Meditazioni: 2ª domenica di Avvento (Ciclo C)

Riflessioni per meditare nella domenica della seconda settimana di Avvento (Ciclo C). Ecco i temi proposti: La nostra speranza si basa sul fatto che Dio è entrato nella storia; Guardare al nostro passato con speranza; Ancorarci in Gesù ci apre al futuro

La nostra speranza si basa sul fatto che Dio è entrato nella storia

Guardare al nostro passato con speranza

Ancorarci in Gesù ci apre al futuro


«L’ANNUALE RIEVOCAZIONE della nascita del Messia a Betlemme rinnova nel cuore dei credenti la certezza che Dio tiene fede alle sue promesse. L’Avvento è, pertanto, potente annuncio di speranza»[1].

Nel considerare la speranza possiamo cadere nell'errore di pensare che sia esclusivamente orientata al futuro; sembrerebbe che, di fronte alle avversità di qualsiasi tipo, ricorrere a questa virtù sarebbe rifiutare il passato, chiudere gli occhi sul presente e sognare un futuro migliore.

Non è un caso, però, che questo periodo liturgico di speranza si situi tra il ricordo della prima venuta di Gesù Cristo a Betlemme e l'attesa del suo ritorno glorioso alla fine dei tempi. In altre parole, l'Avvento ci ricorda, allo stesso tempo, il passato e il futuro. «La nostra speranza non è priva di fondamento, ma si appoggia su un avvenimento che si colloca nella storia e al tempo stesso eccede la storia: è l’avvenimento costituito da Gesù di Nazaret»[2].

San Luca, nel Vangelo della Messa di oggi, è molto preciso nel registrare il momento storico in cui san Giovanni Battista, il precursore di Cristo, predicò: «Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,1-2). Un Bambino, nato in una mangiatoia, in un preciso momento della storia, è colui che ci salva dal male. Dio non è rimasto un essere lontano, difficile da conoscere, che capisce poco dei nostri problemi e con il quale è impossibile relazionarsi. Il Creatore è entrato nella nostra storia: questa è la radice della nostra speranza.


«RENDO GRAZIE AL MIO DIO –scrive san Paolo nella seconda lettura– persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.» (Fl 1,6). Può succedere che non sempre percepiamo questa "opera buona" che Dio ha iniziato nella nostra vita, o semplicemente perché siamo distratti, o per l'esperienza delle nostre debolezze. Ma questo non significa che il Signore cessi di agire nelle nostre anime; al contrario, Dio ha una predilezione per ogni "cuore contrito e umile" (Sal 51,17) perché, come scrive san Paolo, “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia" (Rm 5,20). San Josemaría guardava con ottimismo all'esperienza delle proprie debolezze: pensava che più sono evidenti, più profonde possono essere le basi della nostra vita spirituale[3].

Per questo motivo, la virtù della speranza si nutre di due atteggiamenti che potrebbero sembrare agli antipodi. Da un lato, trae forza dalla gratitudine per tutto ciò che il Signore ha voluto darci. «Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia» (Sal 125,3), cantiamo, pieni di gioia, con il salmista. Una speranza radicata nel grande amore di Dio per noi, nell'opera di Dio per noi, può sostenerci nei momenti difficili. Tuttavia la nostra speranza si rafforza anche quando guardiamo la nostra storia con uno sguardo riconciliante: «Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni»[4]. Dio non ci chiede mai cose impossibili, vuole solo che lo lasciamo entrare nelle profondità della nostra anima, anche nel nostro passato. Allora sarà in grado di dirigere i nostri passi futuri verso l’incontro con Cristo.


L'ICONOGRAFIA ANTICA rappresentava la speranza come un'ancora. Per questo, su molte navi, l'ancora più pesante e più importante prende il nome da questa virtù teologale. Sperare in Dio ci sostiene nei momenti di tempesta. Ma l'immagine dell'ancora non deve farci pensare a un'immobilità assoluta, come se la soluzione ai nostri problemi consistesse nel rimanere paralizzati. Gesù Cristo viene a rinnovare tutte le cose (cfr. Ap 25, 1): ancorarsi a lui significa essere pronti a salpare per oceani inimmaginabili.

"Gerusalemme, togliti la veste di lutto e di afflizione che indossi e rivestiti delle vesti eterne della gloria che Dio ti dona" (Bar 5,1). La speranza combina un'accettazione realistica della nostra vulnerabilità con un'apertura ai doni che Dio ci dà ogni giorno. Senza rinnegare la nostra personalità o il nostro passato, vogliamo rivestirci poco a poco del nostro Signore Gesù Cristo (cfr. Rm 13,14). In questo modo, la venuta di Gesù a Natale non sarà un evento meramente esteriore, ma raggiungeremo una maggiore intimità con Dio che ha voluto farsi Bambino per entrare nel nostro cuore.

San Josemaría considerava la speranza come un «soave dono di Dio (...) che colma le nostre anime di allegria»[5]. Ancorare la nostra vita nel passato della nostra salvezza e nel futuro della seconda venuta di Gesù dona al presente una dolcezza divina; ogni momento della nostra vita si trasforma in un incontro con Gesù che è venuto e che verrà. Maria, nostra speranza, ha saputo aprire la propria storia al futuro di Dio e per questo è stata così felice in ogni momento del suo passaggio sulla terra.


[1] San Giovanni Paolo II, Udienza, 17-XII-2003.

[2] Benedetto XVI, Omelia, 1-XII-2007.

[3] Cfr. san Josemaría, Cammino, n. 712: «Molto profonda è la tua caduta! —Comincia le fondamenta da laggiù (...)».

[4] Francisco, Patris corde, n. 4.

[5] San Josemaría, Amici di Dio, n. 206.