Meditazioni: Mercoledì della 32a settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì della 32a settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Fare nostro il grido dei lebbrosi; La guarigione più completa è dovuta a una fede riconoscente; Ringraziare in ogni occasione.

- Fare nostro il grido dei lebbrosi

- La guarigione più completa è dovuta a una fede riconoscente

- Ringraziare in ogni occasione


«GESÙ, MAESTRO, abbi pietà di noi!». È il grido di alcuni lebbrosi che, magari avendo superato vari ostacoli, riescono ad arrivare fino al Signore. Nell’antichità era una grande sventura essere lebbroso. Prima di tutto, soffrivano molto fisicamente; tanto è vero che il nome che i giudei davano a questa malattia significa letteralmente «colpo di frusta». Però, come se questo non bastasse, alle sofferenze fisiche si aggiungeva il dolore morale: questa malattia suscitava un certo terrore, perché si pensava che fosse molto contagiosa, e per questo vigeva un minuto regolamento per diagnosticarla e allontanare dalla società chi l’avesse contratta. Erano previste anche una serie di condizioni per certificare la guarigione, e questo incarico era affidato ai sacerdoti. Inoltre si attribuiva la malattia ai peccati che avrebbe commesso chi ne era colpito.

Così possiamo comprendere fino a che punto soffrivano ed erano sconsolati i dieci lebbrosi che Gesù incontrò lungo la strada. Vivevano nei sobborghi di un villaggio. Parenti, amici, e altre persone pietose ogni giorno portavano loro da mangiare. Probabilmente avevano sentito parlare di Gesù attraverso di loro: un rabbino – maestro – che predicava con autorità e faceva miracoli. Quando il Signore si avvicinava al villaggio, qualcuno li avrà avvisati della sua presenza e vennero a salutarlo a distanza, con la speranza che potesse guarirli. «A una certa distanza si fermarono – scrive un santo medievale –, perché nelle condizioni in cui si trovavano non osavano avvicinarsi. La stessa cosa succede a noi: ci manteniamo a distanza quando ci ostiniamo nel peccato. Per guarire, per essere curati dalla lebbra dei nostri peccati, urliamo a squarciagola e diciamo: “Gesù, maestro, abbi compassione di noi”. Ma gridiamo non con la bocca, ma con il cuore. Il grido del cuore è più acuto. Il clamore del cuore penetra i cieli e s’innalza più eccelso davanti al trono di Dio»[1].

I lebbrosi chiedono a Gesù di guarirli. Il Signore dice loro di presentarsi ai sacerdoti, che erano quelli indicati dalla legge per constatare una eventuale guarigione. Così, quando si avviano, obbedendo al Maestro, stanno dando una prova di fede. E mentre camminano, si rendono conto che effettivamente sono guariti. Tuttavia, solo uno di loro, un samaritano, ritorna a cercare Gesù: «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo» (Lc 17, 15-16). Il Signore si lamenta del fatto che gli altri nove non sono ritornati per dar gloria a Dio, che non hanno voluto ringraziare per essere stati guariti. Dice al samaritano: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17, 19).


SE CONTEMPLIAMO il Vangelo di oggi, possiamo distinguere «due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l'altro, più profondo, tocca l'intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il "cuore", e da lì si irradia a tutta l'esistenza. La guarigione completa e radicale è la "salvezza". Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra "salute" e "salvezza", ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l'espressione: "La tua fede ti ha salvato". È la fede che salva l'uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza»[2]. Non sappiamo che cosa sia successo con gli altri lebbrosi. Sappiamo, con certezza, che furono guariti da una malattia fisica. Però il Vangelo ci dice che Gesù constata la guarigione spirituale solamente del samaritano, che apparentemente era più lontano dalla fede che non il popolo eletto.

«Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l'aprirsi dell'uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: "grazie"! »[3].


«IN OGNI COSA rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1 Ts 5, 18). L’antifona della Messa di oggi, tratta dagli insegnamenti di san Paolo, ci invita a manifestare frequentemente la nostra gratitudine al Signore. Sicuramente ogni giorno, quando ci svegliamo, possiamo ringraziare anche per le cose che ci sembrano più scontate, ma delle quali sentiremmo la mancanza se ne venissimo privati: respirare, sentire, vedere, camminare, la bellezza della natura, la luce e il calore del sole, avere una famiglia, poter amare ed essere amati... Noi cristiani, inoltre, siamo grati al Signore per le meraviglie della sua grazia, per tutto quello che senza alcun nostro merito abbiamo ricevuto e continuiamo a ricevere ogni giorno per progredire sulla via della santità.

«Qualunque sia la tua età – scriveva san Francesco di Sales –, non è da molto tempo che stai nel mondo. Dio ti ha tratto dal nulla, ti ha fatto nascere e sei quello che sei per sua pura bontà. Ti ha fatto l’essere più importante del mondo visibile, chiamato a condividere la sua eternità e capace di unirsi a lui. Non ti ha messo al mondo perché avesse bisogno di te, ma semplicemente per manifestare la sua bontà. Ci ha dato l’intelligenza perché potessimo conoscerlo, la memoria perché potessimo ricordarci di lui, e la volontà per poterlo amare. L’immaginazione per dimostrarci i suoi benefici, gli occhi per ammirare le meraviglie della creazione, la lingua per lodarlo... Ti ha fatto a sua immagine [...]. Pensa a tutto quello che Dio ti ha dato nell’ambito dello spirito, del corpo, dell’anima: ti ha dato la salute, il benessere, i buoni amici... Ti nutre con i suoi Sacramenti, ti illumina con le sue luci, ti ha perdonato tante volte»[4].

«Com’è bello quello che ogni giorno diciamo nelle Preci! – diceva san Josemaría –. Potete usarlo come giaculatoria: gratias tibi, Deus, gratias tibi! Infatti, se lo ringraziamo, Dio ci darà di più; ma se la nostra superbia si appropria di quello che non è nostro, ci auto-escluderemo dal ricevere l’aiuto del Signore»[5]. Ricorriamo a Maria, la quale, proprio per la sua umiltà, per essere grata di tutto come dono di Dio, ha ricevuto regali che non poteva neppure immaginare.


[1] San Bruno di Segni, Sul Vangelo di san Luca, n. 2, 40.

[2] Benedetto XVI, Angelus, 14-X-2007.

[3] Ibidem.

[4] San Francesco di Sales, Introduzione alla vita devota, 1ª parte, cap. 9 e ss. III, 34.

[5] San Josemaría, Appunti di una riunione familiare, 9-III-1971.