante l’Ultima Cena, Gesù dice ai suoi apostoli che hanno fatto bene a chiamarlo Maestro (cfr. Gv 13, 13). Abbiamo visto che il Signore si era attribuito anche le immagini di medico (cfr. Mt 9, 12) e di seminatore (cfr. Mt 13, 37). Questi tre modi con i quali Gesù caratterizza se stesso ci possono servire per comprendere come egli interviene nella nostra vita, specialmente quando siamo convinti che Dio dovrebbe agire più in fretta, quando pretendiamo che operi in base ai nostri tempi più che ai suoi.

Se pensiamo a un maestro, ci rendiamo conto che il suo lavoro di guidare il prossimo richiede sempre un lungo processo temporale. Neppure il medico si comporta con precipitazione: persino la più lieve ferita certe volte può richiedere varie visite. Infine, se pensiamo al seminatore, possiamo notare che non esiste un seme che si coltivi da solo, che non richieda il paziente lavoro di andare continuamente ad annaffiare, a migliorare le condizioni del terreno, ecc.

San Paolo ha scritto ai Galati: «Figli miei, per i quali io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi!» (Gal 4, 19). L’impegno della Santissima Trinità è proprio questo: formare in noi Cristo. «Nasce così il desiderio ardente di sentirci corredentori con Cristo – affermava san Josemaría – , di salvare con Lui tutte le anime, perché siamo, vogliamo essere, ipse Christus, lo stesso Cristo, ed Egli ha dato se stesso in riscatto per tutti»[4]. E in questa attesa di essere sempre «più Cristo», non abbiamo un appoggio migliore di quello di Maria: lei, pur avendo una santa impazienza di vedere suo figlio, aspettò nove mesi che Gesù si formasse nel suo seno, e poi trent’anni per vedere i suoi prodigi.


[1] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 14.

[2] San Josemaría, Lettera 24-X-1942, n. 9.

[3] Papa Francesco, Omelia, 28-VI-2013.

[4] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 121.