Gesù ha lavorato accanto a Giuseppe | Riscoprire il valore del lavoro | Lavoro e preghiera, preghiera e lavoro
Gesù ha lavorato accanto a Giuseppe
L’evangelista san Luca riassume l’infanzia di Gesù dicendo che «il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui» (Lc 2, 40). Poco più avanti sintetizza gli anni dell’adolescenza del Signore affermando che «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52). È sorprendente che un Dio onnipotente abbia voluto sperimentare il normale processo di crescita dell’uomo. Il Dio-uomo aveva una vita assai simile a quella degli altri abitanti di Nazaret. Ha imparato da san Giuseppe la legge e la funzione delle labbra e delle mani, forse imitandolo. Ha imparato anche a leggere e scrivere, come trattare le persone, come riposare... Probabilmente le giornate di Gesù – come quelle dei suoi concittadini o le nostre – consistevano in buona parte nelle relazioni familiari e di amicizia, oltre che nel lavoro. Probabilmente la bottega di suo padre è stata il luogo in cui il Messia passava la maggior parte del tempo.
«Per sei lustri Gesù non fu che questo: fabri filius, il figlio dell’artigiano. Quando poi vengono i tre anni di vita pubblica e l’osanna delle folle, la gente si stupisce: chi è costui e dove ha appreso tante cose? Perché la sua vita era stata la vita comune della gente della sua terra»[1], molto simile a quella di san Giuseppe. Questa realtà ci dimostra che il lavoro fa parte dei disegni divini per l’uomo. Nel libro della Genesi l’essere umano viene presentato come custode della creazione, capace di trasformare e abbellire il mondo, continuando l’opera del creatore. Il lavoro è dunque una realtà umana con la quale possiamo contribuire a creare un ambiente, una città, una nazione, in cui sia facile per l’uomo un dialogo intimo con Dio.
Riscoprire il valore del lavoro
«Per la maggior parte degli uomini, la santità consiste nel santificare il proprio lavoro, nel santificarsi nel lavoro e nel santificare gli altri per mezzo del lavoro»[2]. Con queste parole il fondatore dell’Opus Dei riassumeva una parte del messaggio che Dio gli aveva affidato per ricordarlo ai cristiani. «Santificare il lavoro» è l’espressione che forse richiama di più l’attenzione. Per un verso, questo vuol dire farlo bene, con amore, curando i dettagli, come qualunque persona onesta. Per l’altro, farlo sapendo che nella materialità di questo modo di agire possiamo condividere il modo che ha Dio di amare la sua creazione, vale a dire, le persone e la realtà tangibile nella quale esse operano. Questo modo si esprime nella vicinanza, nella tenerezza, nell’infondere nelle creature sempre un nuovo alito di vita. Partecipare a questa missione ci porta, in qualche modo, a essere contemplativi in mezzo al mondo. «Tutte le opere degli uomini si compiono come su un altare – diceva san Josemaría – e ognuno di voi, in questa unione di anime contemplative che è la vostra giornata, dice in qualche modo la sua messa, che dura ventiquattro ore»[3].
Conseguenza logica di questo incontro divino sarà farlo sempre per servire gli altri quali figli di Dio che sono e per fare del nostro mondo un mondo migliore. «Il lavoro è un elemento fondamentale per la dignità di una persona. Il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio, che ha lavorato e lavora, agisce sempre»[4]. Tuttavia, anche qui il peccato ha lasciato la sua impronta; per esempio, quando il nostro lavoro si svolge al solo fine di ottenere riconoscimenti sociali o economici. «È indispensabile che l'uomo non si lasci asservire dal lavoro, che non lo idolatri, pretendendo di trovare in esso il senso ultimo e definitivo della vita»[5]. San Giovanni Paolo II ci metteva in guardia anche dal concepire il lavoro «esclusivamente come una mercanzia, con una fredda logica del guadagno per poter conquistare il benessere, consumare e così continuare a produrre»[6]. Volgere lo sguardo a san Giuseppe, maestro di Gesù nel lavoro, può aiutarci a riscoprire sempre il vero valore delle nostre attività quotidiane; a non trasformarle soltanto in un fine terreno, ma a scoprirvi quel quid divinum, quel tanto di divino che ci unisce a Dio e ci pone davanti agli altri come intermediari dei beni e della cura, anche materiale, di Dio verso ogni persona.
Lavoro e preghiera, preghiera e lavoro
«Vi ripeto spesso – sono parole di san Josemaría – che, in questi momenti di conversazione con Gesù, che ci vede e ci ascolta dal Tabernacolo, non possiamo cadere in un’orazione impersonale; e aggiungo che, per meditare in modo da istaurare immediatamente un dialogo con il Signore – non occorre il suono delle parole –, dobbiamo uscire dall’anonimato, metterci alla sua presenza così come siamo [...]. Adesso preciso che anche il tuo lavoro dev’essere orazione personale, deve trasformarsi in una splendida conversazione con il nostro Padre celeste. Se cerchi la santificazione nella tua attività professionale, e per mezzo della tua attività professionale, dovrai necessariamente sforzarti di fare in modo che essa diventi preghiera personale, non anonima»[7].
Far sì che ogni ora del nostro lavoro sia un’ora di orazione non dipende necessariamente dal fatto che aggiungiamo preghiere vocali o ricordini devoti al nostro esercizio professionale. Fare orazione con il nostro lavoro vuol dire – oltre che alimentarlo con una vita interiore coltivata in altri momenti – essere consapevoli che, in un certo senso, siamo le mani e le orecchie del Signore che, grazie a una determinata attività materiale o intellettuale, ascoltano, si occupano, si prendono cura delle persone e della creazione che ci è stata affidata.
Infatti una volta hanno rivolto a san Josemaría questa domanda: «Sono un chirurgo e ho dieci figli. Da quindici anni lo spirito dell’Opera è mia guida e mia forza; però vi sono giorni in cui il dovere professionale mi ruba il tempo per tutto il resto. Che cosa posso fare per continuare a santificarmi e dirigere la casa come Dio vuole?». E il fondatore dell’Opus Dei ha così risposto: «Ma tu che fai, quando ti occupi dei malati, se non un lavoro quasi sacerdotale? Sei quasi un sacerdote e hai anima di sacerdote! Allo stesso tempo delle ferite e delle malattie del corpo, curi quelle dell’anima semplicemente con il tuo sguardo, con il tuo modo di trattare i malati, con quella parola opportuna, con un sorriso di affetto [...]. Dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina, tu sei con Dio»[8]. Proprio per questo, con la festa del patriarca tanto vicina, possiamo rivolgerci a lui per poter collaborare con il Signore nel modo migliore attraverso il nostro lavoro. «A lui rivolgiamo la nostra preghiera: [...] O beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi, e guidaci nel cammino della vita. Ottienici grazia, misericordia e coraggio»[9].
[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 14.
[2] San Josemaría, Colloqui, n. 55.
[3] San Josemaría, Appunti di una meditazione, 19-III-1968.
[4] Papa Francesco, Udienza generale, 1-V-2013.
[5] Benedetto XVI, Omelia, 19-III-2006.
[6] San Giovanni Paolo II, Udienza generale, 1-V-1984.
[7] San Josemaría, Amici di Dio, n. 64.
[8] San Josemaría, Appunti presi durante un incontro di famiglia a Valencia, 17-XI-1972.
[9] Papa Francesco, lett. ap. Patris Corde, Epilogo.