Meditazioni: 23ª domenica del Tempo Ordinario (ciclo B)

Riflessioni per meditare nella ventitreesima domenica del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: Non giudicare dalle apparenze; Gesù guarisce i nostri sensi; La logica dell’evangelizzazione.

Non giudicare dalle apparenze

Gesù guarisce i nostri sensi

La logica dell’evangelizzazione


NELLA SECONDA lettura della Messa di questa domenica, l’apostolo Giacomo esorta i cristiani a non fare distinzioni tra le persone. Da quanto emerge, sembra che, se qualcuno arrivava a un’assemblea «con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente», gli venissero riservate grandi attenzioni e gli venisse assegnato il posto migliore. Al contrario, se entrava «un povero con un vestito logoro», veniva ignorato o, addirittura, gli si diceva: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello». L’apostolo ricorda che tale modo di agire è completamente opposto al messaggio cristiano. «Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?» (Gc 2,1-5).

A volte può accadere che il nostro modo di vedere la realtà sia influenzato dai pregiudizi. Abbiamo degli schemi preconcetti che ci permettono di classificare positivamente o negativamente le persone e i fatti. In alcune occasioni possono essere basati su esperienze passate, ma in altre sono semplicemente frutto di una prima impressione o di un’opinione sentita. Sebbene ci possano essere motivi per sviluppare un giudizio negativo, possiamo volgere lo sguardo a Cristo, che non si ferma agli errori e ai peccati. «Guardati attorno: vedrai che tante persone che ti vivono accanto si sentono ferite e sole, hanno bisogno di sentirsi amate: fai il passo. Gesù ti chiede uno sguardo che non si fermi all’esteriorità, ma vada al cuore; (…) uno sguardo non giudicante, ma accogliente»[1].

In tal senso, il prelato dell’Opus Dei sottolinea che «la comprensione, frutto dell’amore fraterno, aiuta anche a non fare discriminazioni in base alla diversità che si può rilevare nelle persone con cui si convive»[2]. In questo modo, ciò che ci distingue dagli altri non sarà percepito come un ostacolo, ma come un’opportunità per allargare il cuore e offrire il nostro amore senza barriere di alcun tipo. «Dovete praticare costantemente anche una fraternità – commentava san Josemaría – che sia al di sopra di ogni simpatia o antipatia naturale, amandovi gli uni gli altri come veri fratelli, con la delicatezza e la comprensione propri di chi forma una famiglia ben unita»[3].

IL VANGELO di oggi narra il miracolo della guarigione di un sordomuto. Quando glielo presentarono, Gesù lo allontanò dalla folla, «gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7, 33-35). Molti dei miracoli di Gesù riguardano i sensi. Grazie a queste guarigioni, le persone poterono contemplare la realtà in tutto il suo splendore: ascoltare la voce dei propri cari, godere di un bel paesaggio, esprimersi senza problemi, muoversi senza limitazioni… Per la maggior parte della gente si trattava di qualcosa di scontato, ma non per loro: il fatto di essere stati privati di queste sensazioni li avrebbe portati ad apprezzarle in modo unico.

Possiamo imparare dalle persone guarite da Gesù a meravigliarci di ciò che la vita ci offre. A volte può accadere che la realtà che abbiamo davanti non ci sembri troppo entusiasmante. Questo ci porta a cercare rifugio in stimoli che sappiamo ci interesseranno, o in attività che si adattano alle nostre aspettative. Tuttavia, questo atteggiamento rende difficile metterci in relazione con gli altri e godere dei piccoli piaceri che la vita ordinaria ci offre: la soddisfazione per il lavoro ben fatto, una conversazione tra amici, una semplice cena in famiglia, un momento di lettura o di sport…

In questa linea, san Josemaría consigliava di vivere la mortificazione dei sensi: piccoli sacrifici che ci permettono di vivere con autenticità ciò che abbiamo tra le mani, rifiutando i primi impulsi che l’immaginazione ci suggerisce[4]. In questo modo, possiamo sviluppare «un atteggiamento del cuore, che vive tutto con serena attenzione, che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza stare a pensare a ciò che viene dopo, che si consegna ad ogni momento come dono divino da vivere in pienezza.»[5]. Dettagli come benedire la tavola prima di mangiare o interessarsi delle cose degli altri anziché rivolgersi subito al telefono, ci permettono in un certo senso di sanare i nostri sensi: sono momenti in cui freniamo l’impulso iniziale di saziarci o distrarci per contemplare Dio e i nostri fratelli.

DOPO LA GUARIGIONE Gesù chiese ai presenti di non dirlo a nessuno. Tuttavia, l’evangelista sottolinea che «più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”» (Mc 7, 36-37). Forse può sorprendere questa disobbedienza, ma san Giovanni Crisostomo spiega questo atteggiamento come un non potersi trattenere e commenta: «Quello che Lui vuole insegnarci è che non dobbiamo mai parlare di noi stessi, né permettere che altri ci elogino; ma, se la gloria deve essere riferita a Dio, non solo non dobbiamo impedirlo, ma possiamo comandarlo»[6].

Ciò che accadde al sordomuto è una reazione naturale. Se a uno di noi capitasse qualcosa di straordinario, sarebbe normale condividerlo con gli altri. La trasmissione del vangelo segue la stessa logica: abbiamo trovato nel Signore un amore che risponde ai bisogni più profondi del cuore umano. «È per questo che evangelizziamo. Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno»[7].

Per questo motivo, san Josemaría diceva che la prima pietra dell’evangelizzazione è la cura della propria relazione con il Signore, perché solo così la semina sarà efficace: «È necessario che tu sia “uomo di Dio”, uomo di vita interiore, uomo di preghiera e di sacrificio. —Il tuo apostolato dev’essere un traboccare della tua vita “al di dentro”»[8]. Possiamo chiedere alla Vergine Maria di aiutarci a rimanere molto uniti a suo Figlio, per poterlo far conoscere alle persone che ci circondano.

[1] Francesco, Angelus, 27-VI-2021.

[2] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 16-II-2023, n. 6.

[3] San Josemaría, Lettera 30, n. 28.

[4] Cfr San Josemaría, Cammino, n. 173, tra gli altri.

[5] Francesco, Laudato si’, n. 226.

[6] San Giovanni Crisostomo, In Matthaeum, 32,1.

[7] Francesco, Evangelii gaudium, n. 266.

[8] San Josemaría, Cammino, n. 961.