Meditazioni: 3ª domenica di san Giuseppe

Terza riflessione per meditare nelle sette domeniche di san Giuseppe. I temi proposti sono: San Giuseppe insegna a Gesù; Giuseppe trasmette a Gesù la legge di Mosè; Giuseppe sperimenta la tenerezza di Dio.

San Giuseppe insegna a Gesù

Una delle più grandi gioie che ci offre la vita, è veder crescere i nostri figli.

Questa stessa gioia la sperimentò san Giuseppe, vedendo che «Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Il primo compito di un padre è preparare i figli, in modo tale che essi, a loro volta, possano formare e portare avanti la loro famiglia. Giuseppe, con affettuosa tenerezza, guidò Gesù nei suoi primi passi sulla terra. Per questo, nella vita occulta e nella vita pubblica, «Gesù dovette somigliargli in molti aspetti: nel modo di lavorare, nei lineamenti del suo carattere, nell'accento. Il realismo di Gesù, il suo spirito di osservazione, il modo di sedere a mensa e spezzare il pane, il gusto per il discorso concreto, prendendo spunto dalle cose della vita ordinaria: tutto ciò è il riflesso dell'infanzia e della giovinezza di Gesù, e quindi pure il riflesso della dimestichezza con Giuseppe»[1].

«Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9)[2] . Proprio questo è stato il suo modo di essere padre di Gesù. Probabilmente, il santo patriarca non era più con il figlio quando cominciarono le manifestazioni dell’arrivo del Regno di Dio: quando veniva seguito da numerosi discepoli, oppure nelle numerose guarigioni o quando le moltitudini ascoltavano le parole uscire dalla bocca di colui che aveva visto crescere. San Giuseppe, al contrario, è sempre nascosto nella discrezione della vita domestica, nella cura dell’educazione familiare e, però, in tale ambito, è così fecondo e pieno di amore. I frutti di tutti quegli anni non tardarono ad arrivare: «Questo Gesù, che è uomo, che parla con l'inflessione di una determinata regione di Israele, che assomiglia a un artigiano di nome Giuseppe, costui è il Figlio di Dio. E chi può insegnare qualcosa a chi è Dio? Ma Gesù è realmente uomo e vive normalmente: prima come bambino, poi come ragazzo che comincia a dare una mano nella bottega di Giuseppe, finalmente come uomo maturo, nella pienezza dell'età»[3].

In quel Figlio, cresciuto nella sua casa e che tanto gli somiglia, continua a vivere la tenerezza di Giuseppe.

Giuseppe trasmette a Gesù la legge di Mosè

Maria e il suo sposo anche se vedevano che Gesù era un bambino come gli altri, però, sapevano che tutto il mistero di Dio era in lui.

Proprio a loro venne affidata la responsabilità di dare il nome di “Gesù” alla seconda persona incarnata della Santissima Trinità e, anche, di educarlo secondo le tradizioni del popolo eletto.

Il profeta scrive: «Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio (...) ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (Os 11, 1-4). Se la tradizione cristiana, in questo oracolo ha visto un riferimento a Cristo, possiamo anche vederci un riferimento a Maria e a Giuseppe. L’amore di Dio per Israele è simile all’amore di un padre e di una madre per il loro figlio. Certamente Dio vegliava sul suo Figlio, ma lo faceva per mezzo della Sacra Famiglia, così come Dio ci dà i suoi insegnamenti per mezzo di uomini.

In Israele, allora, un bambino passava la gran parte del tempo giocando con i suoi coetanei, sulla strada o nella piazza del villaggio. «Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze» (Zc 8,5), dice il profeta, e il Signore stesso parla dei bambini seduti sulle piazze (cfr. Mt 11,16).

A Nazaret si viveva all’aria aperta e, in quell’ambiente, i genitori davano ai loro figli i primi rudimenti della dottrina della fede: «Ascolta, figlio mio, l'istruzione di tuo padre e non disprezzare l'insegnamento di tua madre, perché saranno corona graziosa sul tuo capo e monili per il tuo collo» (Prv 1,8).

Gesù Bambino portava nel suo cuore gli insegnamenti di Giuseppe e i consigli di Maria. Gli insegnamenti che san Giuseppe dava a suo figlio non sono altro che quella che noi chiamiamo “catechesi familiare”, cioè la trasmissione della fede, sia con le parole che con la stessa vita. Come dice papa Francesco: «la famiglia deve continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo»[4].

E’ in questo clima familiare che Dio, in maniera impercettibile, comincia a far parte della vita dei bambini; proprio quelle prime preghiere e quelle manifestazioni di pietà che abbiamo ereditato dai nostri genitori, rimangono, per sempre, nel profondo della nostra anima.

Giuseppe sperimenta la tenerezza di Dio

Santa Maria e san Giuseppe, mentre trasmettevano a Cristo le tradizioni e le leggi di Mosè, andavano scoprendo il mistero di Dio nel suo Figlio e, si rendevano conto di imparare loro stessi molto da Gesù. San Luca ripete per due volte che Maria conservava e meditava nel suo cuore i fatti e le parole di suo Figlio.

Quanto è importante saper guardare e saper ascoltare, come hanno fatto la Vergine santissima e il suo sposo Giuseppe!

Quante volte, osservando Gesù, il santo patriarca si sarà commosso, pensando: quanto è buono Dio! Quanto amabile e tenero! Quanto paziente e vicino a noi!

Caratteristiche fondamentali di ogni padre e, in genere, di ogni maestro, sono la pazienza e la comprensione, specialmente di fronte ai propri difetti e a quelli degli altri; per questo, «dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza, Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità»[5]. Al contrario, dobbiamo scoprire in noi e negli altri, una volta e un’altra ancora, il lato positivo, perchè così Dio è più vicino alla nostra vita: «La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi»[6]. Di fronte alla debolezza, non c’è nulla che spinga di più a migliorare i propri comportamenti, di una parola affettuosa, di incoraggiamento, di comprensione.

San Giuseppe imparò da suo figlio, che era Dio, a guardare il mondo con compassione e tenerezza. Diceva san Josemarìa: «Gesù amava alla follia Maria perchè era sua Madre, e aveva un affetto grande per Giuseppe. Perciò dobbiamo avere una devozione grande a san Giuseppe, una devozione tenera, delicata, affettuosa, bella. Lo chiamiamo Padre e Signore nostro e, da figli, accorriamo a Lui, sempre. E, per suo tramite, a Maria, per parlare con loro.

Avete visto quelle immagini della Sacra Famiglia, con il Bambino al centro, la Vergine alla destra e san Giuseppe a sinistra, mentre si tengono per mano?

Bene, questa volta saremo noi a stringere le mani di Maria e Giuseppe, così che ci portino da Gesù»[7].


[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 55.

[2] Francisco, Lettera Apostolica Patris corde, n. 2.

[3] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 55.

[4] Papa Francesco, Esortazione Apostolica Amoris laetitia, n. 287.

[5] Papa Francesco, Lettera ApostolicaPatris corde, n. 2.

[6] Ibidem

[7] San Josemaría, Appunti di un incontro familiare, 27-IX-1973.c