La “Domenica della Parola di Dio” e la sua dimensione liturgica

Nella terza domenica del tempo ordinario la Chiesa celebra la “Domenica della Parola di Dio”. Papa Francesco l’ha istituita per “far crescere nel popolo di Dio la familiarità religiosa e assidua con la Sacra Scrittura”. Questo articolo chiarisce il rapporto esistente tra la Parola di Dio e la liturgia.

Un giovane chiamato Antonio sa che Dio vuole qualcosa da lui, ma non riesce a immaginare di che si tratta. Antonio legge le Scritture, le medita, ma si rende conto della sua chiamata soltanto quando, entrando in chiesa, ascolta la proclamazione del Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mt 19, 21). Come se queste parole siano state dette soltanto a lui, Antonio esce immediatamente, distribuisce al popolo la proprietà ereditate dalla sua famiglia, vende tutti i beni mobili e regala ai poveri la grande somma di denaro che possiede. Poco dopo, in un’altra assemblea liturgica, ascolta le parole del Signore: “Non affannatevi per il domani” (Mt 6, 34). Non potendo resistere oltre, esce di nuovo e regala ciò che ancora gli rimane (cfr. Atanasio, Vita di Antonio, 2).

La Parola di Dio è dinamica, attiva, ci mette in movimento

La Parola di Dio, che “penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito” (Eb 4, 12), è dinamica, attiva, ci mette in movimento. Nel corso dei secoli la vita dei santi dimostra che esiste un ambito privilegiato in cui la Parola di Dio esercita la sua potenza. Questo ambito è la liturgia. Infatti, «considerando la Chiesa come “casa della Parola”, si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo, infatti, l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde» (Verbum Domini, 52).

Perché è un ambito privilegiato?

Con la sua Parola il Signore può toccare le profondità della nostra anima in qualunque momento o circostanza. Tuttavia, coloro che osservano la storia della salvezza scopriranno situazioni e contesti particolari che costituiscono una sorta di grammatica con la quale Dio articola il suo dialogo con noi. Se pensiamo al Sinai, vedremo un’assemblea riunita per ascoltare la Parola e suggellare l’Alleanza. Dopo aver ascoltato, attraverso Mosè, le parole del Signore, tutto il popolo rispose ad una voce: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19, 8; 24, 3-8). Uno schema rituale simile noi lo troviamo nel Secondo Libro dei Re (2 Re 23, 1-3) e nel Libro di Neemia (Nee 10, 30).

Quando la Chiesa, il nuovo Israele, si rivelerà al mondo, insegnerà agli uomini la stessa grammatica che aveva imparato dai suoi padri. Perciò il giorno di Pentecoste “quelli che accolsero la parola di Pietro furono battezzati” (At 2, 41). La sequenza “proclamazione della Parola – obbedienza alla Parola” definisce il DNA delle azioni liturgiche. Come ci ricorda il Concilio Vaticano II, “rito e parola sono intimamente connessi” (Sacrosanctum Concilium, 35). E ancora, nel caso paradigmatico dell’Eucaristia, “la liturgia della parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto” (Sacrosanctum Concilium, 56).

L’iniziazione cristiana ha un dinamismo che rivitalizza la Chiesa dall’interno. I catecumeni che volevano diventare cristiani ricevevano per prima cosa l’annuncio della fede, poi dovevano interiorizzare la Parola, e alla fine erano inviati a una missione evangelizzatrice di scala universale. In questa sequenza la proclamazione liturgica della Parola si colloca nel secondo momento, quello della interiorizzazione. Condivide con il primo la dimensione dell’annuncio, poiché nella liturgia la Chiesa stessa si mette all’ascolto delle parole di Cristo, vero esegeta del Padre. Condivide con il terzo momento la dimensione della missione, perché la Parola non si interiorizza né individualmente né soltanto per la salvezza personale, ma rivela i suoi segreti quando è accolta nella comunione ecclesiale (cfr. Dei Verbum, 12; Verbum Domini, 29-30) ed è capace di aprire nei nostri cuori la via della condivisione e della solidarietà (cfr. Aperuit illis, 13).

La parola viva nella liturgia, la proclamazione della Parola Trinitaria

L’assemblea liturgica è il contesto per eccellenza in cui la Scrittura diventa Parola viva. Il cristianesimo non è la religione del libro, ma la religione della Parola di Dio, di una Parola che “non è una parola scritta e muta, ma Parola incarnata e viva” (San Bernardo di Chiaravalle, Omelia super Missus est, 4, 11). Questo fatto spiega perché la parola di Dio non si trova principalmente in un papiro o in una edizione a stampa. Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, “la Sacra Scrittura è scritta nel cuore della Chiesa prima che su strumenti materiali” (CCC, 113).

L’assemblea liturgica è il contesto per eccellenza in cui la Scrittura diventa Parola viva

Nello stesso tempo, la Chiesa non ha ricevuto la parola per tenerla nascosta nel suo cuore. Grazie alla mediazione umana ed ecclesiale, la Parola risuona nell’aula liturgica come un evento che può cambiare i nostri cuori. Nella proclamazione del Vangelo da parte del vescovo e poi nell’omelia liturgica abbiamo sia la mediazione di un corpo, di una bocca, di un respiro rigenerati nel Battesimo, sia la mediazione qualificata di chi ha ricevuto la pienezza del sacramento dell’Ordine e che, dunque, può essere garante qui e ora della presenza di Cristo che parla con la sua Sposa.

In questo senso, notiamo la coerenza della logica secondo la quale Dio ha rivelato il suo progetto di salvezza. Nel corso della storia Dio ha parlato “per mezzo di uomini alla maniera umana” (Dei Verbum, 12). Questa stessa logica conduce all’incarnazione del Verbo e più ancora al prolungamento della sua presenza tra gli uomini attraverso la mediazione di altri esseri umani. L’adattamento di Dio al nostro linguaggio, alla nostra piccolezza, la misericordia incredibile che dona la Parola della vita attraverso creature limitate e limitanti, è l’evento che contempliamo ogni volta che risuona il “Lode a Te, o Cristo”. Non diciamo: “Grazie diacono, grazie signor vescovo per averci letto un testo così illuminante”. Acclamare “Lode a Te, o Cristo” significa, invece, che crediamo, confessiamo e annunciamo che Cristo è qui presente e che, attraverso le labbra della Chiesa, ci rivela il vero volto di suo Padre.

D’altra parte, l’acclamazione “Rendiamo grazie a Dio” dopo le letture ci può ricordare che il nostro interlocutore non è soltanto Gesù, ma anche Dio Padre, perché attraverso l’annuncio liturgico “il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro” (Dei Verbum, 21). Imparare ad ascoltare la “Parola del Signore” guardando al Padre ci mette nelle condizioni di capire che Egli non smette di parlarci del suo Figlio amato, perché, attraverso tutte le parole della Sacra Scrittura, il Padre “non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente” (CCC, 102).

è lo Spirito che rende presente il Verbo di Dio nelle parole umane

Perché questo dialogo avvenga, tuttavia, è necessaria l’azione dello Spirito Santo (cfr. Aperuit illis, 10.12). Questa azione prosegue la logica della Rivelazione. Come nel caso dei profeti, a ancor più nel caso dell’Incarnazione, è lo Spirito che rende presente il Verbo di Dio nelle parole umane: Egli “rende presente” la Parola. Dato che lo Spirito è la memoria viva della Chiesa (cfr. Gv 14, 26), egli è l’unico capace di dare a coloro che annunciano la Parola e a coloro che l’ascoltano, la capacità di diventare una risonanza vive dell’evento salvifico. In questo senso, l’invito “il Signore sia con voi” che precede il Vangelo, o la ricca varietà di preghiere con le quali i ministri della Parola si sono preparati nel corso della storia, costituiscono una chiamata ad attualizzare la presenza dello Spirito in ognuno di noi, sia come frutto del nostro Battesimo, sia come frutto del sacramento dell’Ordine. Senza l’azione dello Spirito, quindi, non è possibile né la mediazione umana della Parola di Dio nella liturgia, né l’atto di fede che l’accoglie, né la sua intelligenza spirituale durante l’omelia.

È stato detto che la Parola di Dio compie un viaggio all’interno di noi. Durante la liturgia la Parola risuona nello spazio celebrativo, incontra i nostri corpi e attraverso le orecchie passa nei nostri cuori. Se il nostro cuore si apre allo Spirito e accoglie la Parola con fede, allora essa pulisce, illumina, ordina e comincia ad abitare in noi: passa nel nostro corpo, nelle nostre mani, nei nostri occhi. Questo è il processo che la Domenica della Parola vuole che ricordiamo perché, come nel caso di Maria, il Verbo di Dio sta desiderando di “farsi carne” in ciascuno di noi.

Juan Rego


Adattamento dell’articolo originale, pubblicato su Rogate ergo 83/1, 2020. 11-15.