Meditazioni: Mercoledì Santo

Riflessione per meditare il Mercoledì Santo. I temi proposti sono: Giuda era un apostolo scelto da Gesù; La misericordia divina è più grande della nostra debolezza; Una speranza che ci porta a ritornare a Dio.

Giuda era un apostolo scelto da Gesù La misericordia divina è più grande della nostra debolezza Una speranza che ci porta a ritornare a Dio


Giuda era un apostolo scelto da Gesù

«Uno dei dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: “Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?” E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo» (Mt 26, 14-16). Tradizionalmente il mercoledì santo la Chiesa ricorda il tradimento di Giuda. Come sono lontani nell’anima di questo apostolo, che sta per tradire Gesù, i primi incontri con colui che aveva considerato il Messia! Anche Giuda Iscariota era stato scelto personalmente da Cristo. Sarebbe stato nelle condizioni di essere felice come gli altri, accanto a Gesù, diventando una delle colonne della Chiesa. E invece sceglie di vendere, al prezzo di uno schiavo, chi gli avrebbe dato tutto. E Dio ha voluto che la Sacra Scrittura non tenesse sotto silenzio questa realtà.

La tragica conclusione ha luogo nell’Ultima Cena, quando Gesù viene assalito dall’angoscia della vicina passione e dallo strazio dell’abbandono delle persone amate. «Mentre mangiavano, disse: “In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà”» (Mt 16, 21). Gli altri undici apostoli, con l’esperienza della loro rudezza e una gran fiducia nelle parole di Cristo, esclamano sorpresi: «”Sono forse io, Signore?”. Ed egli rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”. Giuda, il traditore, disse: “Rabbi, sono forse io?”. Gli rispose: “Tu l’hai detto”» (Mt 16, 22-25).

Non sappiamo se Giuda guardò ancora una volta Gesù negli occhi. In essi avrebbe scoperto che non c’era rancore né collera. Cristo, suo amico, continuava a guardarlo con la stessa gioia con cui lo aveva chiamato qualche anno prima perché fosse un apostolo, perché stesse con lui. «Che cosa possiamo fare dinanzi a Dio che ci ha serviti fino a provare il tradimento e l’abbandono? Possiamo non tradire quello per cui siamo stati creati, non abbandonare ciò che conta. Siamo al mondo per amare Lui e gli altri. Il resto passa, questo rimane»[1].

La misericordia divina è più grande della nostra debolezza

Il tradimento di Giuda non fu, comunque, la follia di un istante, ma probabilmente fu la conseguenza di un prolungato disamore. Nel vangelo secondo san Giovanni troviamo un episodio significativo: le critiche, pochi giorni prima della Pasqua, per lo spreco fatto da Maria di Betania nell’ungere Gesù col profumo. Giuda osa criticare indirettamente, con una motivazione altruista, il comportamento di quella donna, ma «disse questo – afferma la Scrittura – non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12, 6).

Tuttavia, né questa offesa, né alcun’altra debolezza, sono sufficienti a far cambiare idea a un Dio che chiama continuamente ogni persona e che è sempre in attesa del nostro ritorno. San Josemaría vedeva in questo modo di essere di Dio, tanto misericordioso, la nostra autentica armatura: «Tutti noi abbiamo miserie. Però le nostre miserie non dovranno mai indurci a trascurare la chiamata di Dio, ma ad accogliere questa chiamata, a metterci dentro la bontà divina come gli antichi guerrieri si mettevano dentro la loro armatura»[2].

Sant’Agostino ci raccomanda un atteggiamento umile, di continua richiesta di fronte al Signore, come il modo migliore di incarnare la nostra fragilità; riferendosi proprio a Giuda Iscariota, dice: «Se avesse pregato in nome di Cristo, avrebbe chiesto perdono; se avesse chiesto perdono, avrebbe avuto speranza; se avesse avuto speranza, avrebbe sperato la misericordia»[3] e non sarebbe andato incontro alla fine di cui parla la Scrittura (cfr. Mt 27, 5). Il Signore non voleva la perdizione di Giuda, come non vuole quella di nessuno. Fino al momento stesso dell’arresto tenta di fargli cambiare idea, chiamandolo «amico» e accettando il bacio del discepolo. Forse Cristo, anche quando era sulla croce, sperava nel ritorno del suo apostolo per perdonarlo, come aveva fatto con il malfattore pentito.

Una speranza che ci porta a ritornare a Dio

Anche Pietro, in quella notte di tradimenti, rinnega il Signore tre volte. Colui che sarebbe diventato il fondamento della Chiesa pianse il suo peccato con lacrime d’amore; a Giuda, invece, è mancata l’umiltà di ritornare al suo Signore e riconoscere il suo peccato. Pietro ha mantenuto ferma la speranza, mentre l’Iscariota l’ha perduta, non confidando nella misericordia del Signore.

Nel commentare questo passo del vangelo, san Josemaría diceva: «Considerate quanto è grande la virtù della speranza! Giuda riconobbe la santità di Cristo, si era pentito del crimine che aveva commesso, tanto è vero che prese il denaro, prezzo del suo tradimento, e lo gettò in faccia a quelli che glielo avevano dato come premio al suo tradimento. Però... gli venne meno la speranza, che è la virtù necessaria per ritornare a Dio. Se avesse avuto speranza, sarebbe potuto diventare un grande apostolo. Ad ogni modo, noi non sappiamo che cosa passò nel cuore di quell’uomo, né se rispose alla grazia di Dio all’ultimo momento. Solo il Signore sa quello che successe in quel cuore negli ultimi istanti. Sicché, non perdete mai la speranza, non disperate mai, anche se avete fatto la più grande sciocchezza. Non c’è altro da fare che parlare, pentirsi, lasciarsi prendere per mano, e tutto si aggiusterà»[5].

Questo possiamo imparare dal vangelo di oggi: per quanto grandi siano le nostre offese, sempre più grande è la misericordia di Dio. Tutto si può rimediare se ritorniamo al Signore e apriamo il cuore alla grazia in modo che Cristo possa guarire le nostre ferite. «La paura e la vergogna, che non ci permettono di essere sinceri, sono i nemici più grandi della perseveranza. Siamo di creta; ma, se parliamo, la creta raggiunge la forza del bronzo»[5]. Questa è la forza che acquistò l’umiltà di san Pietro, roccia della Chiesa; è quella che noi chiediamo a Gesù attraverso Maria, sua madre, e anche madre nostra.


[1] Papa Francesco, Omelia, 5-IV-2020.

[2] San Josemaría, Cartas 2, n. 47a.

[3] Sant’Agostino, Commento al Salmo 108, n. 9.

[4] San Josemaría, Appunti della predicazione, 8-XII-1968.

[5] San Josemaría, Cartas 2, n. 41a.