Commento al Vangelo: Gesù, in modo semplice, insegna verità eterne

Vangelo e commento del mercoledì della 16ª settimana del tempo ordinario. Il discepolo di nostro Signore, per trasmettere la Fede, troverà la maniera giusta per farla capire agli altri.

Vangelo (Mt 13, 1-9)

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un'altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».


Commento

Questa parabola segna un nuovo inizio del ministero di nostro Signore. Sino ad ora, il suo insegnamento era stato chiaro, esplicito e facilmente comprensibile dalle moltitudini. Possiamo, quindi, capire la loro sorpresa, quando, dopo la bella descrizione del seminatore e della semente, invece di dare la spiegazione della parabola, tronca bruscamente: «Chi ha orecchi, ascolti». In effetti, Gesù ne dà la spiegazione agli apostoli, ma solo più tardi, in privato.

A noi, il senso di questa parabola, sembra chiaro, ma ciò è dovuto al fatto che abbiamo la spiegazione stessa di nostro Signore (cfr. Mt 13, 18-23). Invece, per la folla che la sentiva per la prima volta sulle sponde del lago, suonava misteriosa, come un indovinello senza risposta. Ciò voleva dire che dovevano scoprirne il significato e l’unica maniera certa per farlo era chiedere a un maestro, che doveva essre uno accreditato da Gesù stesso. Nell’insegnare in parabole e nel dare la chiave del loro significato agli apostoli, Gesù conferisce loro l’autorità di insegnare in nome suo, nello stesso tempo che li formava al loro compito. In questo, possiamo discernere, almeno nella pratica, il principio dell’autorità docente della Chiesa.

Nell’Introduzione al suo Commento al Libro di Giobbe, san Gregorio Magno scrisse in modo memorabile: «La Parola divina (...) è una sorta di fiume, se mi è concesso il paragone, che è largo e a volte profondo, nel quale l’agnello può camminare come l’elefante nuotare» (Gregorio Magno, Commento al libro di Giobbe, Lettera a Leandro, 4). Questa immagine è davvero adatta alle parabole di nostro Signore e, questa caratteristica le fa diventare un metodo ideale di insegnamento per ascoltatori di ogni capacità; da esse, tutti possono imparare qualcosa.

I cristiani di epoche diverse e la stessa Chiesa primitiva hanno imparato dal metodo di nostro Signore a trasmettere i contenuti della fede con parole che i diversi uditori potessero capire. Le verità rimangono inalterate, ma il linguaggio cambia per adattarsi alla mentalità dei tempi e alle capacità degli ascoltatori. Ilcompito di farlo è di ogni fedele e possiamo chiedere allo Spirito Santo che ci aiuti a trovare le parole giuste per far sì che i nostri ascoltatori possano fare propria la dottrina che c’è in esse (cfr. Lc 12, 12).

Andrew Soane