Meditazioni: Lunedì della 27ª settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel lunedì della 27ª settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: La carità ci apre gli occhi; Gesù e i samaritani; Amare con le opere.

- La carità ci apre gli occhi

- Gesù e i samaritani

- Amare con le opere


UN DOTTORE DELLA LEGGE propone a Gesù una questione sulla relazione tra la vita eterna e l’amore a Dio e al prossimo. Sa bene che la legge di Mosè comanda quest’ultimo, ma era in corso una discussione su chi meritava di essere considerato «prossimo» e se quella distinzione coincideva con l’appartenenza al popolo eletto. Gesù approfitta di questo dialogo per parlare di un amore che non conosce distinzioni, e lo fa attraverso la parabola del buon samaritano.

La storia comincia con un uomo che, mentre scendeva da Gerusalemme a Gerico, cade nelle mani di alcuni briganti che poi lo abbandonano mezzo morto. Quando un sacerdote e un levita lo scorgono nella loro strada, proseguono senza fermarsi, forse per non contaminarsi con il suo sangue; entrambi antepongono questa norma, vincolata al culto, al grande comandamento di Dio, che anzitutto vuole misericordia e non sacrificio (cfr. Mt 9, 13).

Si può avere l’impressione che, nell’intimo di quel sacerdote o di quel levita, questa norma e l’assistenza logica a un ferito fossero realtà inconciliabili. Potrebbero aver pensato: «O mi occupo del culto a Dio oppure mi occupo di questa persona». Eppure, quando permettiamo che l’amore del Signore o agli altri diano forma alla nostra vita, questi dilemmi scompaiono: «La carità, in verità, ci svuota del nostro egoismo; abbatte i muri del nostro isolamento; apre gli occhi e fa scoprire il prossimo che ci è vicino, colui che ci è lontano e l’umanità intera»[1]. In definitiva, ci fa vedere che proprio assistendo quella persona diamo culto a Dio: «Se io non mi avvicino a quell’uomo, a quella donna, a quel bambino, a quell’anziano o a quell’anziana che soffre, non mi avvicino a Dio»[2].


GESÙ INVITA IL DOTTORE della legge a uscire dai suoi schemi, e presenta come eroe della parabola un uomo della Samaria. I samaritani erano un gruppo distinto dalla religione ufficiale, lontani dalla purezza che circondava il popolo eletto, specialmente quelli che rendevano culto nel tempio. Le azioni con le quali il samaritano entra in scena sono le stesse degli altri due viaggiatori: passa da quella strada e vede l’uomo gravemente ferito. La sua reazione, però, è totalmente diversa: «ne ebbe compassione» (Lc 10, 33) nel profondo dell’anima[3].

Forse quelli che ascoltavano la parabola si meravigliarono all’udire che era stato un samaritano a sentire compassione; probabilmente credevano di poter prevedere come si sarebbe comportato uno di loro in quella situazione. Però Gesù vuole dimostrare che non dobbiamo ridurre la realtà ai nostri modelli personali né dobbiamo etichettare gli altri. Infatti il Vangelo ci presenta almeno due interventi di Cristo con samaritani: un lebbroso che è modello di gratitudine a Dio (cfr. Lc 17, 11-19) e una donna che, avendo incontrato l’acqua viva di Gesù, diventa un apostolo (cfr. Gv 4, 7-30).

Quando guardiamo gli altri senza pregiudizi, impariamo ad amarli così come sono, oltre che arricchirci dei loro doni. Imitiamo così l’amore di Cristo, che si ferma sempre a considerare tutto il bene di cui siamo capaci. Come diceva san Josemaría, «La fede – la grandezza del dono dell’amore di Dio – ha fatto sì che si rimpiccioliscano fino a scomparire tutte le differenze, tutte le barriere: non c’è più né ebreo, né greco; né schiavo, né libero; né uomo né donna, “perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Questo sapersi e amarsi di fatto come fratelli, al di sopra delle differenze di razza, di condizione sociale, di cultura, di ideologia, è essenziale al cristianesimo»[4].


LA REAZIONE DEL SAMARITANO del racconto non si limita soltanto a un buon sentimento di compassione. Al contrario, si attiva immediatamente: «Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla propria cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”» (Lc 10, 34-35).

Il samaritano ci dimostra che l’amore si manifesta nelle cose concrete, nei grandi e nei piccoli gesti. Attraverso di essi noi esprimiamo la nostra volontà di aiutare nel caso che l’altro abbia qualche necessità e di rendere gradevole la vita a quelli che stanno intorno a noi. San Josemaría ci invitava ad avere un amore concreto, che non si limitasse alle parole, ma prendesse corpo e divenisse tangibile nelle opere: «Raccontano di un’anima che, nel dire al Signore nell’orazione “Gesù, ti amo”, sentì questa risposta dal cielo: “Le opere sono amore, non i bei ragionamenti”. Pensa se non meriti forse anche tu quest’affettuoso rimprovero»[5].

Terminata la parabola, Gesù fa una domanda al dottore della legge: «Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». E il dottore risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» (Lc 10, 36-37). Possiamo chiedere a Maria che faccia in modo che il nostro cuore sia più sensibile e che ci faccia essere pronti a mettere mano alle opere: solo allora saremo veramente «prossimo».


[1] San Giovanni Paolo II, Messaggio per la Quaresima, 1986.

[2] Papa Francesco, Udienza, 27-IV-2016.

[3] Card. Joseph Ratzinger, Gesù di Nazaret, vol. I, p. 234.

[4] San Josemaría, “Le ricchezze della fede”, 2-XI-1969.

[5] San Josemaría, Cammino, n. 933.