- Il mistero per cui Dio è misericordia
- Il perdono che troviamo nella Confessione
«CHI DI VOI, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?» (Lc 15, 4). Può darsi che oggi, quando ascoltiamo queste parole, ci sentiamo pieni di gratitudine a Dio, ricordando le tante volte nelle quali abbiamo sentito la costanza divina nel cercarci quando eravamo perduti. «Io vi dico – continua Gesù -: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione» (Lc 15, 7). Vogliamo capire questa «più grande gioia nel cielo» della quale parla Cristo. Quali misteri racchiude? Perché Dio si rallegra tanto per un peccatore che si pente? Non gl’importano più le nostre buone azioni o la nostra lotta per compiere i suoi comandamenti?
San Josemaría cercava di entrare in queste scene e gustarle: «Non avete sentito come parla anche di pecore e di greggi? Con che tenerezza! Come gode nel descrivere la figura del Buon Pastore!»[1]. Egli stesso ricordava di aver contemplato scene simili in campagna: «Se una si era ferita, se una si era rotta una zampa, si ripeteva la vecchia scena: se la caricavano sulle spalle. Ho anche visto come il pastore – i pastori rozzi, che sembrano incapaci di tenerezze – porta fra le sue braccia amorevolmente un agnellino appena nato»[2].
In realtà, questa «gioia del cielo» nel ritrovare una pecora perduta ci rivela il vero volto di Dio Padre, che «perdona tutto e perdona sempre. Quando Gesù racconta ai suoi discepoli il volto di Dio, lo tratteggia con espressioni di tenera misericordia. Dice che c’è più gioia nei cieli per un peccatore che si pente, piuttosto che per una folla di giusti che non hanno bisogno di conversione. Nulla nei Vangeli lascia sospettare che Dio non perdoni i peccati di chi è ben disposto»[3]. Forse la difficoltà sta nel capire che siamo noi i primi che abbiamo bisogno della misericordia di Dio; che siamo noi che, ritornando ancora una volta verso il pastore, possiamo rallegrare il cielo intero.
«RALLEGRATEVI CON ME, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta» (Lc 15, 6). La gioia di Dio è contagiosa. Riunisce tutti e chiede loro di condividere la sua gioia. Non ci è possibile immaginare il grado di felicità che prova Dio nella sua intimità, ma possiamo avvicinarci a questo mistero almeno con il desiderio di approfondirlo. Perché Dio è tanto felice quando ci perdona? Uno dei motivi è che, con il perdono, non dobbiamo rinunciare alla meraviglia dell’amore di Dio. In realtà, la parola «perdonare» significa donare completamente, concedere una offerta perfetta. «Che ti ho fatto, Gesù, perché mi ami così? – si domandava san Josemaría -. Offenderti... e amarti. Amarti: in questo deve consistere la mia vita»[4].
D’altra parte, quando uno chiede perdono sta manifestando, sia pure implicitamente, molte cose alla persona offesa. I messaggi che di solito si trasmettono sono per esempio: “mi piacerebbe non averlo fatto” o “mi piacerebbe ristabilire l’affetto che prima avevamo l’un l’altro”. Un figlio che chiede perdono è un figlio che vuol bene a suo padre, si fida di lui, lo ama. Gli duole averlo fatto soffrire. Con la richiesta di perdono vogliamo mettere fine alla situazione che genera il peccato, che è proprio il rifiuto dell’amore di Dio per noi. La gioia che noi proviamo quando siamo perdonati, pur essendo grande, non è che un pallido riflesso di quella che sente Dio quando ci recupera vivi.
«L’orante del Salmo 27, circondato dai nemici [...], può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto”. Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità»[5]. E non si ferma a questo. Ci dice anche che perdonarci è per lui una grande gioia.
NELLA CONFESSIONE possiamo approfondire il mistero della gioia e del gaudio divini. «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21, 17). Con questa frase, o con una simile, diciamo a Gesù che, anche se certe volte le nostre opere lo nascondono un poco, in fondo lo amiamo. È vero che andiamo a confessare i nostri peccati, ma soprattutto confessiamo la sua bontà, il suo affetto e la sua misericordia. Non meritiamo nulla, eppure abbiamo l’ardire di chiedere perdono. Anche se qualche volta ci siamo abituati, in realtà, quando confessiamo i nostri peccati, ci allontaniamo dalla logica umana e siamo introdotti in pieno in quella divina. Abbandoniamo il giudizio che istintivamente facciamo sulla nostra vita per lasciare a Dio l’ultima parola.
E la sentenza è decisiva: «Io ti dichiaro innocente». Nello stesso processo vediamo come Cristo si fa carico delle nostre colpe, dei nostri peccati e della responsabilità che ci appartiene. Si carica dei nostri peccati per liberarci da essi: «Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53, 5). «Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto»[6]. E se questo fosse poco, ci dice che questo lo ricolma di gioia. Dove si è visto qualcosa di simile?
Far sapere agli altri, quando sia opportuno, l’esistenza di questo dono, è segno che lo apprezziamo e ne siamo sinceramente grati. Alla Vergine Maria possiamo chiedere di diventare apostoli della Confessione in modo da avvicinare i nostri amici all’abbraccio del perdono divino.
[1] San Josemaría, Appunti di un incontro, 13-III-1955.
[2] San Josemaría, Cartas 27, n. 22.
[3] Papa Francesco, Udienza, 24-IV-2019.
[4] San Josemaría, Apuntes intimos, 5, 358-359, 29-X-1931.
[5] Benedetto XVI, Udienza, 30-I-2013.
[6] Papa Francesco, Udienza, 19-II-2014.