Meditazioni: Sabato dopo le ceneri

Riflessioni per meditare nel sabato dopo le ceneri. I temi proposti sono: L’elemosina che nasce da un cuore puro; San Matteo lasciò tutto e donò la sua vita; Amerai Dio e il prossimo.

- L’elemosina che nasce da un cuore puro

- San Matteo lasciò tutto e donò la sua vita

- Amerai Dio e il prossimo


Le giornate successive al mercoledì delle ceneri ci hanno fatto riflettere sul valore primario della preghiera e, insieme a essa, del digiuno e della elemosina come pratiche che dimostrano il nostro desiderio di convertirci a Dio. Il profeta Isaia esclama che solo una disposizione interiore retta, origine di ogni mortificazione, genera un autentico cambiamento, visibile attraverso le opere di misericordia a favore degli altri: «Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio» (Is 58, 9-10).

Perciò possiamo chiedere a Dio una purezza interiore che ci permetta di offrire agli altri l’aiuto che richiedono e non quello che noi vogliamo dare: «Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini» (Sal 85, 11). Una volta san Josemaría si lamentava: «Dà pena constatare come certuni concepiscono l’elemosina: pochi spiccioli o qualche indumento usato. Sembra che non abbiano letto il Vangelo»[1]. La vera elemosina nasce dalla dedicazione interiore, da un atto di amore verso l’altro. Tutti hanno bisogno della nostra elemosina: nella nostra famiglia, le persone con le quali lavoriamo, quelli che ricevono un servizio attraverso la nostra attività, ecc.

«L’intero Vangelo non si riassume forse nell’unico comandamento della carità? La pratica quaresimale dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono»[2].


Quando leggiamo nel Vangelo la storia della vocazione di san Matteo, ricordiamo una cosa che stupì molto i farisei e gli scribi. Il lavoro che svolgeva il futuro apostolo permetteva di dare la priorità al piccolo potere personale che gli conferiva Roma, al di sopra delle tradizioni del suo popolo; poteva comportare una certa affezione ai beni materiali, al di sopra della Legge di Dio. Però Matteo vide in Gesù qualcosa di differente, qualcosa che lo convinse a lasciare tutto per seguire i suoi passi. Per questo abbandonò lo stile di vita per il quale aveva optato, la sicurezza e il benessere che dava la sua posizione, il suo progetto personale di progresso, ecc. E questa decisione lo fece tanto contento che «gli preparò un grande banchetto» (Lc 5, 29).

Non sembra che Gesù abbia cercato gli apostoli fra i maestri della Legge, e neppure fra i fedeli più osservanti; al contrario, si avvicina alla tavola di chi è considerato un peccatore dalla società ebrea del momento. Qui si mette in evidenza ancora una volta il mistero della misericordia di Dio. «I Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza»[3].

Come Matteo, anche noi siamo chiamati a «vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia [...]. Quando noi ci sentiamo bisognosi di perdono, di consolazione, impariamo a essere misericordiosi con gli altri»[4]. Molti di quelli che frequentavano Matteo adempivano rigorosamente la legge, ma non sentivano il bisogno di Dio, e questo induriva il loro cuore tanto da non sentire il bisogno di donare vere elemosine. Il futuro apostolo, invece, lasciò tutti i suoi beni per seguire Gesù, donando l’intera sua vita come elemosina a coloro che lo frequentavano.


Il testo nel quale san Matteo descrive la propria vocazione mette in bocca a Gesù alcune parole rivolte ai farisei: «Andate e imparate che cosa vuol dire “Misericordia io voglio e non sacrifici”» (Mt 9, 13; Os 6, 6). Anche se a molti può essere sfuggito quel riferimento al profeta Osea, era impossibile non vedere la rettitudine del comportamento di Cristo: passò facendo il bene, preoccupandosi delle necessità degli altri, guarendo i malati, ecc. La preoccupazione di Gesù verso quelli che gli stavano attorno è una «sintesi di tutto il messaggio cristiano: la vera religione consiste nell’amore di Dio e del prossimo. Ecco ciò che dà valore al culto e alla pratica dei precetti»[5].

Una maniera di fare elemosina durante questa Quaresima potrebbe consistere nel rivedere l’amore con il quale compiamo le nostre attività. I precetti del popolo d’Israele perseguivano il fine di trovare l’amore di Dio in tanti particolari della giornata, ma spesso questa buona intenzione finì col diventare un compimento di atti che non raggiungevano il loro vero senso. Questa quaresima può essere un'occasione per aumentare il desiderio che Cristo occupi il centro della nostra vita. San Josemaría faceva presente a tal riguardo: «Dobbiamo deciderci a seguirlo sul serio: far sì che il Signore possa servirsi di noi, affinché, mettendoci in tutti i crocevia del mondo – essendo noi ben messi in Dio – possiamo essere sale, lievito, luce; affinché tu sia in Dio, per illuminare, dar sapore, far crescere e fermentare. Non dimenticate, però, che non siamo noi i creatori di questa luce: la riflettiamo soltanto»[6]. Se presentiamo a Maria le nostre intenzioni più profonde, quelle che vogliono convertire il nostro cuore a Dio, ella intercederà davanti a Dio affinché riusciamo a portarle a buon fine.


[1] San Josemaría, Solco, n. 26.

[2] Benedetto XVI, Messaggio, 30-X-2007.

[3] Benedetto XVI, Udienza, 30-VIII-2006.

[4] Papa Francesco, Udienza, 14-IX-2016.

[5] Benedetto XVI, Angelus, 8-VI-2008.

[6] San Josemaría, Amici di Dio, n. 250.