​Meditazioni: 3 maggio, Santi Filippo e Giacomo

Riflessione per meditare nella festa dei Santi Filippo e Giacomo. I temi proposti sono: La fede autentica è attraente; La magnanimità e l’audacia degli apostoli; Vivere con Cristo ci spinge a darlo agli altri.

La fede autentica è attraente La magnanimità e l’audacia degli apostoli Vivere con Cristo ci spinge a darlo agli altri


La fede autentica è attraente

Le feste degli apostoli sono giorni speciali per tutti quelli che, come noi, desiderano portare il loro Vangelo agli altri. Quel forte impulso che provavano gli apostoli Giacomo e Filippo è lo stesso che faceva scrivere a san Josemaría: «Mentre distribuiva la santa Comunione, quel sacerdote aveva voglia di gridare: ti sto dando la Felicità!»[1]. Noi cristiani proviamo già su questa terra una felicità che non vogliamo nascondere. Viviamo con il Signore: le nostre cose sono le sue, la sua vita è la nostra, e sappiamo che questa è la felicità più grande. La felicità personale che l’incontro con Cristo produsse nella vita degli apostoli fu il motore della loro predicazione, che perciò si estese rapidamente per il mondo.

Gli apostoli si riuniscono spesso intorno e insieme a Gesù; alcune volte nel pendio di un monte, altre volte intorno a una tavola. Fanno insieme lunghe camminate, e sono sempre momenti di intimità, che non si cancelleranno mai dalla loro mente. Anche noi, per sua misericordia, viviamo con Cristo. Quando abbiamo la prova dell’amore che Dio ha per ciascuno di noi, nasce naturalmente il desiderio di «parlare di Lui agli altri, perché per tanta gioia un cuore solo non basta»[2]. Ci rendiamo conto così che ogni azione, ogni attività di un cristiano è apostolato, senza che se lo debba proporre come qualcosa di diverso dalle sue occupazioni; gli altri lo apprezzano nella vicinanza, nella serenità malgrado i dispiaceri, nella gioia. «La Chiesa cresce per attrazione. E la trasmissione della fede avviene con l’esempio, fino al martirio, come è successo con gli apostoli Filippo e Giacomo. Quando si vede questa coerenza di vita tra quello che facciamo e quello che diciamo, viene sempre la curiosità: “Perché costui vive così? Perché conduce una vita di servizio agli altri?”. E questa curiosità è il seme che lo Spirito Santo prende e porta avanti»[3].

Tutta la vita del Signore, le sue parole, le sue opere, il suo passaggio dalla terra, ci trasforma. San Paolo ricorda ai Corinzi che siamo fondati su quel messaggio e che proprio questo ci salva. È un mistero reale e meraviglioso, un ricordo che è più che un ricordo, perché è presente nella nostra vita. «Tommaso d'Aquino, utilizzando la terminologia della tradizione filosofica nella quale si trova, spiega questo così: la fede è un habitus, cioè una costante disposizione dell'animo, grazie a cui la vita eterna prende inizio in noi»[4], una vita che vissero in pienezza gli apostoli che oggi ricordiamo.


La magnanimità e l’audacia degli apostoli

Uno degli aspetti che ci entusiasmano della vita degli apostoli è la loro capacità di sognare in grande e di lanciarsi a lavorare per questo. Non si fermano davanti agli ostacoli perché sanno che Cristo li ha superati e che neppure la morte è più forte del potere divino. Sono pieni di audacia e di magnanimità, virtù che lanciano anche noi verso una missione entusiasmante, nella quale sappiamo di non essere soli, ma possiamo avvalerci della forza di Dio. Nulla può bloccare o spaventare chi vive alla presenza del Signore nella sua quotidianità. «Magnanimità: animo grande, capiente, che fa posto a molti – diceva san Josemaría –. È la forza che ci fa uscire da noi stessi, permettendoci di intraprendere opere grandi, a beneficio di tutti [...]. Il magnanimo impiega senza riserve le sue forze in ciò che vale la pena; è quindi capace di offrire se stesso. Non si accontenta di dare: semplicemente si dà. Così può arrivare a capire qual è la più grande dimostrazione di magnanimità: darsi a Dio»[5]. Nell’iniziare le nostre attività possiamo pensare alla magnanimità degli apostoli Filippo e Giacomo. Filippo parlò con entusiasmo a Natanaele e con semplicità chiese a Gesù di vedere il volto del Padre. Secondo la tradizione, partì per la Frigia per evangelizzare e morire martire. Giacomo, da parte sua, era parente del Signore e fu vescovo di Gerusalemme. Entrambi, colonne della Chiesa nascente, non ebbero remore nel mettere a rischio la loro sicurezza pur di trasmettere il messaggio divino di gioia fin dove fossero portati dallo Spirito Santo.

E per essere audaci «guardiamo a Gesù: la sua compassione profonda non era qualcosa che lo concentrasse su di sé, non era una compassione paralizzante, timida o piena di vergogna come molte volte succede a noi, ma tutto il contrario. Era una compassione che lo spingeva a uscire da sé con forza per annunciare, per inviare in missione, per inviare a guarire e a liberare. Riconosciamo la nostra fragilità ma lasciamo che Gesù la prenda nelle sue mani e ci lanci in missione. Siamo fragili, ma portatori di un tesoro che ci rende grandi e che può rendere più buoni e felici quelli che lo accolgono. L’audacia e il coraggio apostolico sono costitutivi della missione»[6].


Vivere con Cristo ci spinge a darlo agli altri

«Per tutta la terra si diffonde il loro annuncio» (Sal 18, 5) recitiamo con il salmo nella festa di Giacomo e Filippo. Oggi è una buona giornata per coltivare nell’anima il desiderio che la voce di Cristo arrivi in tutti gli angoli del nostro mondo e della nostra storia. Sappiamo che l’apostolato cristiano non è un’attività che si aggiunge alle nostre normali occupazioni: in realtà, se apriamo la nostra vita allo Spirito Santo, se viviamo di fede, siamo apostoli in ogni momento della giornata. «La fede non è soltanto la recita del Credo: la fede si esprime nel Credo ma è di più. Trasmettere la fede non è dare informazioni, ma fondare un cuore nella fede in Gesù Cristo. Trasmettere la fede non si può fare meccanicamente, dicendo: “Prendi questo libretto, studialo e poi ti battezzo”. È un altro il cammino: è trasmettere quello che noi stessi abbiamo ricevuto. Questa è la sfida di un cristiano: essere fecondo nella trasmissione della fede. Ma è anche la sfida della Chiesa: essere madre feconda, partorire dei figli nella fede»[7].

«Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nazaret» (Gv 1, 45), disse Filippo al suo amico Natanaele. L’apostolo Giacomo il Minore, da parte sua si domandava: «A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?» (Gc 2, 14). In questi due brani è condensato tutto un percorso cristiano: conoscere sempre più Cristo, vivere accanto a lui, perché proprio questa è la forza che ci spingerà a dare testimonianza nel nostro ambiente; l’amicizia con Gesù ci spinge ad aiutare quelli che hanno bisogno e a voler portare a tutti questa gioia soprannaturale. Possiamo chiedere al Signore che ci conceda quello stesso entusiasmo radicato nella fede che ebbero gli apostoli. Noi, come loro, vogliamo proclamare con la vita intera che nulla più di Gesù Cristo può riempire il cuore. Rivolgiamo il nostro sguardo alla Vergine Santissima perché ci colmi di speranza e ci spinga a pensare in grande, con magnanimità e audacia.


[1] San Josemaría, Forgia, n. 267.

[2] San Josemaría, Amici di Dio, n. 314.

[3] Papa Francesco, Omelia, 3-V-2018.

[4] Benedetto XVI, Spe Salvi, 7.

[5] San Josemaría, Amici di Dio, n. 80.

[6] Papa Francesco, Gaudete et exsultate, n. 131.

[7] Papa Francesco, Omelia, 3-V-2018.