- L’Eucaristia sazia la nostra fame di Dio
- Un alimento che ci fa somigliare a Gesù
- Scoprire i gesti della liturgia
Gesù presenta e anticipa la verità dell’Eucaristia nel discorso del pane di vita. Come riferisce il Vangelo della Messa, alcuni di quelli che lo ascoltavano ricordarono al Signore che Mosè, durante l’esodo, intercedette davanti a Dio e piovve il pane – la manna – dal cielo (cfr. Es 16, 2-4.12-15). Cristo prese spunto da questa citazione per parlare della nuova manna, del pane di Dio, che è uno – qualcuno – che scende dal cielo e dà la vita al mondo. Allora i discepoli supplicarono il Signore: «Dacci sempre questo pane» (Gv 6, 34). In effetti, sentivano una fame che non meramente fisica, ma «più fondamentale, che non può essere saziata con un cibo ordinario. Si tratta qui di fame di vita, di fame di eternità. Il segno della manna era l’annuncio dell’avvento di Cristo, che avrebbe soddisfatto la fame di eternità da parte dell’uomo diventando Lui stesso il “pane vivo” che “dà la vita al mondo”. Ed ecco: coloro che l’ascoltano chiedono a Gesù di compiere ciò che veniva annunziato dal segno della manna, forse senza rendersi conto di quanto lontano andava quella loro richiesta»[1].
Se audace è la domanda, più sensazionale e nuova è la risposta di Gesù: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai» (Gv 6, 35). Come avvertiva san Josemaría, «è questa la Buona Novella. È novità, conoscenza nuova, perché ci parla di una profondità d’amore che prima non sospettavamo neppure. Ed è buona, perché non c’è niente di meglio che unirci intimamente a Dio, Bene di tutti i beni. È Buona Novella, perché in modo ineffabile ci preannuncia l’eternità»[2].
Con l’Eucaristia avviene qualcosa di simile a quando ci innamoriamo di qualcuno. Abbiamo il desiderio di stare con l’altra persona e di conoscerla. Ogni incontro ci soddisfa e, allo stesso tempo, ci sembra insufficiente. Se l’amore è autentico, arriverà un momento nel quale non basterà vedere la persona per un certo tempo: vorremmo condividere con essa la vita intera. La sacra Comunione sazia la nostra fame di Dio e, allo stesso tempo, ravviva in noi il desiderio non solo di riceverlo con maggiore frequenza, ma di contemplarlo faccia a faccia nella vita eterna. Il pane eucaristico è indispensabile per continuare a camminare verso questa meta, in modo analogo a come gli israeliti camminavano nel deserto verso la terra promessa. È così che Gesù – anche con il Pane Eucaristico – ci va attraendo verso di sé, verso la pienezza del cielo.
Nella seconda lettura della Messa san Paolo esorta così gli abitanti di Efeso: «Abbandonate l’uomo vecchio con la sua condotta di prima, che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli; rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità» (Ef 4, 22-24). Ci piacerebbe esaudire questo invito dell’apostolo, però certe volte notiamo che ci mancano i modelli precisi per adottarlo. Forse ci saremo domandati, come fece Nicodemo a suo tempo (cfr. Gv 3, 4), come si può rinascere, quale cammino si può intraprendere per ottenere quel rinnovamento interiore che desideriamo. E una proposta concreta la troviamo proprio nella santa Messa: «Forse qualche volta ci siamo domandati come poter corrispondere a tanto amor di Dio, e forse vorremmo vedere esposto chiaramente un programma di vita cristiana. La soluzione è facile ed è alla portata di tutti i fedeli: partecipare con amore alla Santa Messa, imparare nella Messa a mettersi in rapporto con Dio, perché in questo Sacrificio è contenuto tutto ciò che il Signore vuole da noi»[3].
Nel rito dell’ordinazione sacerdotale il vescovo pone nelle mani degli ordinandi la patena e il calice, mentre dice loro: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore»[4]. Il pane di vita ci va conformando un po’ per volta a Dio stesso: se viviamo dell’Eucaristia, andremo imitando e imprimendo in noi quello che mangiamo. L’alimento umano è assimilato dall’organismo, chi lo consuma ne fa parte di sé, lo metabolizza; paradossalmente, con il pane di vita succede il contrario: siamo noi che un po’ alla volta diventiamo simili a colui che discese dal cielo.
La presenza reale di Gesù nelle specie eucaristiche dimostra l’amore che egli ha per noi; rispecchia il suo impegno di rimanere vicino a noi, sotto il nostro sguardo, come se volesse aver bisogno della compagnia degli uomini. Ed è per questo che l’Eucaristia «è quanto di più prezioso la Chiesa possa avere nel suo cammino nella storia. Si spiega così la premurosa attenzione che essa ha sempre riservato al Mistero eucaristico»[5]. Una cura e un’attenzione che vogliamo far nostra, in modo che sia sempre più profonda.
«Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato, non lo terremo nascosto ai nostri figli» (Sal 77, 3-4). Questa esclamazione del salmista mostra il desiderio di trasmettere fedelmente agli altri l’opera della salvezza, i tesori di Dio. Sappiamo molto bene che l’Eucaristia, in un certo senso, non ci appartiene. Non è opera nostra, ma della Trinità. Ed ecco il perché del nostro impegno nel custodirla fedelmente, nell’avvicinare ad essa tutti quelli che Dio pone sulla nostra strada, perché l’Eucaristia ha un grande potenziale evangelizzatore. E, come è naturale, si può conservare e diffondere fedelmente solo quello che conosciamo e amiamo. Uno dei modi di andare a fondo nell’amore all’Eucaristia è attraverso la liturgia della Chiesa, «la grande educatrice al primato della fede e della grazia»[6].
Può darsi che certe volte i riti e i gesti liturgici ci appaiano indecifrabili; possiamo allora arrivare a scartarli o a non dar loro troppa importanza, come un insieme di cose che si fanno e basta. Tuttavia possiamo sempre tentare di rettificare gradatamente la comprensione di ciò che essi ci mostrano, senza pensare che sono semplicemente azioni senza senso. In realtà questi gesti sono «l’espressione maturata nel corso dei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano ad avere gli stessi sentimenti di lui; modellando la nostra mente con le sue parole, eleviamo al Signore il nostro cuore»[7]. Per fare un esempio, il bacio all’altare che il sacerdote dà quando sale sul presbiterio è un’espressione di venerazione. «Salgo all’altare con l’ansia – spiegava san Josemaría-, e più che mettere le mani su di esso, lo abbraccio con affetto e lo bacio come un innamorato, perché questo sono: innamorato! Starei fresco se non lo fossi!». Così il gesto di origine biblica di battersi il petto nell’atto penitenziale accompagna fisicamente la nostra richiesta orale di perdono. «Vi siete battuti il petto appena avete udito il io confesso – diceva sant’Agostino –. Ebbene, che significa battersi il petto se non accusare quello che c’è nel petto e castigare con questi colpi visibili gli invisibili peccati?»[8].
«La liturgia dà gloria a Dio non perché noi possiamo aggiungere qualcosa alla bellezza della luce inaccessibile nella quale Egli abita (cfr. 1Tm 6, 16) o alla perfezione del canto angelico che risuona eternamente nelle sedi celesti. La Liturgia dà gloria a Dio perché ci permette, qui, sulla terra, di vedere Dio nella celebrazione dei misteri e, nel vederlo, prendere vita dalla sua Pasqua: noi, che da morti che eravamo per le colpe, per grazia, siamo stati fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2, 5), siamo la gloria di Dio»[9]. Possiamo chiedere alla Vergine Maria che ci aiuti ad approfondire la liturgia della Chiesa. In tal modo potrà crescere in noi una sensibilità che ci permetta di riconoscere suo Figlio nella celebrazione eucaristica e in ogni circostanza.
[1] San Giovanni Paolo II, Omelia, 31-V-1997.
[2] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 152.
[3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 88.
[4] Pontificale Romano, Rituale per l’ordinazione dei presbiteri, n. 153.
[5] San Giovanni Paolo II, enc. Ecclesia de Eucaristia, n. 9.
[6] Benedetto XVI, Discorso, 6-V-2011.
[7] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, istr. Redemptionis Sacramentum, 25-III-2004, n. 5.
[8] Sant’Agostino, Sermone 67, 1.
[9] Papa Francesco, lett. ap. Desiderio desideravi, n. 43.