Meditazioni: Sabato della 7ª settimana di Pasqua

Riflessione per meditare il sabato della settima settimana di Pasqua. I temi proposti sono: L’amore è un frutto dello Spirito Santo; Nell’amore l’iniziativa è di Dio; Imparare a lasciarci amare da Dio.

L’amore è un frutto dello Spirito Santo

«Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere» (Gv 21, 25). L’amore di Dio è ineffabile, non possiamo afferrarlo né racchiuderlo nei nostri schemi. Non è contenibile in un libro, né in una formula, ne vi sono parole per spiegarlo. L’amore è uno dei frutti dello Spirito Santo e proprio a lui possiamo chiedere, alla vigilia della sua festa, di parlarci dell’amore. Sarà lui a ricordarci che «l’opera di Cristo è opera di amore: amore di lui che si è donato e amore del Padre che lo ha dato»[1]. Amore è un termine talmente utilizzato che può aver perduto una parte della sua forza. Tuttavia egli saprà toccare i tasti della nostra anima facendola vibrare con l’unico amore che non conosce tradimento né stanchezza.

«Chi può spiegare adeguatamente il vincolo della carità di Dio? Chi è capace di esprimere la grandezza della sua bellezza? L’altezza ove conduce la carità è ineffabile. La carità ci unisce a Dio: “La carità copre la moltitudine dei peccati”. La carità tutto soffre, tutto sopporta. Nulla di banale, nulla di superbo nella carità. La carità non ha scisma, la carità non si ribella, la carità tutto compie nella concordia. Nella carità sono perfetti tutti gli eletti di Dio. Senza carità nulla è accetto a Dio. Nella carità il Signore ci ha presi a sé. Per la carità avuta per noi, Gesù Cristo nostro Signore, nella volontà di Dio, ha dato per noi il suo sangue, la sua carne per la nostra carne e la sua anima per la nostra anima. Vedete, carissimi, come è cosa grande e meravigliosa la carità, e della sua perfezione non c’è commento. Chi è capace di trovarsi in essa se non quelli che Dio ha reso degni?»[2].

Ben conoscendo la nostra inettitudine, ricorriamo al Paraclito perché ci faccia pregustare e godere l’amore che Dio vuole donarci. «Lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio» (1 Cor 2, 10). Quali sono queste profondità che il nostro cuore è chiamato a godere? «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv 15, 9). Non vogliamo uscire da questo luogo, perdere neppure per un istante la concentrazione con altre cose. Quante volte abbiamo cercato dei surrogati o abbiamo pensato di non aver bisogno di questo affetto. Quante volte, come il figlio prodigo e suo fratello, abbiamo sognato una felicità lontano da nostro padre e dalla nostra casa.

Nell’amore l’iniziativa è di Dio

«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4, 10). Mons. Ocáriz ci raccomanda: «prima di ogni altra cosa, pensare a ciò che Dio ha fatto e fa per me. Non pretendere di basare la sicurezza in ciò che io ho fatto e faccio per Dio, perché sarà sempre poco (il mio) e ciò che potrò fare, in realtà, sarà – quello stesso – dono di Dio»[3]. Per noi è molto facile cadere istintivamente nella tentazione di pensare e praticare questa relazione come se fossimo noi i protagonisti. Dio vuole che lo siamo, ma in un modo diverso, più sublime. L’amore ha una dinamica molto diversa. «Dal Signore proviene tutto ciò che è buono e, senza di Lui, non solo un poco, ma assolutamente nulla tu puoi cominciare e perfezionare»[4]. Perciò in questo aspetto, più che in nessun altro, è importante la guida di un maestro che ci consigli. San Josemaría sapeva perfettamente che voleva affidarsi allo Spirito Santo: «Sento l’Amore dentro di me: e voglio frequentarlo, essere suo amico, suo confidente..., facilitargli il lavoro di pulire, di estirpare, di bruciare... Non saprò farlo, però: Egli mi darà le forze, farà tutto Lui, se io voglio..., ma certo che voglio! Ospite divino, Maestro, Luce, Guida, Amore: fa’ che il povero asinello sappia accoglierti, ascoltare le tue lezioni, infiammarsi, seguirti e amarti. Proposito: frequentare, se possibile senza interruzioni, l’amicizia e il rapporto amoroso e docile dello Spirito Santo. Veni Sancte Spiritus!»[5].

Magari noi volessimo fare questo stesso proposito e ci decidessimo a lasciargli fortificare il nostro cuore contro le insidie del nemico. Un luogo privilegiato per sfuggire alle sue menzogne è la confessione: «Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità; lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. [...] Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona»[6].

Imparare a lasciarci amare da Dio

Anche se non lo facciamo in modo consapevole, può darsi che spesso ci concentriamo di più su ciò che diamo noi anziché su ciò che riceviamo. E questa prospettiva ci limita perché senza volere ci mette di fronte a Dio, e non al suo fianco. Il Papa Francesco ci spiega come capovolgere questa impostazione: «È importante credere che Dio è dono, che non si comporta prendendo, ma donando. Perché è importante? Perché da come intendiamo Dio dipende il nostro modo di essere credenti. Se abbiamo in mente un Dio che prende, che si impone, anche noi vorremo prendere e imporci: occupare spazi, reclamare rilevanza, cercare potere. Ma se abbiamo nel cuore Dio che è dono, tutto cambia. Se ci rendiamo conto che quello che siamo è dono suo, dono gratuito e immeritato, allora anche noi vorremo fare della stessa vita un dono. [...] Lo Spirito, memoria vivente della Chiesa, ci ricorda che siamo nati da un dono e che cresciamo donandoci; non conservandoci, ma donandoci senza riserve»[7].

Altre volte ci concentriamo su ciò che riceviamo, ma esigendolo. È ancora Papa Francesco che ci incoraggia: «Guardiamoci dentro e chiediamoci che cosa ci ostacola nel donarci. Ci sono, diciamo, tre nemici del dono, i principali: tre, sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo. Il narcisismo fa idolatrare sé stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti. Il narcisista pensa: “La vita è bella se io ci guadagno”. E così arriva a dire: “Perché dovrei donarmi agli altri?”. [...] Ma anche il secondo nemico, il vittimismo, è pericoloso. Il vittimista si lamenta ogni giorno del prossimo: “Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!”. Quante volte abbiamo sentito queste lamentele! E il suo cuore si chiude, mentre si domanda: “Perché gli altri non si donano a me?”. [...] Infine c’è il pessimismo. Qui la litania quotidiana è: “Non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa…”. Il pessimista se la prende col mondo, ma resta inerte e pensa: “Intanto, a che serve donarsi? È inutile”»[8].

A Maria chiediamo di insegnarci a ricevere l’affetto divino, come ha fatto lei. «Le tue cadute involontarie – cadute di bambino – fanno sì che tuo Padre-Dio ti dedichi più attenzione e che tua Madre, Maria, non ti lasci dalla sua mano amorosa: approfittane, e quando ogni giorno il Signore ti rialza da terra, abbraccialo con tutte le tue forze e metti il tuo povero capo sul suo petto aperto, finché i palpiti del suo Cuore amabilissimo ti facciano impazzire»[9].


[1] Benedetto XVI, Omelia di Pentecoste 2007, 13-V-2007.

[2] San Clemente Romano, Lettera ai Corinzi.

[3] F. Ocáriz, A la luz del Evangelio. Textos breves para la meditación, Palabra, Madrid 2020, p. 40.

[4] San Bernardo, In festivitate Pentecostes sermo 2, 6.

[5] San Josemaría, Apuntes íntimos, n. 864 (8-XI-1932).

[6] Papa Francesco, lett. ap. Patris corde, n. 2, 8-XII-2020.

[7] Papa Francesco, Omelia di Pentecoste 2020, 31-V-2020.

[8]Idem.

[9] San Josemaría, Cammino, n. 884.