Meditazioni: Venerdì della 7ª settimana di Pasqua

Riflessione per meditare il venerdì della settima settimana di Pasqua. I temi proposti sono: La mansuetudine come frutto dello Spirito Santo; Un colloquio di Gesù con san Pietro che lo riempie di serenità; I miti erediteranno la terra promessa, il cielo.

La mansuetudine come frutto dello Spirito Santo

San Paolo enumera, tra i frutti dello Spirito Santo, la mansuetudine, la mitezza (cfr. Gal 5, 23). «La mansuetudine ha il compito di moderare l’ira»[1]. Forse ci domandiamo spesso perché vi sono situazioni o persone che riescono a farci perdere le staffe. A volte ci sentiamo presi da un attacco d’ira; altre volte ci accorgiamo che l’ira sta tramando qualcosa nel nostro cuore. Alcune persone esplodono più facilmente; altre non si innervosiscono quasi mai, ma il giorno che lo fanno... Quello che è chiaro è che l’ira può essere presente nella nostra vita e minaccia seriamente la nostra felicità e la nostra pace e, dunque, anche quella di chi ci sta accanto.

Uno dei suoi effetti è che «impedisce che, spinto dall’ira, l’uomo giudichi liberamente la verità»[2]. Pertanto, un primo passo per vincerla può essere conoscerci bene: sapere come sono le nostre collere, come arrivano e come vanno via. Questa conoscenza, insieme con la grazia che chiediamo a chi è «mite e umile di cuore», sono le basi sicure per affrontare la lotta per ottenere la pace interiore. Quello che accade all’esterno della nostra vita non nasce per generazione spontanea. È stato preparato e cucinato nei nostri cuori, ne siamo consapevoli o meno. C’è un ostacolo che assai spesso non individuiamo. Si tratta dei giudizi che facciamo su noi stessi, e soprattutto quelli che sono più critici o negativi. Li distinguiamo perfettamente quando sono su altre persone e ci pentiamo di giudicarle, perché non è nostro compito né nostro desiderio. Tuttavia passano inosservati quando questo sguardo crudo e critico ha per oggetto la nostra vita. Possono facilmente convertirsi in terreno fertile, ottimo per esplosioni più o meno controllate di ira.

Se mi sento giudicato, se mi sento frustrato da come mi vanno le cose, o da come sto raggiungendo i miei obiettivi, è facile che questi sentimenti abbiano una influenza sulla gestione delle circostanze più o meno favorevoli che tutti affrontiamo ogni giorno. Per questo le arrabbiature possono servire a misurare il livello di ebollizione interiore. Possono servire a diagnosticare un cuore che ha bisogno di tranquillità e di pace interiore. Chiediamo allo Spirito Santo di aiutarci a fare un esame coraggioso per conoscere bene le molle più nascoste che fanno esplodere le nostre collere.

Un colloquio di Gesù con san Pietro che lo riempie di serenità

Nel vangelo della Messa di oggi san Pietro riceve un aiuto incalcolabile dal suo Maestro. Gesù vuole guarire il cuore di Pietro, vuole dimostrargli che non gli serba alcun rancore e che il suo tradimento non sarà di ostacolo per la missione che vuole affidargli. Per tre volte, per cancellare la triplice negazione, gli domanda se lo ama. Lo fa con delicatezza e con gradualità. A ogni domanda gli conferma la sua fiducia assoluta in lui. Conta su di lui, così come è, per aiutare i suoi fratelli. È come se lo stesse formando per la missione che ha regalato a ciascuno di noi: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11, 29-30).

Con Benedetto XVI cerchiamo di domandarci «in che consiste questo “giogo”, che invece di pesare alleggerisce e invece di schiacciare allevia». Pietro si rattrista nel sentire la domanda sull’amore che nutriva per lui, che gli fa ricordare il suo tradimento. Con il tempo, e con l’aiuto dello Spirito Santo, questo colloquio si è convertito in uno stimolo alla gioia e alla serenità. La luce dello sguardo di Gesù ha finito col convincerlo che lo perdonava di cuore; inoltre non lo rimproverava di essersi comportato a quel modo, pur essendo stato preavvisato; la sua fiducia in lui non era diminuita, ma aumentata; infine, non lo giudicava, ma voleva chiudere quella ferita per sempre.

A quel punto finalmente l’apostolo, malgrado la tristezza dovuta all’amaro ricordo, si tranquillizzò. Le acque turbolente della sua anima si calmarono grazie alle parole di Gesù. Smise di giudicarsi come aveva fatto fino a quell’istante. Gesù voleva che egli godesse anche del giogo dolce e del peso leggero. Quando ci lasciamo amare scopriamo che «il giogo è la libertà, il giogo è l’amore, il giogo è l’unità, il giogo è la vita, che Egli ci ha guadagnato sulla Croce». Secondo san Matteo, in Gesù si compivano le profezie di Isaia: «Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. [...] Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta» (Mt 12, 18.20). Per il pescatore di Galilea ricordare quello che era successo non era più traumatico come fino a quel momento, ma finalmente si rendeva conto che era acqua passata. Insieme alla verità del suo tradimento, scopriva tutto l’affetto, la comprensione e la fiducia che Cristo gli aveva conferito: era la sua Verità definitiva. Anche Pietro sarebbe stato un servo che avrebbe riempito Dio di compiacenza.

I miti erediteranno la terra promessa, il cielo

Gesù aveva promesso che i miti avrebbero ereditato la terra (cfr. Mt 5, 5) e ora mostrava al suo Vicario come accedere a questo tesoro. Il possesso della terra è il paradiso promesso, il riposo eterno, la beatitudine piena e completa, il cielo. Lì nessuno si sentirà giudicato, perché contemplerà entusiasta la compiacenza divina. Questo riposo non è quello meritato dal duro lavoro di chi è stato fedele. Questo sarebbe molto, ma il cielo è infinitamente più grande e sublime. «Vi immaginate come sarà arrivare lì, incontrarci con Dio, e vedere quella bellezza, quell’amore che si riversa nei nostri cuori, che ci appaga senza appagare?»[3]. Nessuno vince Dio in generosità. In qualche modo in quel colloquio è stato regalato a Pietro un anticipo del cielo che lo aspettava e Gesù gli ha assicurato che gli avrebbe riempito il cuore con il frutto del suo Spirito: «“Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio» (Gv 21, 18-19).

Il noto consiglio di san Josemaría possiamo applicarlo in primo luogo alle stizze che ci causano le nostre miserie personali: «Serenità. Perché dovresti innervosirti se, innervosendoti, offendi Dio, infastidisci il prossimo, passi tu stesso un brutto quarto d’ora, e non sistemi le cose..., e alla fine sei costretto a rabbonirti?»[4]. Inoltre, quando non lasciamo che Dio ci perdoni, finiamo col molestare il prossimo: in questo consiste l’ira. Secondo ciò che dice il Papa Francesco, possiamo pregare il Paraclito di aiutarci: «Spirito Santo, vento impetuoso di Dio, soffia su di noi. Soffia nei nostri cuori e facci respirare la tenerezza del Padre. Soffia sulla Chiesa e spingila fino agli estremi confini perché, portata da te, non porti nient’altro che te. Soffia sul mondo il tepore delicato della pace e il fresco ristoro della speranza. Vieni, Spirito Santo, cambiaci dentro e rinnova la faccia della terra»[5].

San Tommaso diceva che «le beatitudini non sono che atti virtuosi e i frutti non sono che le gioie nate da codesti atti. Perciò niente impedisce di considerare la mansuetudine virtù, beatitudine e frutto»[6]. Pietro ha compiuto ciò che Gesù è tornato a ripetergli dopo questo colloquio: «Seguimi» (Gv 21, 19). A nostra Madre, sposa dello Spirito Santo e la più beata fra le donne, chiediamo di aiutarci a godere della mansuetudine seguendo Gesù e di spingerci a seminare pace e gioia fino al più lontano angolo della terra.


[1] San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 157, a. 1.

[2] San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 157, a. 4.

[3] San Josemaría, Notiziario sul processo di beatificazione del Servo di Dio, n. 1, p. 5.

[4] San Josemaría, Apuntes íntimos, Quaderno VI, n. 881 (28-XI-1932).

[5] Papa Francesco, Omelia di Pentecoste 2018, 20-V-2018.

[6] San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 157, a. 2.