Storia di una direttrice di carcere

Lucia è una madre di famiglia che lavora come direttrice in un carcere. In questa intervista racconta la quotidianità e il senso del suo lavoro.

Uno dei murales realizzati all'interno del carcere nell'ambito di un progetto per integrare carcere e territorio.

Da quanti anni lavori come direttore di carcere?

Ho 56 anni e da 27 il mio lavoro è quello di direttore di carcere per detenuti maschi adulti. Da cinque anni dirigo il carcere di Lanciano, una cittadina dell’Abruzzo famosa per il miracolo Eucaristico. Il carcere di Lanciano può ospitare fino a 350 detenuti. I detenuti ospitati sono prevalentemente in regime di alta sicurezza per reati di criminalità organizzata. Sono felicemente sposata e madre di due meravigliose figlie, dono di Dio.

È il lavoro che ho sempre sognato di fare, sin da bambina

Cosa ti ha portato a questo lavoro?

È il lavoro che ho sempre sognato di fare, sin da bambina, è il lavoro che ho sempre amato e verso il quale ho orientato tutti i miei studi e la mia continua formazione: liceo classico, laurea in giurisprudenza, specializzazione in criminologia, psicologia giuridica, sociologia e tanto altro.

Lucia Avvantaggiato, direttrice del carcere di Lanciano

Ho sempre avuto ben chiaro che la persona, pur con la ferita del peccato originale, nasce innocente. Il fatto misterioso, collegato alla libertà, è che poi la persona può scegliere di avere comportamenti cattivi.

Ma i comportamenti cattivi, anche se influiscono sulla persone a volte in modo molto forte, non rendono intrinsecamente cattiva una persona. Che rimane sempre capace di bene, aperta al bene, capace di pentimento e di redenzione; capace di tornare ad amare, a fare cose grandi.

Quindi la tua è una passione collegata soprattutto alla sociologia e all’antropologia?

No, in questi anni ho compreso il vero senso del mio lavoro, anche grazie alla vocazione come soprannumeraria dell’Opus Dei.

Il carcere può diventare un'opportunità per comprendere la vera libertà

Il mio lavoro in carcere consiste sostanzialmente nell’aiutare i detenuti a fare un cammino che li porti nuovamente in contatto con il Bene, così da poter tornare nella società “libera” più capaci di lottare, più forti nel contrastare gli istinti, più consapevoli del corretto uso della libertà personale.

Come è possibile ottenere questi risultati in un luogo come il carcere?

Il carcere – che è, per definizione, la negazione della libertà e, dunque, l’annullamento della persona, perché la persona è nella sua essenza libera – può diventare un’opportunità per comprendere e sperimentare come la vera libertà non sia quella del non avere limiti, ma, piuttosto quella interiore: la libertà dalla schiavitù degli istinti, la libertà di vivere pienamente la dignità dell’essere figli di Dio.

Il carcere – uno spazio con tante sbarre, un tempo inesorabilmente lento ed infinito – può diventare lo spazio della vera libertà ed il tempo per viverla.

Il mio lavoro in carcere consiste nell’aiutare i detenuti a fare un cammino che li porti in contatto con il Bene

Chi sono le persone che abitano il carcere?

Non solo i detenuti, ma anche tanto personale, operatori: il mio compito è anche quello di organizzare il loro lavoro, ma, soprattutto, di creare le migliori condizioni affinché il personale penitenziario si ponga accanto alle persone detenute, senza pregiudizi, con competenza tecnica e umana, per accogliere l’altro diverso da sé, ma uguale per dignità, in un percorso di cambiamento.

Gli operatori penitenziari in servizio nel carcere hanno il compito di tendere una mano a chi è caduto, per aiutarlo a rialzarsi. Vedere nel criminale la persona fatta ad immagine di Dio a volte è molto difficile, ma non impossibile.

Il segreto è amare: amare il proprio lavoro e amare nel proprio lavoro, accogliere, non giudicare, donarsi, testimoniare, con la propria vita e i personali comportamenti virtuosi, che esiste sempre un’alternativa alla scelta delittuosa; un’altra libera scelta, ma di felicità, ossia quella fondata sulla Verità, fatta dagli unici valori credibili: l’amore, il rispetto della dignità umana, il lavoro onesto, i legami affettivi e familiari, la formazione, il sano divertimento.

Come viene visto il carcere dalla città nella quale sorge?

Il mio lavoro è anche quello di favorire il costante collegamento tra carcere e comunità esterna, contrastando la tendenza sociale a segregare il male lontano da sé. Spesso gli istituti penitenziari sono costruiti lontano dai centri abitati, così come un tempo i lebbrosi erano esiliati in posti inaccessibili e tenuti lontani per paura del contagio.

L’esperienza di lavoro in carcere per uno studente lo mette in contatto con i propri “lati ombra”

Il carcere riceve dalla comunità libera quelle persone che proprio la società non ha saputo far crescere nel bene ed è ancora il carcere a dover re-immettere in società quelle stesse persone, possibilmente dopo avere avviato percorsi di cambiamento.

Se così è, allora, la comunità esterna al carcere deve diventare anch'essa protagonista del trattamento penitenziario. In questa direzione opero accogliendo molti studenti universitari in tirocinio o stage professionali. L’esperienza di lavoro in carcere per uno studente lo mette in contatto con i propri “lati ombra”.

Avviene, così, che, accompagnando il cambiamento del detenuto, si diventi artefici del proprio cambiamento. Molti studenti, completato il tirocinio, restano come volontari in carcere e si impegnano in progetti di rieducazione di carattere culturale e/o ricreativo.

Tanti detenuti lavorano stabilmente nella città di Lanciano come giardinieri, come netturbini, per il cimitero, nella ristorazione e nell’edilizia locale o per il servizio di autoambulanza.

In che modo i detenuti si incamminano sulla strada del cambiamento?

I detenuti sono aiutati dagli operatori penitenziari, attraverso colloqui individuali e di gruppo. Questi colloqui servono a rivedere criticamente, con nuove luci, la propria esistenza, a cogliere in sé e nei propri legami familiari e sociali tutte le positive risorse che possono veicolare il cambiamento.

Altro importante strumento di lavoro è avviare i detenuti alla frequenza dei corsi scolastici: l’istruzione, la conoscenza. Ci sono insegnanti qualificati e all’interno del carcere abbiamo allestito una biblioteca ricchissima, gestita da detenuti altamente formati come bibliotecari.

I detenuti vengono anche aiutati ed esortati a coltivare i rapporti affettivi validi o recuperabili, a vivere la propria genitorialità. Cerco di prestare la massima cura per i colloqui con i familiari: colloqui dal vivo, telefonici o attraverso corrispondenza epistolare.

Nel carcere da me diretto cerchiamo di offrire opportunità per coltivare la personale formazione spirituale

Favoriamo tante occasioni di incontro con la famiglia e i figli, in spazi adeguati a ridurre fortemente l’impatto, a volte traumatico, che il carcere potrebbe avere sui minori; svariate le opportunità di incontri attraverso pranzi comuni, spettacoli teatrali, partite di calcio o altre iniziative condivise.

Lucia con il marito

C’è un’attenzione all’aspetto spirituale in questa strada per il cambiamento?

Nel carcere da me diretto cerchiamo di offrire opportunità per coltivare la personale formazione spirituale attraverso la libera partecipazione a gruppi di preghiera, di catechismo, di preparazione ai Sacramenti.

Il Vescovo visita regolarmente i detenuti

Vengono celebrate tre Messe a settimana e in ogni occasione liturgica di rilievo; ogni giorno il cappellano è presente per colloqui individuali, colloqui di gruppo e confessioni. Il Vescovo visita regolarmente i detenuti, e diversi gruppi di tante realtà della Chiesa si occupano dei detenuti con progetti di assistenza e formazione.

Che tipo di lavoro viene offerto all’interno del carcere?

Nel carcere di Lanciano i detenuti hanno anche l’opportunità di lavorare in un’azienda dolciaria

Nel carcere di Lanciano i detenuti, oltre a svolgere lavori domestici, di manutenzione del fabbricato e di coltivazione dei terreni del carcere, hanno anche l’opportunità di lavorare in un’azienda dolciaria. È una linea produttiva all’interno del carcere collegata a una grande azienda esterna. I detenuti sono formati, selezionati e assunti dapprima nella linea produttiva all’interno del carcere, poi, presso lo stabilimento esterno: o attraverso misure alternative al carcere o in libertà, una volta scontata definitivamente la pena.

Sono tanti gli ex detenuti ancora regolarmente assunti presso l’azienda, dove sono cresciuti come lavoratori e come persone, raggiungendo anche ruoli e mansioni di responsabilità.