Meditazioni: Martedì della 7ª settimana di Pasqua

Riflessione per meditare il martedì della settima settimana di Pasqua. I temi proposti sono: Gesù mostra l’intimità di Dio; I frutti dello Spirito Santo; Le manifestazioni del frutto della bontà.

Gesù mostra l’intimità di Dio

Il discorso di commiato di Gesù nell’Ultima Cena si conclude con la preghiera sacerdotale, una preghiera che il Maestro rivolse al Padre prima di avviarsi verso la sua passione e la sua morte: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato» (Gv 17, 1-2).

Gesù chiede la gloria della sua Umanità santissima al fine di darci la vita eterna: «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3). La conoscenza di Dio che Gesù ci chiede è, nello stesso tempo, intelligenza e amore: «siamo stati chiamati a penetrare nell’intimità divina, a conoscere e ad amare Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo e, nella Trinità e Unità di Dio, tutti gli angeli e tutti gli uomini»[1].

Gesù ci ha rivelato il Padre, ci ha comunicato la sua volontà salvifica, ci ha svelato i segreti della vita intratrinitaria e ci ha dato la fede indispensabile per poter custodire i suoi insegnamenti: «Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato» (Gv 17, 6-8).

«Ho manifestato il tuo nome», «le parole che hai dato a me io le ho date a loro». Con il suo comportamento umano Gesù ci ha mostrato Dio: «Ogni azione di Cristo ha un valore trascendente: ci fa conoscere il modo di essere di Dio, ci invita a credere nell’amore di Dio, che ci ha creati e vuole portarci nella sua intimità»[2].

I frutti dello Spirito Santo

Gesù anticipa i festeggiamenti della sua vittoria perché è sul punto di glorificare il Padre e consuma la sua missione morendo sulla croce. Con la sua risurrezione ritornerà alla vita gloriosa accanto al Padre, come prima della creazione del mondo: «Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 4-5).

Il Concilio Vaticano II si basa su queste parole del Signore per parlare del Paraclito come frutto della croce: «Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra, il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero così per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito. Questi è lo Spirito che dà la vita, o la sorgente di acqua zampillante per la vita eterna [...]. Egli guida la Chiesa [...] e la abbellisce dei suoi frutti»[3].

San Paolo annuncia alcuni dei numerosi frutti con i quali lo Spirito Santo perfeziona i nostri atti (Gal 5, 22-23). Il Catechismo della Chiesa li cita in base alla versione della Vulgata: «I frutti dello Spirito sono perfezioni che lo Spirito Santo plasma in noi come primizie della gloria eterna. La Tradizione della Chiesa ne enumera dodici: amore, gioia, pace, pazienza, longanimità, bontà, benignità, mansuetudine, fedeltà, modestia, continenza, castità» (n. 1832).

Nell’Enciclica Fratelli tutti il Papa Francesco invita a «promuovere il bene morale» e spiega alcune manifestazioni del frutto della bontà: «Il desiderio e la ricerca del bene degli altri e di tutta l’umanità implicano anche di adoperarsi per una maturazione delle persone e delle società nei diversi valori morali che conducono a uno sviluppo umano integrale. Nel Nuovo Testamento si menziona un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5, 22) definito con il termine greco agathosyne. Indica l’attaccamento al bene, la ricerca del bene. Più ancora, è procurare ciò che vale di più, il meglio per gli altri: la loro maturazione, la loro crescita in una vita sana, l’esercizio dei valori e non solo il benessere materiale»[4].

Le manifestazioni del frutto della bontà

La bontà, che è il frutto dello Spirito Santo che ci induce a promuovere il bene morale, ha molte manifestazioni nella nostra vita ordinaria. Alla fin fine, l’obiettivo di questo frutto si rende evidente nella ricerca della santità, che è il più grande bene al quale possiamo tendere. Il Paraclito svolge un ruolo da protagonista in questa crescita della vita cristiana in noi, perché ci guida, ci conduce e ci rivela Gesù Cristo come il segreto della sapienza divina (1 Cor 2, 10). Inoltre riversa nei nostri cuori l’amore di Dio (Rm 5, 5) ed è il garante della nostra libertà di figli di Dio: «Non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4, 7).

San Josemaría spiegava che, nel cammino verso la santità, arriva un momento in cui il cuore sente il bisogno «di distinguere le Persone divine e di adorarle a una a una. In un certo senso, questa scoperta che l’anima fa nella vita soprannaturale è simile a quella di un infante che apre gli occhi all’esistenza. L’anima si intrattiene amorosamente con il Padre, con il Figlio, con lo Spirito Santo; e si sottomette agevolmente all’attività del Paraclito vivificante, che ci viene dato senza nostro merito: i doni e le virtù soprannaturali!»[5].

Approfittiamo dell’orazione per implorare dal Paraclito che ci colmi dei suoi doni e dei suoi frutti, e in concreto della bontà. Il Papa Francesco ha scritto che «c’è un’espressione latina simile: bene-volentia, cioè l’atteggiamento di volere il bene dell’altro. È un forte desiderio del bene, un’inclinazione verso tutto ciò che è buono ed eccellente, che ci spinge a colmare la vita degli altri di cose belle, sublimi, edificanti»[6]. Lo Spirito Santo ci spinge a cercare con i nostri atti il bene degli altri, a volere la loro santità, ad agire con misericordia. Nel nostro dialogo con Dio presentiamogli queste persone che Egli stesso ci ha raccomandato e che debbono essere le prime beneficiarie del nostro amore fraterno.

Chiediamo questo dono al Signore: «Gesù, fa’ che nessuno ci sembri senza importanza. Gesù fa’ che nessun problema altrui ci lasci indifferenti. Quanto meno quelli dei miei fratelli e delle mie sorelle, quelli delle persone che vivono o lavorano con me. Alcuni di noi eravamo presenti quando san Josemaría fece questa domanda: “Sapete perché vi voglio tanto bene?”. E dava questa risposta: “Perché vedo ribollire in voi il Sangue di Cristo”. Ecco il segreto. Vedere Gesù nei nostri genitori, nei nostri fratelli, nei nostri amici, nei nostri colleghi di lavoro o di studio. Vedere Cristo in quelli che hanno più bisogno, nei malati, in quelli che convivono con ferite nel corpo e nello spirito, in quelli che hanno perduto il lavoro o subiscono le conseguenze di un rovescio di famiglia. Santa Maria, mostraci Gesù negli altri!»[7].


[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 133.

[2] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 109.

[3] Concilio Vaticano II, Lumen gentium, n. 4.

[4] Papa Francesco, Fratelli tutti, n. 112.

[5] San Josemaría, Amici di Dio, n. 306.

[6] Papa Francesco, Fratelli tutti, n. 112.

[7] Fernando Ocáriz, A la luz del Evangelio, Palabra, 2020.