Meditazioni: Mercoledì della 7ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel mercoledì della settima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Vivere in comunione con gli altri; Apprezzare quello che ci unisce ad altre persone; La diversità dimostra la perfezione divina.

- Vivere in comunione con gli altri

- Apprezzare quello che ci unisce ad altre persone

- La diversità dimostra la perfezione divina


Per i discepoli è ancora difficile comprendere Gesù, specialmente quando parla della passione e morte che lo attende. Continuano ad avere esclusivamente concezioni umane. Indubbiamente, amano Cristo, ma ancora non in modo incondizionato, e proiettano su di lui le loro aspettative terrene. È comunque innegabile che sono sempre sinceri, il loro atteggiamento è quello di chi vuole imparare. Espongono al Signore, con semplicità e chiarezza, tutto quello che pensano, tutto quello su cui si interrogano nel loro intimo; gli raccontano tutto quello che dicono tra loro e gli fanno il resoconto delle loro vicende apostoliche. Una volta «Giovanni gli disse: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”» (Mc 9, 38-40).

Possiamo immaginare la pazienza del Signore nel fare questa correzione. Magari si divertiva un po’ con questi primi passi di quelli che aveva scelto come futuri apostoli. I discepoli agivano con le migliori intenzioni, ma ancora non riuscivano a comprendere meglio le cose, a guardarle dal punto di vista di Dio. Vedevano la realtà ancora in un modo molto semplice, come in bianco e nero. Gesù, invece, fa loro notare che essa ha una ricchissima gamma di colori, e che quell’uomo che faceva il bene in suo nome non era tanto estraneo a Cristo come sembrava. «Che grande cosa è intendere un’anima!»[1], esclamava santa Teresa di Gesù. Qualunque persona desiderosa di fare del bene merita da noi delicato rispetto, interesse, empatia ed affetto. «In quanto esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, che è comunione e comunicazione-di-sé, abbiamo sempre nel cuore la nostalgia di vivere in comunione, di appartenere a una comunità. “Nulla è altrettanto specifico della nostra natura – afferma san Basilio – come l’entrare in relazione gli uni con gli altri, l’avere necessità gli uni degli altri”»[2].


Sant’Agostino scriveva che, come nella Chiesa Cattolica «si può trovare quello che non è cattolico, così fuori della [Chiesa] cattolica può esserci qualcosa di cattolico»[3]. Ogni manifestazione di bene nel mondo è motivo di gioia per chi ama l’origine di ogni bene. Nel passo evangelico che contempliamo «l’atteggiamento dei discepoli di Gesù è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi. In buona fede, anzi con zelo, si vorrebbe proteggere l’autenticità di una certa esperienza [...]. Allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno»[4].

San Josemaría, parlando con una persona che viveva in una zona con pochi cattolici, diceva: «Nella tua terra molti non sono cristiani, ma in qualche modo fanno parte della Chiesa per la loro rettitudine e per la loro bontà. Sono sicuro che se sapessero quel che è la fede cattolica, vorrebbero essere cattolici [...]. Noi apparteniamo al corpo della Chiesa: siamo una parte di quel corpo meraviglioso. Ed essi, se adempiono la legge naturale, hanno come un battesimo di desiderio»[5].

Lo spirito di comunione ci fa mettere gli occhi su tutto ciò che ci unisce agli altri, anziché su ciò che ci separa. Gesù invita i suoi discepoli «a non pensare secondo le categorie di “amico/nemico”, “noi/loro”, “chi è dentro/chi è fuori”, “mio/tuo”, ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l’azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie»[6].


Nell’ordine naturale, Dio ha creato una moltitudine immensa di angeli; molte galassie e pianeti; innumerevoli specie di animali, vegetali e minerali. Non deve meravigliare che, nell’ordine soprannaturale, lo Spirito Santo abbia voluto suscitare nel corso dei secoli innumerevoli carismi che arricchiscono in modo meraviglioso la sua Chiesa. È chiaro che il Signore ama la pluralità, probabilmente perché questi innumerevoli carismi, come in qualche modo le creature materiali, rispecchiano con diversità di luci la sua perfezione infinita.

A immagine di Dio, ognuno di noi cristiani dovremmo amare con entusiasmo il pluralismo e la molteplicità. Come in una grande famiglia, ci rallegrano e ci inorgogliscono i frutti di santità di tante istituzioni, molto diverse tra loro, che hanno lasciato un solco ampio e profondo nella storia della Chiesa, e hanno anche configurato in molte maniere la società in cui viviamo. È indubbiamente un dono di Dio al mondo tutto il lavoro che hanno svolto e continuano a svolgere queste realtà ecclesiali e anche quello di altre più recenti. Ecco perché san Josemaría consigliava: «Rallegrati, se vedi che altri lavorano in fecondi apostolati. – E chiedi, per loro, grazia di Dio abbondante e corrispondenza a questa grazia»[7].

Possiamo chiedere a Maria di aiutarci ad essere sempre pronti ad accogliere le ampie prospettive dell’azione dello Spirito Santo, in modo da essere «capaci di apprezzarci e stimarci a vicenda, lodando il Signore per l’infinita ‘fantasia’ con cui opera nella Chiesa e nel mondo»[8].


[1] Santa Teresa di Gesù, Libro della vita, 23, 17.

[2] Papa Francesco, Messaggio, 24-I-2019.

[3] Sant’Agostino, Sul battesimo contro i donatisti, PL 43, VII, 39, 77.

[4] Papa Francesco, Angelus, 30-IX-2018.

[5] San Josemaría, Appunti di una riunione familiare, 22-II-1970.

[6] Papa Francesco, Angelus, 30-IX-2018.

[7] San Josemaría, Cammino, n. 965.

[8] Benedetto XVI, Angelus, 30-IX-2012.