"Non basta aprire le porte, se poi non si apre il cuore"

Durante la Settimana Santa 2018, un gruppo di studentesse universitarie ha imparato cosa significa davvero “aprire le porte” nel Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA) di Castelnuovo di Porto.

L’accoglienza è uno dei temi che sta più a cuore a papa Francesco e lui non manca mai di fare appelli perché si aprano le porte agli ultimi, ai più svantaggiati, agli esclusi. Ma come possiamo fare? Possiamo noi da soli fermare le guerre o la fame nel mondo? Certamente no, allora come agire?

Le ragazze hanno trascorso due giorni nel centro di accoglienza con persone in attesa di ottenere l’asilo politico

Per trovare risposta a questa domanda un gruppo di ragazze di alcuni collegi universitari italiani, ritrovatesi a Roma, hanno scelto di passare la Settimana Santa in maniera diversa. Come dice Debora, una delle ragazze, sono partite dalle parole di santa Teresa di Calcutta: "Non possiamo fare sempre grandi cose nella vita, ma possiamo fare piccole cose con grande amore".

Le ragazze hanno dato vita al progetto CARA Pasqua, una realtà nata nel centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto (RM), dall’incontro di due psicologhe, la dott.ssa Silvia Manfrini e la dott.ssa Francesca Maurizi, che lavora per la cooperativa sociale Auxilium.

L’inaugurazione del progetto si è tenuta il Mercoledì e il Giovedì Santo. Le ragazze hanno trascorso questi due giorni nel centro di accoglienza insieme alle persone in attesa di ottenere l’asilo politico.

Sono persone che hanno sofferto tantissimo: ci faranno entrare nei loro mondi? (Maria, una volontaria)

L’obiettivo era quello di creare una piccola Fiera di Primavera durante la quale realizzare insieme ai ragazzi del centro lavoretti e piccole creazioni di cucina, sartoria e make-up, portando loro un po’ di allegria e distrazione.

“Siamo entrate con passo felpato nella quotidianità di queste persone convinte di portare un po’ di amore e invece siamo rimaste travolte dal loro” ha detto Debora sorpresa dall’entusiasmo con cui sono state ricevute. “All’inizio ci chiedevamo: si fideranno di noi? - aggiunge Maria - Sono persone che hanno sofferto tantissimo e noi siamo solo delle studentesse inesperte, ci faranno entrare nei loro mondi"?

ci hanno insegnato ognuno le danze tipiche dei loro paesi e abbiamo anche pregato insieme! (Caterina, una volontaria)

Ma appena hanno conosciuto le persone del centro sono iniziate le attività e si è subito rotto il ghiaccio: “Hanno ricambiato da subito i nostri sorrisi e si sono messi a giocare con noi, e poco più tardi si sono uniti a noi anche i più grandi - dice Caterina - oltre alle attività che avevamo previsto ci hanno insegnato ognuno le danze tipiche dei loro paesi e abbiamo anche pregato insieme!”.

Le volontarie e le persone in attesa di asilo hanno pregato insieme per la pace.

Attraverso il divertimento, e a qualche lavoretto manuale in grado di superare le barriere linguistiche, si è creata così una connessione tra persone con vissuti e storie assai differenti. Al punto che insieme hanno poi recitato una preghiera interreligiosa per la Pace: “Cattolici, copti, musulmani: abbiamo pregato insieme perché la guerra finisca - ricorda Elettra ,- è stato il momento che mi ha colpito di più”. Oltre a questo momento si sono anche celebrate le funzioni del Triduo Pasquale, alle quali hanno preso parte anche molti non cristiani.

È così che hanno scoperto che dietro alle vicende che quotidianamente sentiamo raccontare al telegiornale ci sono delle persone, delle storie vere. Ad esempio Masfin, sarto che ha lasciato in Etiopia la moglie e i figli per venire in Italia; un ingegnere curdo scappato dalle persecuzioni, che vuole andare a Torino per lavorare e frequentare di nuovo l’università; Rakhba, rifugiata a soli dodici anni e con la passione per il disegno che vuole trasformare in un lavoro.

solo conoscendo le singole storie e guardando negli occhi chi le ha vissute è possibile aprire il cuore a un accoglienza vera

Per capire cosa significa accoglienza e cosa, concretamente, ci chiede papa Francesco bisogna compromettersi e toccare con mano. “Questa esperienza, mi è servita a mantenere viva la sensibilità, a non dimenticare che dietro ogni storia c’è una persona, che dietro ogni sofferenza c’è un uomo o una donna il cui valore è unico e inestimabile” ha detto Lucia.

Dunque solo conoscendo le singole storie e guardando negli occhi chi le ha vissute è possibile aprire il cuore a un accoglienza vera, fatta non solo di aiuto materiale, ma soprattutto di apertura verso l’altro, accettandolo così com’è. Lo conferma Debora, che conclude: “L'accoglienza lì non ha età, colore, posizione, si riceve dai sorrisi e si sente nel profondo. Perché non basta aprire le porte per poter dire di avere accolto, se poi non si apre il cuore”.