Meditazioni: Martedì della 19ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel martedì della diciannovesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Essere bambini che hanno bisogno degli altri; La logica del gioco; I poveri ci rivelano Dio.

- Essere bambini che hanno bisogno degli altri

- La logica del gioco

- I poveri ci rivelano Dio


SAN MATTEO raccoglie nel suo vangelo cinque grandi discorsi di Gesù. Uno di essi comincia con una domanda che gli fanno i suoi discepoli: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?» (Mt 18, 1). Il Signore risponde con un esempio vivo: «Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 2-3). Davanti a un pubblico che forse stava cercando di guadagnare dei meriti per avere una posizione privilegiata vicino al Maestro, Cristo smonta ogni logica umana. Non sono i nostri successi quelli che ci assicurano un posto di onore nel Regno, bensì la lotta per diventare come i bambini e accettare con umiltà i nostri limiti. I bambini vivono abbandonati con fiducia nel fatto che gli adulti risolveranno i problemi che si presentano e non sono preoccupati della loro reputazione. I piccoli capiscono che la loro vera ricchezza è quella che ricevono da Dio e dagli altri.

Se osserviamo come si comportano i bambini, possiamo vedere che cercano in primo luogo l’attenzione degli adulti. «Loro devono stare al centro, perché? Perché sono orgogliosi? No! Perché hanno bisogno di sentirsi protetti. È necessario che anche noi mettiamo al centro della nostra vita Gesù e sapere, anche se può sembrare paradossale, che abbiamo la responsabilità di proteggerlo»[1]. Un bambino sa che da solo non può fare niente. A mano a mano che cresce, ottiene una maggiore indipendenza. Molti, quando giungono all’adolescenza, passano all’estremo opposto: credono di essere autosufficienti e di non aver bisogno di nulla dagli altri. Il passo verso la maturità consiste nel riconoscere che coloro che stanno al nostro fianco ci possono dare molto: senza di loro non saremmo le persone che siamo.

Nella vita interiore succede qualcosa di simile. Impariamo a rapportarci con Dio grazie ai nostri genitori, a un catechista o a un sacerdote. Forse pensiamo che arriverà un momento in cui non avremo più bisogno dell'aiuto che ci danno gli altri. In questo senso san Josemaría commentava che gli errori più gravi «procedono sempre dalla superbia, dal credersi adulti, autosufficienti. In tali casi, prevale nella persona una sorta di incapacità di chiedere aiuto a chi lo può dare: non solo a Dio, ma anche all’amico, al sacerdote. E quella povera anima, isolata nella sua disgrazia, cade nel disorientamento, nel traviamento»[2]. Per questo il fondatore dell'Opus Dei raccomandava di stimolare il desiderio di essere come i bambini, perché la propria vita diventi qualcosa di grande: «Siate molto bambini! Quanto più piccoli, tanto meglio. Ve lo dice l’esperienza di questo sacerdote, che ha dovuto rialzarsi molte volte nel corso di questi trentasei anni — mi sembrano tanto brevi e tanto lunghi! — vissuti cercando di compiere un’esplicita Volontà di Dio. Una cosa mi ha sempre aiutato: essere rimasto bambino, continuare a rifugiarmi nel grembo di mia Madre e nel Cuore di Cristo, mio Signore»[3].


SE OSSERVIAMO ancora come sono i bambini, possiamo scoprire un altro aspetto del loro modo di vedere la vita: a loro piace giocare. Molte volte non si accontentano di stare in compagnia di altri bambini della loro età, ma vogliono che i genitori partecipino al gioco. E ciò, ad un adulto, richiede di abbandonare la propria logica e tornare a essere bambino. «Se vogliamo che si diverta è necessario capire cosa piace a lui, e non essere egoisti e far fare loro le cose che piacciono a noi»[4]. Questo significa che dobbiamo lasciare da parte le preoccupazioni personali - probabilmente molto più urgenti di quel gioco - e pensare a quello che il bambino si aspetta in quel momento da suo padre o da sua madre. Questo modo di fare lo possiamo vivere anche con le persone che ci stanno vicine: quando viviamo un gesto di servizio o di affetto con qualcuno, stiamo seguendo la logica del gioco, cioè cogliamo quello di cui possono avere bisogno gli altri e cerchiamo di soddisfarlo.

A volte però può non essere semplice trovare il tempo per giocare, per avere cioè queste attenzioni con gli altri. Per san Josemaría queste manifestazioni di affetto hanno un’importanza decisiva per raggiungere la propria felicità e quella degli altri e per questo incoraggiava i suoi figli, facendo loro considerare: «Non ho difficoltà a ripeterlo continuamente. Tutti hanno bisogno di affetto e ne abbiamo bisogno anche nell’Opera. Impegnatevi a far crescere sempre più l’affetto per i vostri fratelli senza sentimentalismi esagerati. Tutto ciò che riguarda un mio figlio dev’essere per davvero molto nostro: il giorno in cui dovessimo vivere come estranei o nell’indifferenza per gli altri, avremmo ucciso l’Opus Dei»[5]. Lo sforzo di pensare a coloro che abbiamo vicini, oltre a riempirci di gioia, ci aiuta a riconoscere che il Signore è il primo a giocare con noi. «Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama»[6].


LA MAGGIOR PARTE DELLE VOLTE possiamo conoscere Dio in coloro che da un punto di vista solamente materiale sembra che abbiano poco da darci: i bambini, i malati, gli anziani… Per questo san Josemaría commentava: i poveri «sono il mio miglior libro spirituale e il motivo principale delle mie preghiere. Soffro per loro, e soffro per Cristo in loro. E, siccome mi addolora, capisco che Lo amo e che li amo»[7]. Fin dagli inizi del suo lavoro pastorale, il fondatore dell’Opus Dei seguiva la gerarchia proclamata da Gesù. «- Bambino. - Malato. - Nello scrivere queste parole, non senti la tentazione di usare la maiuscola? È perché, per un’anima innamorata, i bambini e i malati sono Lui»[8]. Sono parole che nascono dalla sua esperienza di assistenza a diverse persone bisognose nel patronato di Santa Elisabetta negli anni ‘30 a Madrid.

La cura delle persone più deboli ci avvicina al Signore, in primo luogo perché tutto ciò che facciamo per loro è come se lo facessimo per Dio stesso: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). È come se ci divinizzassimo perché seguiamo lo stesso stile di vita di Gesù - che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mt 20, 28) – e ci convertissimo in suoi ambasciatori, perché facciamo giungere alle altre persone la consolazione che Dio offre loro. Inoltre, ci fa avere un cuore simile a quello di Gesù, che ama senza aspettarsi nulla in cambio. Sicuramente queste persone possono darci poco materialmente, ma in realtà ci danno il bene più grande: ci manifestano Dio stesso.

«Dare a qualcuno tutto il tuo amore non ti garantisce di essere ricambiato - commentava santa Teresa di Calcutta - perciò non aspettare che ti ricambino, ma aspetta solo che l'amore cresca nel cuore dell’altra persona e, se non cresce, sii felice lo stesso, perché è cresciuto nel tuo. Ci sono cose che vorresti tanto sentirti dire e non sentirai mai dalla persona che vorresti che te le dicesse; ma non essere così sordo da non sentirle da chi te le dice dal cuore»[9]. Molte volte il bambino, il malato o l’anziano di cui ci prendiamo cura non ci manifesterà esplicitamente la sua gratitudine. Anche questa è un’opportunità per assomigliare a Dio, perché anche Lui ci trasmette sempre il suo affetto, anche se noi non ce ne rendiamo conto. La Vergine Maria ci potrà aiutare ad avere un cuore di madre, che non ha paura di donarsi alle persone che ama.


[1] Francesco, Udienza, 30-XII-2015.

[2] San Josemaría, Amici di Dio, n. 147.

[3] Ibíd.

[4] Francesco, Udienza, 30-XII-2015.

[5] San Josemaría, AGP, biblioteca, P01, citato da Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 16-II-2023, n. 9.

[6] Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 18.

[7] San Josemaría, Solco, n. 827.

[8] San Josemaría, Cammino, n. 419.

[9] Santa Teresa di Calcutta, Pobre entre los más pobres, Ediciones Paulinas, 2003, p. 31.