Meditazioni: Lunedì della 23ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel lunedì della ventitreesima settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Il formalismo di alcuni farisei; La rettitudine di intenzione; La priorità della persona.

- Il formalismo di alcuni farisei

- La rettitudine di intenzione

- La priorità della persona


UN SABATO, Gesù «entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C'era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata . Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.» (Lc 6, 6 -7). Questa scena del Vangelo evidenzia il motivo per cui alcune autorità ebraiche seguono Gesù. Non sono interessati ai suoi insegnamenti, né si rallegrano quando assistono a un miracolo: stanno cercando la scusa perfetta per screditarlo. «Oh farisei – scrive san Cirillo di Alessandria –, vedete colui che fa cose prodigiose e guarisce i malati in virtù di un potere superiore, e ne auspicate la morte per invidia.»[1].

Coloro che in questa scena del Vangelo giudicano il Signore mostrano di non preoccuparsi dell'uomo con la mano inaridita. La loro priorità non è quella di empatizzare con la malattia di questa persona e, se possibile, liberarla, ma si preoccupano solo della stretta osservanza della legge del sabato; si preoccupano solo di accusare colui che non l'ha osservata, che in questo caso è Gesù, l'autore stesso della legge. Con il loro formalismo, quei farisei «non lasciano posto alla grazia di Dio» e decidono «di fermarsi in se stessi, nelle proprie tristezze e risentimenti», rimanendo così incapaci «di portare la salvezza perché chiudono la porta»[2].

In fondo, queste persone hanno trasformato la via larga della misericordia di Dio in uno stretto sentiero di legalismo; invece di essere un aiuto incoraggiante in questo cammino, sono un ostacolo; dove esistono persone, vedono solo deviazioni dalla norma. Davanti a questo modo di giudicare il prossimo, san Josemaría ci avverte: «Non si possono offrire formule prefabbricate, né metodi o regolamenti rigidi, per avvicinare le anime a Cristo. L’incontro con Dio di ciascun uomo è ineffabile e irripetibile, e dobbiamo collaborare con il Signore per trovare - in ogni caso - la parola giusta e il modo giusto, essendo docili e non cercando di ostacolare l'azione sempre originale dello Spirito Santo»[3].


SAN LUCA sottolinea che Gesù conosce i pensieri di questi scribi e farisei (cfr. Lc 6, 8). Il Signore sa perfettamente che non sono lì per ascoltarlo umilmente e poi seguire i suoi insegnamenti. Anche se esteriormente si comportano come gli altri, la loro interiorità contrasta con la semplicità degli altri ascoltatori. Non accompagnano il Signore con il desiderio di cambiare la propria vita e di piacere a Dio, ma con lo scopo di trovare qualcosa di cui accusarlo.

«La rettitudine di intenzione – diceva san Josemaría– consiste nel cercare “solamente e in tutto” la gloria di Dio»[4], al di sopra della nostra gloria personale o del nostro attaccamento ai criteri con cui giudichiamo la realtà. La vita cristiana non si riduce a "soddisfare" certe norme o regole morali o religiose: quei farisei, infatti, erano zelanti osservanti della legge, facevano elemosine, passavano ore nel tempio, digiunavano... Ma Gesù sapeva che non lo facevano per rendere gloria al Padre suo e, quindi, questi atteggiamenti non li avvicinavano agli altri o alla vera felicità. «Questo popolo - dirà loro il Signore in un’altra occasione, citando il profeta Isaia - mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mt 15, 8).

La vita cristiana è sempre accompagnata da opere esterne. Tuttavia, è decisivo che tali opere siano animate dallo spirito di bontà e santità che vediamo nella vita del Signore, degli apostoli e dei santi. In questo modo il cristiano potrà trasformare «in puro oro, come faceva Re Mida, tutto ciò che tocca, grazie alla rettitudine di intenzione che, con la grazia di Dio, lo porta a tirar fuori una cosa santa da ciò che sarebbe indifferente»[5].


DOPO aver chiesto all'uomo con la mano inaridita di mettersi al centro, Gesù pone questa domanda agli scribi e ai farisei: «In giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?» (Lc 6, 9). Senza aspettare la risposta, il Signore opera un miracolo e la mano dell'uomo guarisce.

Gesù non si metteva a fare i conti quando si trattava di fare del bene. Egli era venuto nel mondo per salvare le persone e a questo scopo dedicò tutta la sua vita. Per questo motivo fece miracoli anche il sabato, perché voleva dimostrare che il bene della persona viene sempre prima di tutto. Quando si trattava di salvare qualcuno, non esitava a circondarsi di peccatori pubblici (cfr. Mc 2, 16), a percorrere tutte le città necessarie (cfr. Lc 4, 43) o a entrare nelle case dei pagani (cfr. Mt 8, 7). In breve, la sua missione redentrice non aveva orari o distinguo di sorta: Gesù era sempre disponibile.

Anche il compito di far conoscere Dio, in questo senso, ci fa uscire dai nostri schemi e dalle nostre sicurezze. Il senso della missione propria dell'apostolo ci porta a sperimentare «il piacere di essere una sorgente, che tracima e rinfresca gli altri. Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri.»[6]. Questa la generosità di cuore che Santa Maria ha vissuto. Durante i suoi anni sulla terra, ha sempre messo il bene di Gesù al primo posto. E ora mostra la stessa generosità a tutti coloro che, come bravi figli, vengono a chiedere il suo aiuto materno.


[1] San Cirillo di Alessandria, Commento al Vangelo di San Luca.

[2] Papa Francisco, Omelia, 1-IV-2014.

[3] San Josemaría, Lettera 11, n. 42.

[4] San Josemaría, Forgia, n. 921.

[5] San Josemaría, Instrucción para la obra de San Gabriel, n. 98.

[6] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 272.