Meditazioni: Giovedì della seconda settimana del Tempo Ordinario

Riflessioni per meditare nel giovedì della seconda settimana del Tempo Ordinario. I temi proposti sono: La chiamata di Dio è universale; Tutti cerchiamo il volto di Gesù; Scoprire la sua presenza nell’ambiente in cui noi viviamo.

- La chiamata di Dio è universale

- Tutti cerchiamo il volto di Gesù

- Scoprire la sua presenza nell’ambiente in cui noi viviamo


Gesù porta diverse volte i suoi apostoli in luoghi appartati per riposare con loro. La predicazione del Vangelo è un lavoro estenuante. Spesso non hanno tempo neppure per mangiare. Tuttavia qualche volta questi tentativi di ritirarsi in cerca di tranquillità non davano buoni risultati perché quelli che cercavano Gesù riuscivano a scoprirli. Ecco come ce ne parla san Marco: «Gesù con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidone, una gran folla, sentendo quanto faceva, andò da lui» (Mc 3, 7-8). È tale l’entusiasmo della gente, che Gesù deve proteggersi per non essere travolto: «Disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero» (Mc 3, 9). La fama del Signore aveva oltrepassato le frontiere: non sono unicamente galilei, suoi compaesani, quelli che lo ascoltano con piacere, ma è gente di tutte le regioni, anche di luoghi molto distanti come Tiro o Sidone. Questo racconto che fa la Scrittura dei luoghi di provenienza della folla è segno e preludio dell’universalità del Vangelo: la chiamata di Dio non riguarda solo pochi, di una data origine geografica, appartenenza culturale o possessori di un preciso bagaglio culturale: la chiamata riguarda l’umanità intera.

La gioia di portare il Vangelo ha spinto molti santi ad attraversare il pianeta da un estremo all’altro. San Josemaría sognava di portare il Vangelo fino all’ultimo angolo della terra. L’evangelizzazione era per lui un «mare senza sponde», un compito che non ha limiti. A tal riguardo gli piaceva utilizzare il mappamondo come motivo decorativo, perché lo aiutava a pregare per la diffusione della fede sia geograficamente che per infiammare altre persone lì dove vivono. «L’universalità della Chiesa attinge quindi all’universalità dell’unico disegno divino di salvezza del mondo. Tale carattere universale emerge con chiarezza il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito ricolma della sua presenza la prima comunità cristiana, perché il Vangelo si estenda a tutte le nazioni e faccia crescere in tutti i popoli l’unico Popolo di Dio. Così, la Chiesa, fin dai suoi inizi [...], abbraccia tutto l’universo. Gli Apostoli rendono testimonianza a Cristo rivolgendosi a uomini provenienti da tutta la terra e ciascuno li comprende come se parlassero nella loro lingua nativa»[1].


In questi primi mesi, accompagnando Gesù, gli apostoli poterono toccare con mano i frutti della loro attività apostolica, constatarono numerose guarigioni e conversioni. Tutti quanti prendono parte, felici, all’entusiasmo che suscita Cristo attorno a sé. Eppure, più avanti, il Signore annuncia loro che non sarà sempre così, poiché saranno sottoposti anche alla prova delle contrarietà: «Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni [...]. Avrete allora occasione di dare testimonianza [...]. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (Lc 21, 12-18). Con il tempo queste parole avranno compimento e i suoi apostoli proveranno sulla propria carne il sapore della sconfitta, almeno apparente; assisteranno con dolore all’abbandono di molti discepoli e anche al tradimento. Tutti dovettero imparare a superare le difficoltà che comportava la predicazione del nome di Gesù. Dio ci chiama «in una dedizione meravigliosa e piena di gioia, pur nelle prove da cui nessuna creatura è immune»[2]. Sia nei momenti di gioia che in quelli di dolore, il discepolo non può dimenticare che sta con Cristo e che questa è la cosa veramente decisiva.

Tutti noi, uomini e donne, consapevolmente o meno, cerchiamo il volto di Gesù. Questa certezza ci spinge a non fermarci quando si presentano gli ostacoli. «È Gesù che cercate quando sognate la felicità – esclamava san Giovanni Paolo II a una moltitudine di giovani arrivati a Roma da tutte le parti del mondo –; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. E' Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna»[3]. Trovare Gesù è un dono più grande di qualunque ostacolo del cammino.


«Aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo» (Mc 3, 10). La gente, che è venuta dai quattro punti cardinali, si accalca intorno al Signore e vuole toccarlo. Questa è una immagine di ciò che vogliono fare i cristiani, soprattutto quando ricevono i sacramenti, ma anche quando fanno un po’ di orazione davanti al tabernacolo, o semplicemente baciando un crocifisso. Cerchiamo questo contatto con Cristo anche quando assistiamo dei malati, dei bisognosi o degli anziani: toccando le loro «piaghe, carezzandole, è possibile adorare Dio vivo in mezzo a noi»[4].

Gesù è la via per la nostra salvezza. La sua umanità attrae il nostro cuore perché sappiamo che non stanca né delude. È vero che la nostra felicità risiede nell’amore, ma anche nelle relazioni umane più profonde possiamo trovare «una certa misura di delusione»[5], perché nessuno ci può dare quello che ci offre Dio in suo Figlio. «Solo Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio e di Maria, la Parola eterna del Padre, che nacque duemila anni fa a Betlemme di Giuda, può soddisfare le aspirazioni più profonde del cuore umano»[6].

Per continuare ad attrarre molti a Cristo dobbiamo avvicinarci a lui nei sacramenti, nell’orazione e nelle altre persone, per ricevere lì la vita soprannaturale. Trovare sempre Gesù ci darà energia e consolazione nel nostro apostolato. «Siccome la fonte e l’origine di tutto l’apostolato della Chiesa è Cristo, mandato dal Padre, è evidente che la fecondità dell’apostolato [...] dipende dalla loro unione vitale con Cristo»[7]. Se scopriamo Cristo in tutto quello che sta attorno a noi, ci colmeremo di fecondità apostolica, magari diversa da quella che immaginavamo. Maria è la testimone felice della marea di persone che vanno dietro a suo Figlio, in cerca di luce e di salvezza. Con l’incoraggiamento di colei che è Regina degli apostoli andremo incontro a Cristo, per poi poterlo condividere con gli altri.


[1] Benedetto XVI, Allocuzione, 24-XI-2012.

[2] San Josemaría, ‘Sacerdote per l’eternità’, in La Chiesa nostra Madre, n. 36.

[3] San Giovanni Paolo II, Discorso, 19-VIII-2000.

[4] Papa Francesco, Omelia, 3-VII-2013.

[5] San Giovanni Paolo II, Discorso, 20-VIII-2000.

[6] Ibid.

[7] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 864.